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Escape to Mexico (lì, dove tutto è possibile).

Creato il 20 marzo 2016 da Lilianaadamo
Escape to Mexico  (lì, dove tutto è possibile).

Suggestioni.

"Stronzo. Dove cazzo credi d'andare... ".

L'incipit di "Puerto Escondido", il film, mi balenava in testa come una lampadina usurata, che si spegne e riaccende. Nei momenti di crisi profonda mi sono ritrovata a viaggiare con Gabriele Salvadores, gli attori - gli autori e... il Messico. Banale, lo so e, in effetti, lo è. La pellicola è datata 1992, il libro di Pino Cacucci, cui è tratta la storia - è, però straordinario, come la colonna sonora a cadenzare ogni scena che ricordavo (Oyo Como Va e Suerte mi danno ancora i brividi). Resta che in me si andava compiendo una sorta di transfert...quel meccanismo mentale (traslazione), per il quale un individuo, pressoché sano di mente ma sottoposto a un forte stress, tende a rimuovere schemi di sentimenti, emozioni e pensieri da una "relazione significante passata" a una persona (vera o presunta tale), coinvolta in una relazione attuale. Spinta al tema del "doppio" che mi ha sempre affascinato, ero giunta a conclusione (di per sé, creativa e insensata) che, Mario Tozzi, il personaggio impersonato da Diego Abatantuono ...beh, ero io.

Così, tra scambi di persone in una mirabolante fuga lungo la Mexican Pipeline, tra riprese sulle dune della Playa de Amor, dove i bambini di strada giocano con l'oceano e i pellicani atterrano sulle barche di Puerto Angel, il protagonista arriva in Messico. Qui, "il sole carbonizza i capelli e fa colare il cervello dal naso", ma soprattutto egli trova "un senso di vastità che in Europa si è estinto, nella memoria genetica di almeno dieci generazioni". Tra narcotraffico, surfisti, sparatorie, roghi di marijuana, poliziotti in veste di criminali, furti subiti o portati a segno, tutto cambia e Mario Tozzi, ex vicedirettore di banca a Milano, testimone scomodo di due delitti, suo malgrado, complice, ritrova vecchie conoscenze e stringe nuove amicizie con Alex e Anita (fuggiaschi, ma per ragioni più "esistenziali") con cui divide un percorso di vita fatto d'espedienti, inevitabilmente, on the road.

Mario: "Qualche giorno nel deserto è meglio di qualsiasi altro discorso".

Forse è la sua destinazione finale, oppure no, non può esserlo perché la ricerca di un senso è destinata a rimanere inappagata. Di sicuro, è una fase nodale, necessaria, un'avventura dentro se stesso, non in un lifestyle ma nei ritmi lontani dalla frenesia europea, nei segreti oscuri della cultura indigena e negli gli eccessi, il disordine, il silenzio di una natura sconfinata: una seconda occasione, la rinuncia (per forza di cose), alle false certezze di una vita "integrata".

Alex: "Va bene, ti ospito, stai qui quanto vuoi... non è che sei obbligato a dire cazzate... ".
Mario: "Questo è un Rolex, un assegno circolare".

Tra vero e finzione, accade che, nel marzo del 2009, ci sia la fine (tragica), dell'ultimo italiano fuggito in Messico, il cinquantaduenne imprenditore vicentino, Claudio Conti, rapito e assassinato a Oaxaca; chi, di fatto, ha ispirato "Puerto Escondido" (a tal punto che il regista, Salvadores, girò diverse scene nel suo locale, Hostaria da Claudio, ingaggiandolo come comparsa e prendendo spunti dai suoi racconti - oltre che dal libro di Cacucci - per la sceneggiatura). E proseguendo su questa falsariga, le mie azzardate suggestioni sul Messico, si allargavano a dismisura.

Suggestioni. "Quel crudo, minaccioso, spietato azzurro messicano...".

Da Puerto Escondido e Oaxaca, la mia mente correva fino a Città del Messico, capitale per antonomasia del crimine. Ci sono fantasmi che girano indisturbati a Città del Messico? Due, ci sono di sicuro e uno lo conoscevo bene: dal protagonista di "Puerto Escondido" allo "scrittore maledetto" William Seward Burroughs, il salto non è così azzardato.

Far rivivere Burroughs e la sua giovane compagna, da lui uccisa - accidentalmente? - con un colpo di pistola alla testa, a Città del Messico - è semplice, " il posto è uno di quelli che ha più confidenza al mondo con la morte e i suoi derivati...".

L'autore del "Pasto Nudo" e di altri diciassette romanzi che influenzarono la letteratura della Beat Generation, che invitava a "saccheggiare il Louvre", che convisse con un antico libro di codici Maya, senza separarsene mai, tenendolo in grembo anche in presenza d'altre persone, ficca una pallottola in testa alla giovane moglie, Joan Vollmer, il 6 settembre del 1951, durante una serata in compagnia di amici, in un quartiere bohémien di Città del Messico, chiamato pomposamente, Roma. E il suo libro messicano, Queer, è in pratica, una confessione: "Sono obbligato a giungere alla terrificante conclusione che senza la morte di Joan io non sarei mai diventato uno scrittore, a rendermi conto di quanto questo evento abbia motivato ed espresso la mia scrittura. Vivo sotto la minaccia costante di essere posseduto, un bisogno costante di sfuggire alla possessione, al controllo. Perciò la morte di Joan mi ha messo in contatto con l'invasore, lo spirito del male, mi ha trascinato in una battaglia lunga un'intera vita, in cui non ho avuto altra scelta che scrivere la mia via d'uscita...".

A Città del Messico è arrestato e portato in carcere, ma, in tutto, ci resterà tredici giorni, in attesa del processo. E, poiché lui è il diavolo, chi, se non l'avvocato del diavolo, Bernabé Jurado, amante di belle donne e pistole, personaggio d'imponente fama, assuefatto a delinquenti d'alto bordo e corrotti, riesce a convincere corte e giurati di una presunta innocenza. A Joan Vollmer è riservato un posto nel Pantèon americano, cimitero alla periferia della città, William Burroughs è costretto a lasciarlo il suo Messico, per non rimettervi più piede.

Con Joan, el hombre invisible si aggira a Città del Messico; non potrebbe essere altrimenti in un luogo che custodisce una tale, fisica, materialità della morte. La morte tangibile, non commemorata, piuttosto, accolta festosamente. Non vi stupirà, quindi, se vetrine di chincaglierie, di panettieri e pasticceri oltre ai souvenir, al pane, ai dolci di glassa e marzapane si ergono scheletri, teschi e casse da morto. Sconcertato dai Dias de los muertos, a Oaxaca, Christoph Ransmayr (in Atlante di un uomo irrequieto), racconta di famiglie/scheletri felici, aggirarsi nei negozi di mobili, insieme a scheletri dei loro cani e gatti, in una vita gioiosa tra cucine, soggiorni e stanze da letto: scheletri in grembiule o tailleur se si tratta di signore, in pigiama, tuta o smoking, se uomini, scheletri vestiti alla marinara, se bambini...

A Playa del Carmen (nello Yucatàn), durante questa festa che si tiene a fine ottobre, a noi ospiti è stato chiesto d'immortalarci in foto, un bel manifesto funebre collettivo. Incrociando le dita, molti hanno declinato l'invito...non è facile comprendere come il sentimento della morte non sia separato da quello della vita. L'impulso unanime che confluisce nei Dias de los muertos, rivela, per i messicani, l'antico legame ai miti indios e alla natura, la morte come sentimento fluido, affettivo, privo d'interruzioni, senza trapasso; una sorta di continuum tra terreno ed extraterreno, un discorso ininterrotto tra vivi e defunti.

La rappresentazione popolare della morte è ovunque, non solo durante i Dias: nel sobborgo di Coyoacàn, dove è nata Frida Kahlo, si vendono teschi che riportano i colori dei suoi quadri; a San Juan sulle bancarelle del mercato, accanto allo street food (enchiladas, quesadillas e tacos), puoi comprare per pochi pesos, i calaverna, crani di zucchero colorato. Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central, è l'unica opera superstite, scampata al terremoto del 1985 e conservata nel museo Diego Rivera (Calle Balderas, Città del Messico); un murale di quindici metri con l'effigie centrale della Calavera Catrina, l'humus legato allo spettacolo tradizionale della morte.

Lo stesso Burroughs quando descrive la città, parla di avvoltoi volteggianti, figure retoriche e identità del male: "Quando ci abitavo, alla fine degli anni quaranta, aveva un milione di abitanti, l'aria pulita e frizzante e il cielo di quella speciale sfumatura d'azzurro che si intona tanto bene con gli avvoltoi volteggianti, il sangue e la sabbia, quel crudo, minaccioso, spietato azzurro messicano...".

Suggestioni...

"Non al Messico naturalmente, l'inferno, ma nel cuore...".

Appunti sul Messico:

Love does not end overnight:
mi sa che arriverà il momento che tu ed io ci incontreremo, Messico. Perché arriva sempre quel momento. E ti giuro.. .che sto già pregustando quest'incontro. Da molte notti a questa parte...
Un promemoria, segnando a matita i siti archeologici, i chilometri, l'automobile da noleggiare, polvere da macinare, villaggi sperduti e città, cenotes e isole meravigliose... mi rendo conto: poco più di due settimane... troppo poco, troppo poco davvero. Spero che alla fine, non le perderò seduta su una spiaggia, semplicemente guardando l'oceano e l'orizzonte.

Un'antica catastrofe. Per caso, un asteroide?

L'idea di questo viaggio nasce da una visione piuttosto che da un'esigenza "d'evasione"... aspetto che le cose arrivino, basta mettersi in ascolto, captarle, prenderle al volo senza sottrarsi. Improvvisamente, diventi testarda, irremovibile: cominci a cercare una motivazione interiore, una concreta pianificazione e i soldi... C'è qualcosa che non sappiamo fare noi italiani, o perlomeno siamo davvero in pochi, è desiderarla una meta, vederla con la mente, "sperimentarla" prima ancora di prendere il via. Lo fanno alcuni americani, anche se, il più delle volte, passano per "profani e culturalmente incompetenti". Decido di puntare il mio viaggio su un unico luogo, la penisola dello Yucatàn, a sud, sul Mar dei Caraibi.

Allora: immagina uno stato esteso su una superficie di 1.972.550 kmq, il cui nome, Mèxihco, deriva presumibilmente da un'etimologia risalente a una divinità di guerra degli Aztechi, "luogo dove vive Mèxtli", ma può anche avere origine dal cosmo, il Centro della Luna; dove Teotihuacan fu la più grande città-stato pre-colombiana, regnando sulla civiltà con la stessa denominazione.

E si costituirono città stato teocratiche, governate da misteriose civiltà, dagli Zapotechi, ai Maya, ai Toltechi, che celebrarono l'inizio dei sacrifici umani, immagina la loro venerata città, Tula, fino agli Atzechi, che innalzarono al cielo un impero vasto quanto il territorio del Messico centrale, con una capitale, Tenochtitlàn (l'odierna Città del Messico), distrutta dai conquistadores spagnoli, nel 1521.

Immagina montagne, molto alte e vulcani impetuosi e la costa del Golfo del Messico, tra Oceano Pacifico e l'Atlantico e poi immagina una penisola che si allunga sul Mar dei Caraibi e, a sud, segna il confine con il Belize. E' l'attuale stato del Quintana Roo, una zona particolarmente abitata dai Maya. E' lì che volevo andare:

The summer solstice has passed...I talk to ghosts...I will go to Yucatán. This is the place of my dreams...I mean - of the demonds of the Maya. Those who - for a whim - can will kill you or will protect you...Zat-ay-Uinic...it means "rebirth" in the Mayan language... Quiero perderme en tus brazos ... Escapar en México.

La sua fama risale da almeno sessantacinque milioni di anni, da quando, a Chicxulub un asteroide in impatto con la Terra vi scaricò la potenza di mille bombe atomiche o giù di lì, ponendo fine, secondo la teoria più accreditata, all'era dei dinosauri. E quel cratere formatosi dal terribile urto (trecento km in diametro), è ora sepolto in profondità mentre i residui sono ancora visibili in superficie. In perfetta sequenza, lungo l'intero perimetro della penisola, la collisione ha formato misteriose cavità incastonate in scenari da fiaba, collegati tra loro mediante lunghe gallerie naturali (fino a 600 metri), i Cenotes.

Gli antichi "Dzonot", rappresentazioni celesti scolpite dal meteorite, erano sacri ai Maya (i loro sacerdoti si affidavano al canto del Mot-Mot, mitico uccello che nidificava in queste cavità oscure per trovarne sempre di nuovi) e hanno nomi fantasiosi (Dos Ojos, i due occhi), mistici (Kukulkan), efficaci (Bat Cave, la caverna dei pipistrelli).

Risorsa primordiale per ottenere acqua dolce nella giungla, soprattutto, punto di contatto con le divinità, i Cenotes servivano a entrare nell'inframondo spirituale, servivano anche ai sacrifici umani; l'acqua per la vita, l'acqua per la morte. Mastodontici fondi con pareti lisce, per cui... impossibile aggrapparsi; chi era lanciato laggiù, di certo non sarebbe risalito.

Schivando stalagmiti appuntite e i terribili pesci gatto, in un silenzio irreale scandito soltanto dalle gocce d'acqua che cadono sulle rocce, oggi, sono i turisti a tuffarsi nei cenote (io l'ho fatto ad Akumal durante un percorso nella foresta tropicale e nel Gran Cenote). Sentire l'impatto con l'acqua gelida, in immersione nei fondali bui se si tratta di una grotta, o cristallini se, invece, è un cenote alla luce del sole, l'esperienza si trasforma in qualcosa di profano/ascetico e metafisico/ terrestre.

Il Gran Cenote, dedicato a Chaac, dio della pioggia (il più importante), è situato nei pressi di Chichen Itzà, l'imponente sito archeologico tolteco, ovvero, la città che ha guidato i miei sogni per almeno sette mesi prima della partenza con il suo pentaedro immaginifico, la sua piramide, il Castillo.

Se il viaggiatore all'inizio del percorso, prendendo più a oriente, seguiva il golfo del Messico verso sud e proseguiva attraverso la base della penisola dello Yucatàn fino all'Honduras, poteva costatare che anche gli oggetti di terracotta erano su per giù uguali tra il Veracruz e l'Honduras occidentale; e per lo più gli idoli di terracotta che vedeva nelle capanne del Petèn non differivano quasi affatto da quelli dei villaggi ai piedi dell'Orizaba. Dovunque la vita gli appariva regolata secondo i mutevoli aspetti degli dei delle giornate, i quali si succedevano nel potere sul mondo durante il ciclo di duecentosessanta giorni del calendario maya e, secondo la loro natura, portavano benefici o dolore agli abitanti dell'intero territorio... Leggendo " La civiltà Maya". di J. Eric S. Thompson.

In Messico!

E così fu che, dopo molte preghiere rivolte al Pueblo Magicos,
il sargassum entrò in sciopero...

Arrivo in Messico con l'uragano Patricia. Nelle ventiquattro ore successive raggiunge la categoria 5, il massimo grado della scala Saffir-Simpson; in pratica, il ciclone tropicale più intenso mai registrato nell'emisfero occidentale, con venti superiori a trecento chilometri orari, veloci pressappoco quanto il Boeing 767 che mi ha portato fin qui. Tuttavia, ho gli spiriti benevoli dalla mia parte e la perturbazione non copre la regione dello Yucatàn, tantomeno, restituisce il terribile fenomeno del sargassum al Mar dei Caraibi (con liberazione di Tio Nash, mio referente a Tulum, perseguitato da costanti richieste d'aggiornamenti fino al giorno precedente la mia partenza). Sulla lunga spiaggia di Playa, si trovano tronchi interi sradicati, piallati dal mare e furiosamente lasciati sulla battigia, pezzi di barche, perfino una tavola di wind surf (dove sarà finito il surfista?), ma sargassum, per buona sorte, no.

Guide turistiche: "Playa del Carmen resta fra i luoghi più desiderabili dello Yucatàn...".

Playa?...è sexy!

A Playa del Carmen fa' caldo. Aveva ragione Cacucci, il caldo messicano è dissimile da qualsiasi altro che sentirete nel restante tropico del Cancro; è un caldo assoluto, pregno di vapore acqueo, un caldo che satura. Ma il verde intenso della giungla, i profumi, gli uccelli e le piante, una fauna esotica di una biodiversità unica al mondo (gli animali girano indisturbati, senza temere nessuno), il disarmante senso d'ospitalità dei messicani, gli odori del cibo, l'alcool che scorre a fiumi (non per me, preferisco rimanere lucida), le palme adagiate sul bianco abbagliante della sabbia, tutto ciò che avevo desiderato fino a quel momento, è davanti ai miei occhi, a portata di mano.

L'antico villaggio dei pescatori di Xaman Ha' si è trasformato in un polo turistico di sicura attrazione. Il quartiere residenziale di Playacar, con i suoi resort e le villette al margine della pista ciclabile, è diviso, da nord a sud, da una sbarra automatica, sorvegliato a vista dalla polizia privata, armata fino ai denti. Superata la sbarra, intorno al porticciolo (dove, ogni giorno, salpa il battello per Cozumel), c'è il Parque Fundadores, con il profilo affascinante in bronzo del Mayan Gateway e sulla famosissima Quinta Avenida che guarda verso l'oceano, pullula la scombinata vita di Playa. C'è perfino una cappella, dove i piccoli messicani fanno la fila, nelle domeniche di preghiera aspettando la benedizione.

Playa è preferibilmente "europea". E' una località sexy e informale, un calderone d'iniziative culturali che mescola insieme, musica, tradizioni, piacere, gioia di vivere, un laboratorio multi-etnico dove, anno per anno, ogni più rosea previsione è puntualmente superata. A differenza dell'americana Cancun, che si trova a circa sessantacinque chilometri a nord, è vietata la costruzione d'edifici alti più di 135 metri (vivaddio) e il Trattato del Libero Commercio, in vigore dal 1994, consente agli stranieri di comprare, costruire, intraprendere attività imprenditoriali. Le migliori gelaterie sono italiane, i negozi più in voga (e gli istituti finanziari e di credito), americani, le botteghe artigianali, i ristoranti tipici, tutti a buon mercato, messicani. Sinceramente? Viva il melting pot, d'ogni genere e natura.

Eccetto le mie ossessioni, sono una persona semplice. Il resort. Il mare e la spiaggia (la gente), un luogo felice d'aggregazione (europei, americani, messicani, argentini...), i colori, i pellicani che si lanciano sulle onde e i gabbiani che si posano a cerchio accanto a te, senza paura e così i curiosi sereke. Scatto le foto al quartiere residenziale di Playacar, dov'è ubicato l'Azteca Resort e dove mi sono intrattenuta in lunghe passeggiate, nonostante un caldo micidiale. Così felice in Messico...

Guide turistiche: Tulum è una città sul mare...

Zamà è l'antica città del dio discendente ...

Tulum: le rovine Maya a strapiombo sul mare - la spiaggia di Playa Paraiso e la giungla trasformata in giardino tropicale con le iguane immobili al sole (il tutto in uno scenario imperturbabile e selvaggio) - questo è fra i luoghi più belli mai visti. Tulum rasenta la perfezione... ai miei occhi - per i miei sensi ...

Zamà, città sacra al "dio discendente" (il sole calante, al tramonto, raffigurato a testa in giù, gambe divaricate, coda di uccello e ali), ex rifugio hippie, attuale Tulum, perla della Riviera Maya, è fra i luoghi più affascinanti della Terra. A circa quaranta chilometri a nord, lungo la Carrettera del Quintana Roo, si trova il sito archeologico di Cobà.

Cobà e la riserva delle scimmie urlatrici, il suo lago dove vive una comunità di coccodrilli allo stato brado, Cobà avvolta nella giungla che s'impossessa delle piramidi (realizzate e forse abitate, tra il 500' e il 900', fino all'arrivo degli spagnoli); un sito che resta ancora da esplorare, scavare e scandagliare.

Eretta dai Maya sulle alte scogliere con l'edificio del Castillo a picco sul mare, Zamà fu la prima a essere avvistata dai conquistadores. Il 3 marzo 1517, tre vascelli si apprestarono sulla costa per essere raggiunti dalle piroghe. La battaglia tra il popolo autoctono e gli invasori si risolse a favore di questi ultimi e manco a dirlo, in un massacro. Tulum era un fiorente centro commerciale, l'asse tra Altopiano messicano e America Centrale; le piroghe approdavano esattamente in quell'insenatura da dove ammiriamo il Castillo e scaricavano miele, sale, pesci, oggetti d'ossidiana, piume di quetzal.

Sul Mar dei Caraibi, sovrastante la spiaggia di Playa Paraiso (il nome la descrive ad hoc), cinta da mura a difesa naturale della città, il sito è composto di una sorta di santuari che si raccolgono intorno al Castillo; la luce è accecante, i riflessi della spiaggia s'insinuano fra le rocce e la vegetazione. Si accede a questo spazio sospeso tra cielo e terra da uno stretto anfratto scavato nella roccia. La porta dell'eden si apre rivelando il Tempio degli Affreschi e dopo, offre alla vista lo spirito più genuino del popolo Maya nella bellezza prepotente della natura: in una visione, la dea Ix Chel si lascia accompagnare dal dio Chaac.

Guide turistiche: Chichén Itzá, che significa "alla bocca del pozzo degli Itzá"...

L'ultimo giorno prima di un nuovo inizio. 21 dic. 2012... fine del calendario Maya. Alla ricerca del tempio di Kukulcan e del serpente piumato...E così sono arrivata a Chichén Itzá. Ed è sopra le mie aspettative. È... impressionante... io sono stanca e senza parole. Il sudore mi cola lungo il dorso, sulle braccia, m'imperla la fronte e se non bastasse il sudore, verso anche qualche lacrima. C'è un significato forse - dietro tutto questo. Ma nonostante io sia qui - ancora non so ancora, come e cosa decifrare.

Reliquie.

Chichén Itzá: ti ho avuto nella testa in tutto il mio periodo nero. Così, ho attraversato un continente, ho buttato via una fortuna, mi hanno guidato su queste strade che tagliano la giungla. Ho guardato ai margini della strada poveri villaggi del vero Messico e la dura - durissima vita dei "campesinos ". Sono lontana dai resort dorati dello Yucatán da cartolina. Ore di macchina - in una dimensione spazio - tempo che qui, in Messico, si dilata a dismisura. E - finalmente - il " Castillo"... Ecco. Mi vedi? Sono qui. Piccola - accaldata - emozionata e un po' stupida. Ma orgogliosa d'aver raggiunto la mia meta. Un sogno che mi ha perseguitato per mesi...

Il passaggio ai Maya è profumato d'incenso e di foresta tropicale, mi guidano le felci, le orchidee, le bromelie, i muschi, i fusti alti come titani. Alcuni hanno la corteccia velenosa e i cartelli intimano di non toccarli. Un percorso compiuto in assenza di rumori, nonostante qui, si riversino centinaia di visitatori. Si è rapiti e ridotti al silenzio, la piramide di Kukulkan, il Castillo, si apre allo sguardo alla fine di lungo un selciato, costeggiato ai due lati dall'intrico di piante e alberi, che quasi invade i monumenti di pietra; non è altissima, ventiquattro metri circa, considerando la piattaforma superiore. Visione al mondo e all'universo, la torre astronomica segue i movimenti della luna, del sole e di Venere. Puntualmente, alle 15.00 nel giorno dell'equinozio di primavera (20 marzo), in quello dell'equinozio d'autunno (21 settembre), assorbe la luce diurna lungo il parapetto ovest della scala principale, producendo un'imperscrutabile illusione ottica: ecco la curvilinea fisionomia del serpente adagiarsi sui triangoli isoscele e insinuarsi verso il basso, fino a combaciare perfettamente con la testa dell'aspide, scolpita in fondo alla scala. Nei due equinozi, secondo il ricercatore messicano Luis El Arochi, si ricrea la "simbolica discesa di Kukulkan", del "serpente piumato", il re fatto dio.

All'interno del ball court di Chichén Itzá, le onde sonore non sono influenzate dalla direzione del vento, immutabili sia di giorno sia di notte e in qualsiasi condizione meteo. Gli archeologi impegnati nella ricostruzione evidenziarono come la trasmissione sonora diveniva più forte e chiara, man mano che l'antico campo dello juego risaliva alla luce. Nel 1931, Leopold Stokowski, direttore d'orchestra inglese (autore della colonna sonora per il celeberrimo cartoon di Walt Disney, Fantasy,), si fermò quattro giorni nel sito maya per determinare quei particolari principi acustici ed eventualmente applicarli a un concerto all'aperto che aveva in progetto; ma non vi riuscì e nessuno, a oggi, pare sia riuscito a svelarne il mistero.

"Vedi io non dimentico il mio canto". ...Possediamo testimonianze eloquenti nel modo in cui i Maya reagirono alla presenza degli invasori. Frammentarie e, in parte deformate perché calzassero anche nei confronti dei conquistatori spagnoli, queste testimonianze si trovano nei cosiddetti libri di Chilam Balam, in lingua maya. In modo particolare i Maya erano scandalizzati dal costume sessuale degli Itzá, quale si manifestava - forse - in modo particolare nei riti del culto di Quetzalcòatl-Kukulcan. Eccone un esempio: "I loro cuori affogano nel peccato. I loro cuori sono morti nei loro peccati carnali. Sono peccatori assidui, sono i principali diffusori del peccato, Nacxit Xuchit nel peccato carnale dei suoi compagni, i capi di due giorni... La loro lussuria si scatena di giorno, la loro lussuria si scatena di notte; sono i più ribaldi del mondo. Torcono il collo, ammiccano, sbavano in presenza dei governanti del paese, signore. Guardali venire, non c'è verità sulle labbra degli stranieri. Dicono parole solenni e misteriose, i figli degli uomini degli edifici sette volte disertati"... Nacxit è un nome di Quetzalcòatl-Kukulcan. Questi difatti è chiamato Nacxit Kukulcan in un altro passo del libro dove è descritto come il capo di Chichèn Itzá, e dove si parla dell'avvento della violenza e del peccato.
Un'antica canzone sugli invasori Itzá (sono chiamati il popolo Putun, antico termine per Chontal) è contenuta nel libro di Chilam Balam di Chumayel. In alcuni passi, tradotti da Roys, si legge: " Ero ancora un fanciullino a Chichén, quando il malvagio, il capo dell'esercito, venne a impossessarsi del paese. Ahimè! A Chichén Itzá si è preferita l'eresia?Yulu uayano. Ahi! L'i Imox fu il giorno in cui fu catturato il capo a Chikin Ch'en... Per Mizcit Ahau noi non eravamo che animali domestici. Ma c'è una fine per queste ribalderie. E, vedi, io non dimentico il mio canto. Si è favorita l'eresia. Yulu uayano! Eya! Muoio, egli dice, a causa della festa civica. Eya! Verrò, dice, a causa della distruzione della città... ".

J. Eric S. Thompson. La civiltà Maya.

Presso Viva Wyndham Azteca.


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