Fausto Brizzi, Cento giorni di felicità, Einaudi *Einaudi. Stile libero big* (2013), 393 pagine, euro 18,50
La lettura è stata piacevole, scorrevole, non impegnativa, nonostante il tema (al protagonista viene diagnosticato un cancro, gli vengono prospettati cento giorni di vita, che lui decide di sfruttare al massimo e “recuperare il tempo perduto”), positiva e solare (nonostante il tema).
L’impressione che ho avuto è che si trattasse di “niente di particolarmente nuovo”, di cui stupirsi, su cui riflettere, da divorare con occhi, anima e corpo. Mi è sembrato un libro… da leggere. Che detta così sembra una banalità, sicuramente lo è. A che servono i libri se non a essere letti? Bè, sono più le volte in cui ci affanniamo a cercare un senso, un messaggio, un significato, una verità in un libro, anziché semplicemente leggere. E basta. Ascoltare una storia e non voler per forza che sia una pietra miliare, una storia che ricorderemo per il modo in cui è raccontata, per i suoi personaggi fuori dal comune, per le situazioni estreme.
Cento giorni di felicità racconta questa storia, come sicuramente ce ne saranno tante, di una persona che si accorge, davanti a un muro che bloccherà per sempre il suo esistere al mondo, il suo stare con gli amici, con la famiglia, di tutto il tempo che ha “perso” impegnato in qualcosa di non soddisfacente, o quantomeno, impegnato in “altro”. E si rende conto, come tanti nella sua situazione, di aver trascurato la famiglia, i figli, la moglie (da cui si è allontanato dopo che l’ha tradita), di non aver viaggiato abbastanza, di non aver dato abbastanza – preso dal lavoro e dalla routine – agli amici.
Degno epilogo di questa epifania, Lucio Battistini (sì, il nome ricorda il cantante) prende il suo amico Fritz (bè, anche qui, un po’ troppo basic come trovata, ma ci sta) e parte alla conquista della moglie (dapprima restia e dura, con promessa di epilogo rassicurante) e dei figli, organizzando un lungo (anche se a termine prestabilito) viaggio. Senza trascurare di dedicare un po’ di tempo agli amici più cari e alla squadra junior di pallanuoto che segue.
Il viaggio è da sempre stato un simbolo di distacco, allontanamento dalla routine, dai problemi e percorso alla scoperta di sé. E questo viaggio è una mega scoperta globale, in cui il protagonista non è il solo a doversi scoprire, ma – cosa più importante – deve lasciarsi scoprire dalla sua famiglia. E ci riesce. Prima che sia troppo tardi.
Non è un romanzo strappalacrime; tutto sommato è solare e positivo e giocato con un filo di ironia e leggerezza che permette allo scrittore di non incorrere in melensitudini fin troppo annunciate.
Il libro è stato e sarà tradotto e pubblicato ovunque; ne faranno anche un film; è stato record di vendite, un fenomeno. E mi ha fatto riflettere sul fatto che i lettori hanno voglia di ascoltare una storia; in questo caso che li rassicuri forse, che metta al centro una difficoltà con cui tutti, direttamente o indirettamente, nella vita, abbiano avuto a che fare, e ne ribalti il senso, lo spirito. Anche se è stato fatto mille volte prima di questa, anche se ne ha lette e viste a iosa di storie così, anche se né lo stile, né lo sviluppo sono particolarmente nuovi e originali. L’importante, per i lettori, è leggere. E leggere un romanzo più che dignitoso e onesto è sempre una soddisfazione.
E adesso… vogliamoci bene!