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Esclusiva: intervista a Schiavone

Creato il 17 novembre 2011 da Yourpluscommunication


Esclusiva: intervista a Carmine Schiavone, il re dei CasalesiCipolla tritata, qualche fungo tagliato, bocconcini di salsiccia e coriandoli di prosciutto cotto.
Olio quanto basta. E tutto in padella. 
La signora, capelli lunghi raccolti e occhi grandi, davanti ai fornelli si muove in fretta ma senza affanno. 
L’incontro tanto atteso avviene dopo quasi dieci minuti: il condimento appena dorato si mescola alla pasta al dente nella scodella e il piatto è pronto.
Ecco i paccheri di casa Schiavone, serviti su un tavolo di noce massello tra gatti appena nati e il cane Sasà che non riesce a star fermo. 
E’ riduttivo dire che Carmine Schiavone, 68 anni, è stato un vecchio boss della camorra. 
E’ stato molto altro: il fondatore dei Casalesi spa, l’ex superamministratore delegato del clan diventato multinazionale del crimine, da Casal di Principe (nel Casertano) alle Americhe. 
E di quel sodalizio di guaglioni si parla ancora oggi. 
Infiltrati in appalti e lavori pubblici, traffici di armi, droga, riciclaggio immobiliare e non solo.
Lui pasteggia con vino rosso dell’Abruzzo e non disprezza i dolci, specie babà e pizza crema preparata in meno di una mattinata dalla moglie che è anche l’abile cuoca dei paccheri. 
Esclusiva: intervista a Carmine Schiavone, il re dei CasalesiIn quei larghi e profondi cilindri di grano non sprofonda solo il condimento. Ci finiscono anche i pensieri, e quando si mangia, si sa, le cose hanno un altro sapore, i pensieri sono schietti e le parole sembrano leggere. Con la forchetta tra le dita si dice più di quanto si racconterebbe con una penna.Schiavone e i paccheri lo dimostrano: Mio padre mi insegnava: “Un nemico non devi sfidarlo e aggredirlo. Devi abbracciarlo, baciarlo, portarlo a mangiare, passeggiare con lui e poi spingerlo nel primo pozzo”.
La mafia più forte non è quella militarmente più attrezzata, ma quella più intelligente. 
Oggi il primato lo detiene la mafia cinese. Gli orientali sono rispettosi, quando si trovano su un territorio che non è sotto il loro controllo chiedono se possono lavorare al clan che comanda, chiaramente versando una percentuale sugli affari. 
La ‘ndrangheta, invece, in questo momento è la più ricca tra le mafie nostrane. Può muovere grandi somme di denaro e inoltre quando compra droga sui mercati sudamericani può permettersi di non pagare subito: tutti si fidano della parola data dai calabresi. Schiavone non somiglia al mafioso Totò Riina corto, massiccio e ora agli arresti. Non sembra Bernardo Provenzano, minuto erede (anche lui catturato) del capo dei capi. Schiavone è altro: alto, spalle larghe, occhi chiari ancora brillanti.
E anche il suo sogno criminale pare che in passato, negli anni Settanta, sia stato diverso rispetto a quelli che sentiva circolare intorno a sé, a Caserta, Napoli ma anche in Sicilia. Noi non dovevamo sparare in aria come facevano i napoletani. 
Dovevamo controllare gli appalti, far laureare i nostri figli per vederli magistrati, politici negli enti locali e al Parlamento. Dovevamo corrompere chi governava e poteva esserci utile. Una volta dalle mie parti tutti erano democristiani e c’era solo un comunista. Gli ho tetto: “E’ meglio che passi alla Dc, dammi retta, anche loro vogliono pensare alla gente. E alle elezioni successive era con lo Scudo Crociato.
Questi corrotti sono sempre sotto il controllo dei Casalesi, è naturale, altrimenti il politico non riprende i voti e se resta senza poltrone può dire addio al potere. Per la medesima curva imboccata dal destino, la storia del camorrista Carmine Schiavone presenta capitoli in comune con quella del mafioso Tommaso Buscetta. 
Nel ’93 il casalese si è pentito come nell’84 fece il siciliano. Ha verbalizzato rivelazioni e riempito migliaia di pagine come pure il padrino di Cosa nostra. Le testimonianze di entrambi sono diventate atto d’accusa: al processo Spartacus contro i campani, al maxiprocesso contro i siciliani. 
E infine, i fogli di carta si sono trasformati nelle pesanti sentenze della giustizia, ergastoli confermati in Cassazione: il 15 gennaio 2010 ai Casalesi, 16 febbraio 2006 agli isolani. Carmine come don Masino si dice uomo d’onore, mafioso campano.
Se penso a Casal di Principe negli anni della mia giovinezza – dice - ricordo che mio padre risolveva questioni personali, aiutava la gente, garantiva giustizia e sicurezza. 
Si viveva di onore. Col tempo le cose sono cambiate.
I Cutoliani di Napoli hanno cominciato a fare i prepotenti e a Casale i prepotenti non si sopportano. Il contadino più semplice sa trattare barbietole da zucchero ma anche armi. 
Esclusiva: intervista a Carmine Schiavone, il re dei CasalesiLa nostra indole riassume l’anima del gladiatore Spartaco che da Capua diede vita alla rivolta dei gladiatori contro l’impero romano, e lo spirito dei tre Beati Paoli. In poco tempo il clan di Raffaele Cutulo è stato distrutto. Così con mio cugino Francesco Schiavone, detto Sandokan, e Mario Iovine abbiamo creato i Casalesi. Io ero l’amministratore delegato: indicavo affari, strategie da seguire, badavo alle azioni militari. 
Mio cugino e Marione uccidevano. La cupola, noi tre, si riuniva ogni tre-quattro giorni. Il luogo dove incontrarsi era sempre diverso, anche in aperta campagna.
Sandokan l’ho cresciuto, era più piccolo di me.
Lui e Iovine erano i capi dell’ala armata. Ma quando si doveva uccidere qualcuno ci riunivamo e si verificava il caso.
Venivano accertate le ragioni di accusatore e accusato.
Poi si decideva. 
I camorristi dovevano essere seri, affidabili. 
I capizona erano uomini d’onore. 
Quando si battezzava un membro dell’organizzazione, il rito prevedeva la puntura del dito della mano con uno spillo d’oro, d’argento o una spina d’arancio. La goccia di sangue bagnava l’immagine della Madonna “Maria Ss. Preziosa”, patrona di Casal di Principe, e poi l’immagine si bruciava a simboleggiare la pena e il tormento che avrebbero distrutto chi avesse tradito il giuramento di fedeltà. Se io ho tradito? No, era inevitabile. 
Esclusiva: intervista a Carmine Schiavone, il re dei CasalesiE spiego pure il perché. Fino al ’91 non stati ammazzati innocenti. Eravamo in guerra, a terra sono rimasti solo soldati dell’una e dell’altra fazione. 
Se uno dei miei sbagliava, per esempio sparava a chi non doveva, poteva anche essere ucciso. 
La punizione dipendeva dal tipo di errore fatto. Una volta si è saputo che c’era stata violenza sessuale su una ragazza del posto: il responsabile ha perso i testicoli, tagliati con l’attrezzo per raccogliere gli spinaci. Un tempo il camorrista non doveva vendere droga nella sua zona, se tirava cocaina doveva smaltirla altrove, doveva andare a divertirsi a una certa distanza dai luoghi che di solito frequentava. 
Non era bene farsi vedere sconvolti. Erano altre regole. Prima si rispettavano, oggi non esistono più. 
L’affare dei rifiuti ha cambiato le cose. 
Marione era già stato fatto fuori in Portogallo.
Poi scopro un traffico di fusti tossici e radioattivi provenienti dal Nord Italia e da Oltralpe e interrati nelle nostre campagne. 
Erano dei pazzi: alla nostra gente assicuravano la morte per leucemia o cancro. Cercarono di incastrarmi, facendomi capire che il mio tempo era finito e quindi dovevo prepararmi a morire ucciso o a finire i miei giorni in galera. 
Invece i piani sono falliti, dice sorridendo con estrema serietà. 
Dicevano che avrei lasciato il carcere da vecchio sorretto da un bastone. 
Ma la manovra non è riuscita. 
Dopo l’arresto ho fatto un anno di carcere 41bis e poi mi sono pentito. 
Ho creduto, ho incontrato magistrati che mi hanno fatto credere nella giustizia.
E a quel punto i miei hanno cominciato a tremare. 
Ho aperto le porte della camorra.
Ho fatto condannare i Casalesi. 
E dopo di me molti altri si sono pentiti. 
Finora ho testimoniato in circa ottanta processi e sono teste in un’altra cinquantina. 
E in prospettiva, la lunga si allunga. 
A chiusura del pranzo l’ultima chicca di casa Schiavone: nocciole e passato di pomodoro, anche piccante, preparato sempre dalla signora. 
Fabio di Chio


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