Una settimana fa circa scrivevo di una diffusa mancanza di professionismo nel movimento rugbistico italiano. Tra i vari aspetti ho citato, molto velocemente in realtà, la questione della rappresentanza dei giocatori.
Esiste l’AIR, è vero, che però non ha una vera rappresentanza tra i giocatori, soprattutto tra quelli nel giro delle nazionali. Il caso delle modifiche al contratto degli atleti di cui non parla più nessuno da qualche mese – ma che rimane lì, in un angolino del tavolo – è esemplare: tre mesi fa circa la FIR propone le modifiche, l’AIR le controfirma ma i giocatori non ci stanno e dopo una riunione fanno avere una lettera al Consiglio Federale per rendere ufficiale la loro posizione. Pare quindi evidente la necessità di un’associazione che sia veramente “terza”, forte e rappresentativa dei giocatori.
Ben, questo passo è stato fatto, o quasi: oltre 70 atleti che militano nelle franchigie celtiche hanno dato mandato a un legale di dare vita all’associazione, che sta compiendo gli ultimi passi prima di diventare “reale”, ma è solo questione di tempo, pochissimo tempo. Un’Associazione di categoria, finalizzata a studiare, approfondire e contribuire a migliorare i rapporti professionali, morali, economici e sportivi, tra i giocatoried i loro interlocutori sportivi, istituzionali ed imprenditoriali, nel rispetto delle norme di legge e federali. FIR e franchigie sono state avvertite con una lettera.
Un passo a mio parere decisivo nella inevitabile, tardiva (per noi e non certo per colpa di chi ora la sta trasformando in realtà) e necessaria professionalizzazione del settore. Un passo che nel breve periodo metterà forse altra carne al fuoco in un momento molto difficile e caotico del nostro rugby, ma al contempo un passaggio fondamentale per gli atleti in una logica di tutela e di sviluppo di un rapporto bilanciato con le società sportive e la Federazione.