Stralcio del verbale dell’interrogatorio a Gino Strada
INTERVISTA DI DAVIDE FALCIONI PER AGORAVOX ITALIA
Gabriele Torsello è un fotoreporter indipendente. Si fa chiamare Kash. Un freelance abituato ad organizzarsi il lavoro in autonomia: fare foto, venderle ai giornali, incassare. I suoi scatti finiscono sui più importanti media del mondo: The Guardian, Washington Post, Liberation, Bbc e molti altri. Anche Onu, Amnesty International, Reporter Without Borders illustrano le loro campagne con scatti di Torsello.
Nel 2001, dopo aver raccontato conflitti in Kashmir, India, Pakistan e Nepal, Kash sbarca in Afghanistan. Ci tornerà anche nel 2006: il suo intento è quello di raccontare la vita dei civili nel contesto di terrore e distruzione generato dalla nostra “missione di pace”.
La guerra della coalizione Isaf è in corso, pochi giornalisti hanno accesso al Paese, stretto tra bombardamenti e attentati kamikaze, assassinii e rapimenti. Tra i target ci sono anche molti giornalisti. Gabriele Torsello è uno di loro: il 12 ottobre del 2006 viene rapito a Lashkar-Gah mentre si dirige a Kabul. È il primo reporter italiano ad essere sequestrato in quel Paese. Seguiranno 23 giorni di prigionia. L’Ong Emergency, tra i fautori della sua liberazione, nel raccontare la vicenda avrebbe, in alcuni casi, omesso parte dei fatti. “Ci sono state troppe ombre – spiega Torsello ad AgoraVox -, troppe omissioni nel racconto della mia liberazione”. Questa intervista intende dar voce a Kash, offrire spazio alla sua verità che, come vedremo, discosta talvolta non poco da quella ufficiale diffusa in questi anni. A Emergency, naturalmente, offriamo il pieno diritto di replicare.
Alle 5 del mattino del 12 ottobre del 2006 Gabriele Torsello lascia l’hotel nel quale alloggia, a Lashkar-Gah. Deve dirigersi a Kabul: intende rimanere nella capitale per un paio di settimane. Lì, dove la connessione internet è efficiente, lavorerà all’editing delle sue fotografie e tenterà di vendere ai giornali il reportage esclusivo nel villaggio talebano di Musa Qala.
La notte prima della partenza è stata infestata da strani presagi. Kash non si sente sicuro: racconta, nel suo libro “Afghanistan Camera Oscura”, che il giorno prima ha acquistato il biglietto dell’autobus che lo condurrà a Kabul, cedendo all’invito insistente di Rahmatullah Hanefi responsabile della sicurezza dell’Ospedale di Emergency di Lashkar-Gah. È la prima volta che acquista un biglietto di autobus in anticipo e non considera una decisione saggia far sapere della sua presenza in giro. Non si sa mai…
Infatti, pochi minuti dopo la partenza, l’autobus si ferma. È da poco sorto il sole. Kash ora è un po’ più sereno, ma quando vede l’uomo seduto al suo fianco nascondere un mazzo di denaro nel posacenere del sedile, un’ombra di paura cala sul suo volto. Nell’autobus entrano uomini con il volto coperto e armati di Kalashnikov. Uno di loro gli punta lo sguardo addosso e con tono minaccioso lo invita a scendere. Kash dapprima finge di non aver capito, ma ben presto i modi dell’uomo si fanno più espliciti. Torsello scende dal bus. Aggrappata al collo ha la macchina fotografica, dalla quale fa partire una raffica di scatti “alla cieca”. Il “commando” è composto da cinque uomini armati fino ai denti. Uno punta un lanciagranate verso l’autobus. Altri quattro imbracciano dei mitra. Kash viene fatto salire in un’auto, lo zaino fotografico gli viene sequestrato e sulla sua testa viene calato un mantello. I suoi aguzzini, intanto, gli urlano “Musa Qala, Musa Qala”.
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