Esclusivo! Intervista a Massimo Martelli, regista di “Bar sport”. Prima parte

Creato il 17 ottobre 2011 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

Il 1 ottobre scorso ho pubblicato un articolo con alcune mie riflessioni sul film Bar Sport, in sala da venerdì 21 ottobre. Pochi giorni dopo mi è arrivata una mail privata con alcuni interessanti commenti e osservazioni. La firma era Massimo Martelli. Ovvero il regista del film! Oh my God! Un regista che mi legge e mi commenta! Ripresomi dal semi-svenimento generatosi tra gioia e terrore, ci siamo scambiati alcune mail e abbiamo concordato quest’intervista, che è una vera esclusiva per Onesto e Spietato. Ecco la prima parte di quello che Massimo Martelli mi ha raccontato del suo nuovo film. Parliamo di come è nato il progetto, del rapporto cinema-letteratura, degli attori scelti. Ma c’è anche spazio per un favoloso aneddoto direttamente dal set. E molto altro! Buona lettura!

In primis, caro Massimo, grazie di concederci quest’intervista. Parliamo del tuo nuovo film, Bar Sport, che uscirà in sala il 21 ottobre. Come e quando è nato il progetto di portare al cinema lo storico romanzo di Stefano Benni?

È nato tre anni fa, era il sogno mio e del produttore Giannandrea Pecorelli, ne avevamo parlato spesso ma poi ne eravamo anche molto impauriti. Stiamo parlando di un libro mito, una bibbia della scrittura comica, ma non del comico, quindi molto difficile da “vedere” trasformato in un film.

Spiegaci meglio come è stato rapportarsi con questo “mostro sacro” della recente letteratura italiana. Quanto Stefano Benni ha messo mano, ha posto veti o elargito “licenze cinematografiche” nel passaggio della sua opera dalla carta stampata al grande schermo?

Il soprannome di Stefano, che conoscevo da anni, è Lupo e ho detto tutto. Benni è una delle persone, non solo degli artisti, più puri e coerenti che abbia mai conosciuto. Non si concede a televisioni, salotti, è frequentatore di teatri. Non va a pubblicizzare nemmeno i suoi libri e non aveva mai concesso diritti delle sue opere. Ma alla fine si è fidato di noi, del nostro entusiasmo e dell’approccio che abbiamo delineato verso la sua creatura.

Ancora una domanda sul rapporto cinema-letteratura. L’opera di Benni è una sorta di enciclopedia dei “tipi da bar” ed ogni capitolo è come un episodio a sé. Nel film viene rispettata questa struttura ad episodi o, al di là del bar come ambientazione unificatrice, c’è un filo rosso narrativo che lega ed intreccia le vite dei tuoi personaggi?

Tutte le trasposizioni cinematografiche da libri devono essere dei tradimenti all’opera letteraria. Io ho voluto tradire il meno possibile, noi sceneggiatori non abbiamo scritto una sola riga alla Benni, sarebbe stato un omicidio, per quello c’è il suo libro che è già molto visivo, visionario. Abbiamo soprattutto lavorato sulla struttura, il film (contrariamente al libro) ha un gruppo di amici che raccontano e ascoltano i racconti che partono tutti da un unico bar il cui proprietario è Onassis (Battiston). Abbiamo cercato di unire il tutto tramite l’amicizia tra lui, il Tennico tuttologo (Bisio), il cattivo (Catania), il nullafacente Cocosecco (Messini) e gli altri avventori che vivono tutti il bar come luogo di storie. Insomma una fusione, tanto per capirci, di “Amici miei” con “Broadway danny rose”. E, mistero del cinema, ne è venuto fuori un film strano, non omologabile, spesso poetico, lato del quale sono molto orgoglioso.

Sin dal trailer vediamo che ci sono alcune sequenze d’animazione. A cosa sono dovuti questi inserimenti?

Per mostrare e difendere la scrittura surreale e grottesca di Benni. Gli attori recitano da commedia, in modo naturale, realistico per produrre maggiore immedesimazione nello spettatore. Ma per non perdere i voli pindarici del libro abbiamo pensato di farli raccontare dal Tennico e di mostrarli attraverso i cartoni animati grazie ai quali ci siamo potuti permettere ogni follia.

Nel creare i tuoi personaggi avevi già in mente chi li avrebbe impersonati? Penso a Claudio Bisio nei panni del Tennico o Antonio Cornacchione in quelli del Bovinelli-tuttofare…

Bisio ha accettato prima della sceneggiatura. Siamo amici da anni, così come Angela Finocchiaro e Antonio Catania che tra l’altro spesso hanno portato opere di Benni in giro per i teatri. Ho scritto ogni ruolo pensando a chi poi lo ha interpretato, confidando nella voglia di tutti di partecipare ad un’impresa difficile ma affascinante  e anomala per il nostro cinema.

C’è un aneddoto “da bar” divertente, accaduto durante le riprese, che ci puoi raccontare?

Come faccio spesso, agli attori professionisti affianco non attori, gente comune. Arrivati a S.Agata, dove abbiamo girato, mi mancavano due ruoli: il Cinno (il ragazzino con la passione per la bicicletta) e il nonno da bar che non si sposta dal televisore in bianco e nero nemmeno quando è spento. Non ero soddisfatto delle scelte fatte, poi il miracolo. Ero davanti al nostro bar e mostro all’aiuto regia la finestra chiusa nella quale avrebbe dovuto abitare il nonno, esattamente sopra al bar, la indico e in quel momento la finestra si apre. Si affaccia un anziano, con la faccia furba fintamente burbera, e con un cappello da esercito sovietico e mi dice: “Cos’hai da guardare? Questa è casa mia!”. “E’ lui il nonno” dico all’aiuto. Non faccio in tempo a finire la frase che vengo investito da un monello in bicicletta. Li ho presi tutti e due, sono il nonno e Cinno del mio film.

Una curiosità: come è stata curata l’estetica di “sua maestà” la Luisona?

Mi viene da ridere, ne abbiamo fatto disegni su disegni, ma nessuno mi convinceva. Poi su una vecchia foto dell’epoca ho visto una pasta in un bar, dentro una bacheca, a forma di mammella enorme, con ciliegia rossa fiammante e coperta di glassa e mille altre cose. Ecco la mia Luisona. Poi il fornaio del paese mi ha detto che erano così davvero.

Tra un paio di giorni la seconda interessantissima parte dell’intervista… to be continued!



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