Pagina di diario del settembre 2009.
Se camminare in solitudine è la soluzione migliore per sviluppare le proprie capacità di controllo del respiro, del passo e del pensiero, camminare in compagnia rappresenta un’occasione preziosa per rafforzare i legami umani (di qualunque natura essi siano) e potenziare l’arte sottile dell’empatia.
Ne abbiamo avuto una bella conferma durante l’ultima escursione al Rifugio “Vittorio Sella”, in Valle d’Aosta, 2588 metri di altitudine.
Il percorso è arduo, adatto a camminatori allenati, ma è comunque accessibile alla maggior parte degli escursionisti (a patto che abbiano calzature idonee e siano disposti a sopportare la fatica di una marcia di tre ore in continua salita): il sentiero è infatti di facile individuazione e non attrezzato con corde fisse, scalette et similia.
Siamo partiti da Valnontey insieme a Mara e Antonio, il 15 agosto scorso: non certo il periodo migliore, per questo genere di escursioni, ma era il massimo che ci consentissero i rispettivi impegni lavorativi.
Antonio è un buon camminatore e riesce sempre a tenere allegra la compagnia, impedendole così di avvertire la fatica.
Cristiano possiede lunghe e forti gambe e – dote da non sottovalutare – la curiosità contagiosa del buon esploratore, che lo spinge a entrare in contatto profondo con l’ambiente che lo circonda.
Mara, infine, ama le escursioni fra le colline del Monferrato ma, prima dello scorso Ferragosto, non aveva mai marciato su sentieri di media-alta montagna. Per questo ha faticato per trovare il proprio passo, il ritmo regolare che consente il fluire armonioso dell’energia e del pensiero.
Quando ci fermavamo per bere un po’ d’acqua o mangiare un quadratino di cioccolata, era l’ultima a raggiungere il gruppetto e le esortazioni di Antonio – ironiche eppure benevole, pronunciate in un ridanciano dialetto trinese – non facevano altro che irritarla di più.
«Non riesco a camminare» mi confessava, arrabbiandosi con se stessa e con le proprie gambe. «Sono meno forte di quel che pensassi.»
Come molti camminatori alle prime armi, Mara peccava d’impazienza, ignorando che camminare è un’arte che si apprende nel tempo.
Soprattutto, Mara si impuntava sui propri difetti, senza vedere i pregi della propria tenacia, della pazienza impiegata nella discesa che, se non le permetteva di essere in testa al gruppo (particolare irrilevante per un buon camminatore!), le consentiva tuttavia di raggiungere un piccolo traguardo ad ogni passo.
L’esperienza del camminatore cresce infatti proporzionalmente con la sua ostinazione, con la meticolosità da formica che gli permette di vivere qui e ora senza badare a ciò che si è lasciato alle spalle né a ciò che troverà all’arrivo.
La grande adattabilità di Mara, il suo spirito capace di allargarsi con entusiasmo sino a comprendere per intero la bellezza intatta della natura, sono doni rari e imprescindibili, troppo spesso trascurati da chi teorizza sulle regole del “buon camminare” o, peggio ancora, si sofferma sull’aspetto meramente sportivo del “trekking”.
Giunti al rifugio nel primo pomeriggio, abbiamo fatto una puntata al laghetto Lauson, nella speranza di vedere qualche stambecco.
Speranza che è andata tristemente delusa: se, infatti, all’epoca della mia infanzia gli stambecchi scendevano numerosi lungo i crinali di fronte al rifugio (ho le foto che lo documentano), oggi, a causa del surriscaldamento del clima, non scendono oltre una certa altitudine e, per vederne qualcuno, è necessario spingersi fin sulla Punta Rossa.
Ci siamo così dovuti accontentare di qualche camoscio, un paio di marmotte e una lunga chiacchierata sulla sponda del lago.
Intorno alle sei e mezza abbiamo fatto ritorno al rifugio per la cena, consumata al tavolo con una coppia di inglese, fra le battute di Antonio con il gestore e i numerosi brindisi miei e di Mara, con un bel quartino di vino rosso.
Il fascino semplice – e tuttavia potente – dei rifugi di montagna è proprio questo: la condivisione spontanea degli spazi con altri esseri umani appare come una parentesi “altra” e suggestiva, in una realtà ormai dominata dalla diffidenza e dall’individualismo. Giocare a carte in una stanza di legno insieme a persone che non conosciamo e che (forse) mai più incontreremo nella vita; cenare insieme e poi cantare, non importa se in lingue diverse; condividere gli spazi del riposo (mentre si ascolta il vento ululare fra le cime delle montagne) e della pulizia, scambiando sorrisi, parole, esperienze; tutto questo ci rende liberi e migliori, anche se per breve tempo.
La sera abbiamo dormito in compagnia di “Scary” (dopo esserci fatti grasse risate su un’improbabile indigestione di funghi con cui Antonio voleva creare allarme e scompiglio nel cuore della notte) e il mattino dopo Mara, Cristiano e Antonio, meno indolenti di me, si sono alzati per ammirare lo spettacolo dell’aurore sulle cime circostanti.
Io, che sono pigra come un gatto e che conosco i dintorni del Sella come le mie tasche, ho preferito dormire ancora, attendendo la luce.
Dopo colazione, eravamo infine pronti per un’ultima breve escursione, prima di scendere a valle. Abbiamo così imboccato il sentiero della Rossa, deviando poi verso la punta ultima del ghiacciaio.
Quindi, seppure a malincuore, abbiamo iniziato la discesa, non mancando – nemmeno in questo caso – di fare incontri interessanti: dalle coppie con figli che, in salita, ci domandavano spossati quanto mancasse al rifugio; dai coniugi francesi con setter irlandese al seguito (uno splendido ed educatissimo esemplare) che hanno proseguito col nostro stesso passo per buona parte del sentiero; sino al coloratissimo gruppetto di indiani, incontrati lungo l’ultimo tratto di strada, che, tutti vestiti di tutto punto e con scarpette di cuoio, volevano tentare l’escursione. Li ho convinti a desistere e loro hanno voluto che mi fermassi per una foto di gruppo con tutta la famiglia.
Il ritorno a casa non è stato indolore: chi ama la montagna mi potrà capire. Non è mai facile ritornare alla vita quotidiana, ai ritmi delle città e del lavoro, dimenticando la pace delle pinete, il silenzio assoluto delle alte vette, la pace degli animali che le popolano e che insieme a noi camminano, in un cosmo perfetto e selvaggio al tempo stesso.
Eppure la montagna è necessaria. Non solo per ritemprarci, secondo la banale abitudine al relax; ma anche per trovare le giuste risposte, i giusti tempi, il senso primario del nostro essere al mondo.
Amo ogni genere di montagna, l’ho sempre amata. In particolare, quando ritorno nella valle di Cogne, è come se tornassi a unirmi (in un unicum rasserenante) con la bambina che sono stata e che prima di me ha percorso quei sentieri, amato quelle pietre, accarezzato quell’erba.
Al Sella ci sono andata per la prima volta con i miei genitori. E’ stato mio padre ad insegnarmi a camminare. Ci sono ritornata a otto anni, con i mia madre, mio padre e una coppia di cari amici. Oggi una nuova spedizione, col mio compagno e i migliori amici: è come se desiderassi condurli tutti alla fonte, per essere certa di non smarrirli mai.