Magazine Diario personale

Esiste, lo sporco impossibile

Da Lipesquisquit
sottotitolo: Il Signore dei Fornelli

Quando tre nerd atroci come il Piva, il Pao e il Listone decidono di andare a vivere insieme, l’universo intero subisce una deformazione, e la vita domestica stessa finisce per assomigliare pericolosamente a un gioco di ruolo, uno di quelli con mostri, draghi, elfi e cavalieri. Questa trasformazione della realtà non è, come si potrebbe pensare, un prodotto della mente malata dei tre viandanti, ma una necessità dell’anima, la mediazione di una verità troppo orribile per essere accettata così com’è dagli umani, una trovata ermeneutica capace di ridare vigore a tre sventurati individui annichiliti dall’inaspettata potenza del Male.(per quanto segue, si raccomanda la lettura ad un pubblico adulto, a stomaco vuoto)

C’era una volta una Principessa bella e buona, che viveva a Roma ed era anche proprietaria di un grazioso appartamento situato in quel di Perugia. Come tutte le principesse che si rispettino, la nostra Principessa era gentile e generosa, tanto che affittava il suo grazioso maniero perugino a un prezzo più che umano. L’appartamento in questione era piccolo e accogliente, arredato con tanta buona volontà e tanto amore dalla Principessa in persona, ma un triste giorno, come nel Signore degli Anelli, un’oscura minaccia arrivò dall’est. Dei simpatici e apparentemente innocui giapponesi, proprietari di un simpatico e apparentemente innocuo ristorante, presero in affitto l’appartamento dell’ignara Principessa, che, poverina, non poteva immaginare quanta malvagità si nascondesse nei graziosi occhi a mandorla dei suoi inquilini.Passarono i giorni, le settimane e i mesi, finchè una brutta notte la Principessa ebbe un incubo terribile: sognò una nube nera, pastosa e inarrestabile che sghignazzava di malvagità e, divorando ogni cosa, avanzava verso il suo appartamento perugino. La Principessa si svegliò di soprassalto, salì sul suo destrierò più veloce e cavalcò tutta la notte verso nord, per poi scoprire che l’incubo si era realizzato: gli inquilini giapponesi in poco tempo avevano devastato il suo appartamento ed erano spariti nel nulla, lasciandosi dietro una scia di terrore, di debiti e un avvolgente, appiccicoso, nero lerciume spalmato in tutta la casa, probabilmente il risultato di giorni e giorni di frittura continua di Dio solo sa cosa.
(parentesi di chiarimento: in questo racconto non si vuole inneggiare all’intolleranza o all’odio razziale. Quando verrà usata l’espressione “musi gialli di merda” sarà soltanto un artificio letterario, riferito ai cattivi di questa storia e utile per creare un certo pathos, assolutamente non riferibile all’intero popolo asiatico. L’autore del racconto, cioè il sottoscritto, non odia nessuno e non farebbe male a una mosca. Dico davvero, appiccicosi ex inquilini orientali: non è che io detesti la vostra diversità fenotipica, non me ne frega veramente un cazzo se voi avete gli occhi a mandorla e io no, è solo che io ODIO in senso assoluto il vostro rapporto con l’igiene e con la civiltà occidentale, e non c’è niente di male ad odiare tutto questo, per ragioni inoppugnabili. Il vostro rapporto con l’igiene, dannati musi gialli di merda, è assolutamente nullo, e a odiare il Nulla non si commette alcun male o peccato o crimine, perché, Cristo santo, tutte le cose vive odiano e devono odiare il Nulla, e io che sono vivo – e soprattutto lavo il mio corpo, nonché l’ambiente che abito – posso e devo odiare voi che ne siete il canale, che siete gli appiccicosi araldi del Nulla. Non ho niente contro la vostra cultura, adoro i samurai, i manga, i maniaci sessuali che li disegnano e anche il sushi, è solo che nel vostro unto di merda io vi ci bollirei, e poi vi darei l’estrema unzione con la salsa di soia).
L’ex grazioso appartamento della Principessa, dunque, ormai era una specie di buia caverna puzzolente e appiccicosa, il soggiorno e la cucina erano perduti, mobili compresi, per non parlare del bagno; giusto le camere si erano quasi salvate. Armati di coraggio, gli uomini della Principessa riuscirono soltanto a ritinteggiare le pareti e a pulire il pavimento con fiamme di drago, ma di fronte alla potenza del rimanente unto giapponese non poterono nulla e vennero ricacciati indietro dalle forze delle tenebre, mentre una profonda, pastosa risata di malvagità riecheggiava nelle stanze corrotte dal Male.La Principessa era disperata: chi mai avrebbe potuto allontanare questo orrore dalla sua casa perugina? Nessuno sarebbe mai riuscito ad affrontare una simile minaccia, non era certo roba per gente comune o normali professionisti dell’igiene. Qui ci vorrebbero degli eroi, pensò in lacrime la Principessa fissando malinconicamente il tramonto, ma in questi tempi oscuri è difficile trovarne. Fu così, che quando tutto sembrava perduto, il cellulare della Principessa squillò, e tre baldanzosi eroi in cerca di un appartamento in affitto risposero all’annuncio che sua maestà il Re, padre della Principessa, aveva affisso su Cerco e Trovo.“Udite qui: offresi appartamento in affitto a chi riuscirà a sconfiggere l’Oscuro Signore dell’Unto”, disse il prode Listone, aspirante chierico nelle arti della fisioterapia, con una copia di Cerco e Trovo in mano.“V’è dunque un malvagio essere da sconfiggere?”, rispose il sagace Piva, giovine avventuriero volenteroso.“Non solo. La mia esperienza mi dice che c’è anche una Principessa in pericolo”, osservò il vetusto Pao, anziano studioso dal naso imponente.Fu così che i tre eroi finirono per chiamare la Principessa, e una volta appresa la situazione non persero tempo. Presero al volo le loro bisacce, saltarono in groppa ai loro possenti destrieri, e dalle desolate lande di Foligno galopparono alla volta di Perugia. Soccorsa la Principessa in lacrime, i tre le fecero una solenne promessa: da quel momento il Male avrebbe soltanto potuto retrocedere dalle stanze regali, poiché, a suon di ramazza, le forze della Luce avrebbero trionfato di nuovo.La Principessa fu rincuorata dall’arrivo dei tre eroi, consegnò loro le chiavi del maniero, gli promise a sua volta un cospicuo sconto sull’affitto e, prima di ritirarsi, disse loro di fare molta attenzione a non incrociare i prodotti sgrassanti tra di loro, poiché la cosa avrebbe scatenato un potere inarrestabile, impossibile da controllare.
Non appena entrarono nell’ex grazioso appartamento, i tre eroi vennero stravolti dall’opprimente presenza dell’Unto. Il male era palpabile, e decisamente appiccicoso. Le pareti erano state ritinteggiate, ma tutto il resto era più che mummificato: i mobili, l’arredamento, le stoviglie si erano conservati intatti, ma erano sepolti sotto un resistentissimo strato di caramello maligno, l’indicibile forza scatenata dall’empia frittura orientale.“Questo non è sporco: è cattiveria”, disse sconvolto il prode Listone.“E’ senza dubbio una forza ostile”, disse atterrito il giovine Piva.“E’ il Male”, sentenziò il vecchio Pao.Rovistando nell’armeria personale, i tre eroi misero insieme un arsenale di armi abrasive e pozioni sgrassanti, recitarono le dovute formule di benedizione, si fecero coraggio e alle prime luci dell’alba si scagliarono contro l’Oscuro Appiccicoso Signore che tutto avvolge. I tre valorosi strofinarono e strofinarono, si batterono con onore, ma rimasero invischiati a loro volta nella malvagità dell’Unto, e nell’epico scontro la loro anima finì per corrompersi e smarrirsi: il Male era riuscito a dividerli per affrontarli meglio. Ben presto i tre si ritrovarono immersi in una pece malefica, divincolandosi senza speranza, pronunciando frasi sconce ed empietà contro gli déi (che qui non riportiamo), mentre l’Unto malefico risorgeva ogni volta più potente e grande che pria, facendosi beffe di loro.“Niente e nessuno può eliminare questa confettura di merda!”, disse disperato il prode Listone, con una ramazza spezzata tra le mani.“Aiutatemi! Sto per essere soverchiato!”, gridò l’audace Piva dal cesso, mentre una voce gorgogliante e pastosa da sconosciute profondità gridava siete miei.“Quanta malvagità ci vuole per generare uno schifo così epico?”, disse con amaro sconforto il vecchio Pao dai fornelli, il punto da cui era emanata tutta la vischiosità dell’Oscuro Signore.I normali prodotti igienizzanti non potevano nulla contro l’oscura magia rigenerante dell’Unto, nemmeno se supportati dalla buona volontà dei tre eroi, ma proprio quando le loro forze sembravano venir meno il prode Listone rinvenne in un cassetto l’arma risolutiva: il Pugnale del Donca, una lama forgiata da sconosciuti esseri di luce, parzialmente corrotta, ma ancora in grado di recidere i tentacoli del Male, scrostarlo da ogni superficie, illuminare le tenebre con il suo argenteo riflesso e ridare forza agli eroi. Brandendo il Pugnale, l’audace Listone si liberò dalla marmellosità dell’Unto, soccorse gli altri eroi e insieme a loro elaborarò un piano per ribaltare le sorti dello scontro.
“I Saggi hanno sempre sostenuto che non esiste lo sporco impossibile!”, disse spaventato Listone.“I Saggi sbagliavano”, ammise rattristato il Pao, cercando di divincolarsi dalla stretta dell’Oscuro Signore. “Il Male ci ha contagiati”.“Ma adesso che lo conosciamo, possiamo sconfiggerlo!”, disse il giovane Piva, riemergendo dal Fosso di Melm. Fu così che i tre eroi divennero i Vendicatori Corrotti, guerrieri in parte contagiati dall’oscurità, ma ancora al servizio della luce.Senza perdersi d’animo, i tre raccolsero le forze per un nuovo assalto. Il possente Pao benedì il suo naso cospargendolo di magico Sgrassatore Universale, e a colpi di nasca riuscì a tenera a bada le forze del Male che emanavano dai neri fornelli. Nel frattempo, Listone e il gagliardo Piva cercarono di aggirare le legioni appiccicose e inesorabili dell’Oscuro Signore.“Una cosa soltanto può sconfiggere questo Male”, disse Listone ergendosi in tutta la sua fierezza.“L’amicizia?”, domandò il Pao, con il naso ammaccato.“L’amore?”, domandò Piva, armato di doppia spugnetta abrasiva.“No. Il Cif”, rispose sicuro l’aspirante occhialuto fisioterapista.“Ma non puoi passare il Cif dove hai già passato due tipi di sgrassatori diversi!”, gridò preoccupato il Pao.“Scateneresti il potere inarrestabile!”, aggiunse disperato Piva, nel mezzo della battaglia.“Sticazzi”, esclamò Listone, “indossate queste e continuate a combattere”, disse, e lanciò loro delle bianche maschere protettive di chiara fattura elfica.I tre eroi indossarono le maschere, lanciarono il Cif e tentarono l’impossibile. Fu così che la battaglia raggiunse il suo apice, mentre una densa schiuma bianca prodotta dall’incontro del Cif con i vari sgrassanti minori riempì l’ex grazioso appartamento della Principessa, purificando ogni angolo e togliendo venti o trenta anni di vita ai tre eroi. L’Oscuro Signore venne preso alla sprovvista dallo stratagemma: in tutta la sua malvagia esperienza, non aveva mai incontrato degli avversari tanto audaci da unire le forze sgrassanti mettendo in pericolo la loro stessa vita.Al tramonto, la bianca schiuma si ritirò. I tre eroi impugnarono nuove spugnette pulite e cominciarono a raschiare via ciò che restava dell’Unto, stavolta davvero. Fu sera e fu mattina, e i primi raggi di sole dell’aurora illuminarono finalmente un appartamento purificato: il Male era stato cacciato. Piva e Listone, provati dallo scontro si trascinarono verso i fornelli, e videro nella nebbia la spigolosa, famigliare sagoma del naso del Pao, ferito, ma anche lui vittorioso sull’Unto.“Dannazione, l’aspiratore dei fornelli è ancora posseduto dall’Oscuro Signore!”, disse preoccupato il prode Listone, aggiustandosi gli occhiali.“Quando un male troppo potente non può essere combattuto, non rimane che seppellirlo in un luogo dal quale non potrà più uscire”, disse il Pao, chiudendo per sempre il pannello dell’aspiratore. “Nessun mortale dovrà mai aprirlo”, fu il suo monito conclusivo. Il giovane Piva annuì.I tre eroi mandarono un messaggio carico di speranza alla Principessa, che trasalì dalla gioia e fece recapitare loro una bottiglia di ottimo barbera per festeggiare la vittoria, con una promessa di gloria eterna, montagne d’oro e una cena a palazzo.
Ripuliti via i segni della battaglia, i tre eroi conservarono il sacro Pugnale del Donca sotto una teca di cristallo, e finirono il lavoro con delle normali pulizie da umani. Il Pao raccattò l’immondizia da buttare, Listone spazzò il pavimento e il giovane Piva suggellò il tutto con una passata di mocio. Tuttavia, il contenuto del secchio attirò l’attenzione del Pao.“Audace Piva, aspetta un momento: hai passato nel soggiorno il mocio con la scolatura della candeggina già usata per ripulire il bagno?”, domandò preoccupato.“Certo. E’ sempre candeggina, no?”, domandò a sua volta Piva.“O Déi! Allora tutto l’Unto del bagno adesso è spalmato nel soggiorno!”, esclamò Listone.Il povero Piva non riuscì a dire nulla.“C’è qualcosa che non va, prode Listone. Non può aver preso da solo una decisione così idiota”, osservò il Pao, insospettito.“E’ stata… la voce nella testa a dirmi di farlo…”, balbettò Piva.“Com’era questa voce?”, domandò severo Listone.“Sembrava Enrico Ruggeri… era pastosa… direi quasi… unta.”, rispose Piva, mentre il terrore attanagliò i cuori dei tre eroi. In quel momento una risata profonda e bisunta si sollevò dal pavimento e riecheggiò per il soggiorno.“Oh no… che cosa ho fatto!”, gridò terrorizzato Piva, estraendo velocemente il Pugnale del Donca dalla teca.“Questa guerra non finirà mai!”, disse Listone, aggiustandosi gli occhiali e impugnando due bottiglie di Cif.“E allora così sia”, disse il Pao, roteando una ramazza lucente a doppia spazzola, mentre l’Unto avanzava di nuovo.
“Questa spugnetta ha visto la battaglia” (Pao)“Prima che il gallo canti, ti avrò sgrassato tre volte” (Listone)“Questo è il mio scopettone. Ce ne sono molti come lui, ma questo è il mio” (Piva)

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