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Esistono soltanto relazioni. Simmel

Da Bruno Corino @CorinoBruno

Esistono soltanto relazioni. Simmel

Chi ha letto i miei interventi ha intuito che alla base del mio pensiero c’è una concezione relazionale dell’essere. Richiamandomi esplicitamente a quanto sostenuto da Simmel, condivido l’assunto secondo il quale: «Esistono soltanto relazioni». Da questo punto di vista, l’essere (o l’agente sociale) non precede mai la relazione: esso si costituisce come tale soltanto all’interno di una relazione. Di per sé ogni elemento, al di fuori della relazione, manca di consistenza. Soltanto quando viene in contatto con un altro elemento, esso acquista unitarietà e consistenza, vale a dire si individualizza come tale, e quindi si identifica differenziandosi da un altro elemento. Nella loro processualità infinita quanto concreta, le relazioni possono essere percepite in senso reattivo (lineare), retroattivo o interattivo.
Per chiarire quanto detto, sviluppiamo questo ragionamento: una persona che si comporta onestamente, viene definita come una persona “onesta”. L’onestà diventa un “carattere” della persona. Ora, se questa persona si percepisce come una persona onesta, si comporterà come tale. Tra l’essere “onesto”, “quasi onesto” e “disonesto”, il tratto prevalente è l’onestà. Poniamo adesso questo problema: la persona è onesta perché si comporta in modo onesto oppure si comporta in modo onesto perché è una persona onesta? In altri termini: il suo comportamento (onesto) è effetto del suo essere (causa), oppure il suo essere (onesto) è effetto del suo comportamento (causa). Il quesito posto in questi termini sembra all’apparenza essere un “circolo vizioso”. In realtà possiamo uscirne soltanto se si chiarisce se stiamo attribuendo il tratto alla persona o alla modalità comportamentale: in termini assoluti non esiste una persona onesta, bensì esistono soltanto comportamenti definiti come onesto o disonesti, riferiti inoltre sempre a una situazione definita. Infatti, è in base alla particolare situazione che possiamo giudicare un comportamento come onesto o come disonesto, cioè lo facciamo sempre in base alle particolari circostanze. Quando i casi si ripetono, e il soggetto rimane sempre costante, allora si arriva ad attribuire il tratto alla persona. In altre parole, la reiterazione del comportamento onesto definisce anche l’agente che li mette in atto. Anche la persona che si percepisce come onesta, tenderà a comportarsi come tale: la reiterazione del comportamento onesto rafforza questa convinzione, e la convinzione rafforza la reiterazione. Questo meccanismo innesca un rapporto di ricorsività o di reciprocità. Tale meccanismo non vale soltanto nei propri confronti; anche un agente esterno quando osserva una persona comportarsi in ogni circostanza in modo onesto, tenderà a percepirla come onesta: il comportamento di chi si comporta il più delle volte in modo onesto crea una aspettativa. Quindi, anche nell’osservatore esterno la reiterazione del comportamento identico rafforza una convinzione, e la convinzione rafforza un’aspettativa.
Poniamo ancora quest’altro problema: quando qualcuno riesce a resistere alla tentazione di rubare è perché ha un carattere onesto? Il carattere onesto è una proprietà inerente alla persona, oppure, si tratta di una proprietà inerente al comportamento? Se dicessi che qualcuno è più capace di resistere rispetto a un altro alla tentazione di rubare perché è più onesto, è come se dicessi che sia l’onestà a frenare quella persona dalla tentazione di rubare; cioè, concepisco l’onestà come causa del comportamento: per cui, maggiori dosi di onestà ci sono all’interno di una persona minore probabilità che quella persona ceda alla tentazione di rubare. Equipariamo l’onestà a una “sostanza” che, come uno “sciroppo”, più ne ingurgitiamo più ci rende onesti! Perciò, se affermo che un agente non ruba perché ha un carattere onesto è come se trasformassi il carattere “onesto” nella “causa” del comportamento, vale a dire l’onestà diventa ciò che frena la tentazione di rubare, e il comportamento diventa “effetto” di essa. Dal momento che la proprietà inerisce a un soggetto, allora anche la causa inerisce al soggetto: perciò un soggetto onesto ha come effetto di comportarsi in modo onesto. Quindi, il “tratto” diventa una proprietà del soggetto, e i suoi comportamenti sono tratteggiati come tali perché discendono dal soggetto. In tal modo il soggetto, come unità che tiene insieme tutte le proprietà, diventa causa del comportamento, il quale a sua volta, come effetto, diventa il modo in cui il soggetto si manifesta.
In realtà, quando scopriamo che qualcuno non cede alla tentazione di rubare per il timore di essere scoperto, allora escludo che sia l’onestà a porre un freno a questa tentazione. Il “timore d’essere scoperto” d’altro canto non è neanche del tutto sufficiente a comprendere perché un agente eviti di rubare; a ciò, infatti, deve aggiungere le conseguenze che derivano dall’essere scoperto: il biasimo, il provare vergogna, la punizione, ecc., vale a dire tutto ciò che consegue da un altro comportamento, perché se “dall’essere scoperto” non comportasse nessuna conseguenza non si capirebbe nemmeno perché si dovrebbe provare un qualche timore. Il timore d’essere scoperto diventa a questo punto la causa del mio comportamento (onesto/disonesto).
Ora, chi può mettere in atto una conseguenza, ad esempio un comportamento punitivo, è comunque un altro agente che ha “scoperto” colui che rubava. Quindi, se dico che mi comporto in modo onesto perché ho timore delle conseguenze, l’onestà, attribuibile alla mia persona, non è affatto la “causa” del mio comportamento. A questo punto il mio comportamento dipende da un altro comportamento. Tuttavia, l’“essere scoperto” è una probabilità, non una certezza assoluta, funziona cioè come deterrente al mio comportamento, perché non accade mai di essere scoperti prima di aver commesso un atto disonesto. Il “comportamento punitivo”, dunque, ha un effetto retroattivo sul mio comportamento, cioè il comportamento punitivo si mette in atto nel momento in cui sono stato scoperto mentre mi comportavo in modo disonesto: in altri termini, il comportamento punitivo è l’effetto (e non la causa) del mio comportamento disonesto (che diventa la causa).
Riassumendo, possiamo avere diverse posizioni o punti di vista su come possiamo interpretare un tratto: a) se si attribuisce il tratto alla persona, il tratto viene percepito come una “sostanza” o come causa del comportamento; se si attribuisce il tratto al comportamento, allora esso viene percepito o b) come effetto di un altro comportamento o c) come causa. Se, infine, attribuiamo il tratto a una modalità interattiva, allora possiamo interpretarlo simultaneamente come causa/effetto o più semplicemente come un rapporto di reciprocità.


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