Esodo Biblico?

Creato il 02 febbraio 2011 da Fugadeitalenti

foto:flickr

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Non sono pochi: il 40% degli italiani intenzionati a lasciare la Penisola per andare all’estero, assomigliano a un vero e propio esodo di massa! Almeno nelle intenzioni…

A rilevarlo nei giorni scorsi è stato l’Eurispes, facendo così crollare uno degli ultimi veli di ipocrisia che ancora circondano la realtà dei fatti: l’Italia è un Paese sempre più in declino e marginale sulla scena pubblica mondiale. Dal quale, come conferma pure lo studio Eurispes, puntano a scappare le forze più giovani e vitali della società: un giovane su due (fascia d’età 25-34 anni) è disposto a cambiare nazione di residenza. In quattro anni la percentuale di chi è intenzionato a restare nel Belpaese è diminuita di oltre dieci punti, passando al 47,7%, sotto la metà degli intervistati. In termini assoluti, ben quattro italiani su dieci sono dunque pronti a trasferirsi all’estero: preferibilmente, in Francia, Stati Uniti e Spagna (alla faccia della crisi iberica…).

Coincidenze di numeri: il 47% di chi resta intenzionato a vivere in Italia coincide -curiosamente- con un altro 47%: si tratta del totale dei cosiddetti “sottoinquadrati“, coloro cioé che possiedono un “titolo superiore a quello maggiormente richiesto per svolgere quella professione”. Un fenomeno, denuncia l’Istat, equamente diffuso in tutta la Penisola.

Lisa e Blue M, lettori del blog, mi segnalano al proposito l’ennesima conferenza stampa del Governo sull’occupabilità dei giovani, svoltasi la scorsa settimana. Vi hanno preso parte il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi (quello che -per intenderci- incita il restante 53% dei giovani ad accettare “qualsiasi lavoro”), il Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini e il titolare della Gioventù Giorgia Meloni. Nulla di nuovo, per carità… semplicemente i tre Ministri hanno ricordato che il Governo ha stanziato un miliardo di euro per l’occupabilità dei giovani, così ripartiti: 486 milioni dal Welfare, 492,5 dall’Istruzione, 103,8 dalla Gioventù. I tre puntano a superare il disallineamento tra scuola e mercato del lavoro, valorizzare il contratto di apprendistato quale strumento privilegiato di ingresso, e riaffermare il lavoro manuale quale sbocco possibile per tutti i giovani disoccupati. Anche i laureati. A parte che continuare a ripetere quest’ultimo mantra significa non avere ben chiaro il quadro reale dell’Italia (dati Istat sul sottoinquadramento alla mano)… in ogni caso il commento più bello l’ha “postato” Marilyase” su questo blog: “Obama ieri ha dichiarato: «Mezzo secolo fa, quando siamo stati sconfitti dall’(ex)Unione Sovietica che ha inviato nello spazio un satellite chiamato Sputnik, non avevamo idea che avremmo restituito il colpo, andando sulla Luna. La scienza non ci era arrivata, la Nasa non esisteva. Ma con i giusti investimenti li abbiamo superati, con innovazione e creando milioni di posti di lavoro. Per la nostra generazione questo è il momento dello Sputnik». Poche ore prima i ministri Gelmini, Meloni e Sacconi davano la propria visione del futuro: I giovani italiani soffrono di “inattitudine all’umiltà” [...] “C’è un atteggiamento talvolta passivo o distratto da parte delle nuove generazioni”. Il piano [...] ruota intorno [...] alla valorizzazione del contratto di apprendistato come strumento privilegiato d’ingresso nel mondo del lavoro, e del lavoro manuale come sbocco possibile per tutti i giovani disoccupati, laureati compresi“.

Ringrazio Marilyase per aver ben illustrato la totale mancanza di visione di questi Ministri: non è semplicemente una questione di visione “politica”, ma di visione tout court del mondo. I tre Ministri sono lo specchio perfetto di questa Italia: nessuna sfida, nessun progetto di largo respiro, solo un gran tamponare falle, con membri del Governo che -anziché spronare l’esecutivo a disegnare una strategia di politica industriale degna di questo nome- invitano i giovani laureati ad andare nei cantieri. Ma con quale coraggio?

Il contesto generale, mi rendo conto, non aiuta: secondo la Camera di Commercio di Milano, il 38,7% delle aziende milanesi si affida a segnalazioni di amici, conoscenti e fornitori per assumere. La media italiana -pensate- sale fino al 49,7% (!), quella lombarda non è lontana (44,4%)… Questi gli altri metodi utilizzati nella ricerca del personale in Lombardia: consultazioni di proprie banche dati 18,3%, inserzioni 12,4%, società di selezione del personale 10,2%, interinali 10%, centri pubblici per l’impiego 4,1%. Che siano segnalazioni all’americana o raccomandazioni della peggior specie importa fino a un certo punto: il problema è sempre lo stesso, un giovane brillante e di talento può trovare lavoro affidandosi solo alle proprie forze, in Italia? Se circa la metà delle assunzioni viene conclusa per chiamata diretta, senza pubblicizzazione di alcun tipo, come possono i giovani consultare le offerte aperte e disponibili?

Sul fronte industriale. Un confronto europeo, pubblicato a fine gennaio da “Il Sole 24 Ore”, mostrava come il Belpaese sia in ritardo e in affanno praticamente su tutti i parametri indicati dallo Small Business Act: il paradosso vero, leggendo l’articolo, è che esiste un gruppo di giovani imprenditori che si stanno orientando verso le aree di business e verso i settori a più alto tasso di crescita… ma si trovano a combattere con un panorama produttivo eccessivamente frastagliato in piccole e microscopiche imprese, fortemente in ritardo sul fronte dell’innovazione, con grosse difficoltà nell’accesso al credito e forti ritardi nei pagamenti. Un humus decisamente fertile… Come ben riassume il Terzo Rapporto del servizio studi Intesa Sanpaolo: a resistere in questi mesi di crisi sono stati soprattutto i 18 poli tecnologici (settori biomedicale, farmaceutico ed aeronautico), che nei mesi più terribili di discesa del Pil sono riusciti addirittura ad incrementare il loro fatturato. Come? Puntando sull’innovazione.  Corrado Passera ha così riassunto i quattro motori che potrebbero far ripartire la crescita del Paese: competitività delle imprese (innovazione, internazionalizzazione e crescita dimensionale), funzionamento del sistema-Paese (infrastrutture, educazione, giustizia), coesione sociale (Welfare) e dinamismo sociale (mobilità, meritocrazia, processi decisionali). Sulla carta, una ricetta ineccepibile. Ma ce la faremo?

Jeffrey Feltman, inviato degli Stati Uniti in Tunisia, rispondeva così a una domanda dell’agenzia Ansa qualche tempo fa, circa i tumulti antigovernativi: “Mi aspetto che i Governi del mondo, guardando alla Tunisia, si rendano conto che i giovani e la società civile sono parte della soluzione“. Capito, Italia?


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