Esoterismo e cospirazione politica nei romanzi di Roberto Arlt: un confronto con Curzio Malaparte e Pier Paolo Pasolini.
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di Primo De Vecchis
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Vita e opere di Roberto Arlt
I.5. Dal romanzo al teatro
El amor brujo esce nel 1932 con la promessa di un seguito, El pájaro de fuego (L’uccello di fuoco), che non realizzerà mai: la ricezione infatti dell’ultimo romanzo arltiano è desolante; critica e pubblico (fatte le debite eccezioni) semplicemente lo ignorano o rifiutano la visione pessimistica dell’amore borghese (il matrimonio, la famiglia) che ne emerge. Alcuni critici, come Aníbal Ponce e Lázaro Liadro, la considerano l’opera peggiore di Arlt. Secondo loro il talento narrativo pare affiochirsi, la parabola sarebbe ormai discendente. Il romanzo forse è davvero troppo iconoclasta e inusuale per l’epoca e cade come un sasso nello stagno non risvegliando minimamente l’attenzione del pubblico.
Arlt, che è sensibile alle reazioni del pubblico e del mercato, decide quindi di cambiare rotta; non ha perduto il suo entusiasmo, quella passione che lo risolleva dai plumbei pensieri metallici di aspirante suicida; ha già identificato una nuova valvola di sfogo creativa, un modo per riavvicinarsi al grande pubblico, al ‘popolo’ al quale anela spasmodicamente: il teatro.
Comincia ad avvertire le potenzialità espressive del teatro; d’altronde le sue prose sono naturalmente adattabili al palcoscenico (come i romanzi di Dostoevskij e di Kafka in fin dei conti). I suoi personaggi così drammatici sono dei veri e propri caratteri; le scenografie multicolori faranno le veci delle descrizioni allucinatorie: come i cartoni e i fondali dei primi film espressionistici, Das Cabinet des Dr. Caligari (Il Gabinetto del Dr. Caligari) di Robert Wiene del 1920 in primis.
D’altronde Los siete locos è già stato ridotto per il teatro egregiamente dall’amico Leónidas Barletta, che sarà uno degli artefici di questa nuova metamorfosi arltiana.
Arlt abbandona il genere romanzesco per abbracciare un’altra forma di espressione (sempre veicolata dalla parola). Non sarebbe la prima volta né l’ultima.
(Ad esempio Pasolini trascorre dalla poesia al romanzo e poi al cinema, passando per il teatro, per motivi affini: arrivare a un pubblico più ampio, ma soprattutto sperimentare nuove forme).
Arlt è uno sperimentatore, letteralmente è anche un inventore (fallito, però) come testimonia l’impresa di creare le prime calze di nylon al mondo per diventare ricco, è uno scrittore che ama sporcarsi le mani, che non rifugge dalla realtà; il giornalismo di strada lo ha formato.
Tale passaggio reca con sé un maggior interesse per la politica e determina un avvicinamento ai gruppi di sinistra, una maggiore adesione a giornali e riviste strettamente legate al Partito Comunista. Nasce un desiderio d’impegno, un ulteriore modo d’intervenire sulla realtà presente. Ma il passaggio al teatro non è drastico bensì graduale.
V’è anche una breve parentesi radiofonica (Radio El Mundo) presto chiusa per il troppo basso livello culturale degli ascoltatori (soprattutto ascoltatrici).
Per comprendere questo rapporto che crescerà nel tempo bisogna almeno risalire al 1930, anno di fondazione del Teatro del Pueblo da parte di Leónidas Barletta. Trattasi d’una sorta di teatro povero o proletario sulla scia di noti esempi francesi (Le Théâtre du peuple di Romain Rolland in primis) che si configura a partire dalla crisi economica del ’29, come reazione sociale ad essa, come sfida per far giungere le idee di una forma di teatro indipendente (nazionale e internazionale) alla gente comune, in modo insomma di elevare intellettualmente le masse. Le ristrettezze economiche sembrano aguzzare l’ingegno e la fantasia e le energie non mancano. Si susseguono pièces teatrali di Luigi Pirandello (ammirato da Arlt), Armando Discépolo e Joris Karl Huysmans.
Leónidas Barletta riesce a sorprendere Arlt, sempre pervaso da un ghiribizzoso spiritello ironico e scettico, rappresentando nel 1932 un episodio particolarmente drammatico de Los siete locos: El humillado (L’umiliato). È una folgorazione per lo scrittore che scopre la potenzialità teatrale del suo peculiare stile letterario, visionario ma al tempo stesso indagatore del subconscio dei caratteri. Nel giugno dello stesso anno una nuova opera arltiana, scritta appositamente per l’occasione, viene messa in scena: si tratta di 300 millones, dramma che prende spunto da un episodio di cronaca nel quale si era imbattuto quand’era cronista di nera (il suicidio di una serva gallega che aveva smesso di credere al sogno della vita). Arlt ancora una volta s’immedesima nel dramma di quella povera creatura, penetra nel suo cervello modesto, imbevuto di letture di romanzi d’appendice (dalle avventure di Rocambole ai romanzi della Invernizio), assimilate però senza alcuna distanza critica bensì lanciandosi in un’ingenua immedesimazione in personaggi e situazioni che avrebbero la funzione di compensare e di bilanciare una trita esistenza d’immigrata, costellata di disinganni. Ma anche il mondo fantasmagorico delineato da quei romanzi si rivela un’illusione e la servetta così soccombe sotto il peso dell’angoscia e della disillusione. Una tipica parabola arltiana che riallaccia 300 millones all’opera ‘d’esordio’, El juguete rabioso, giocato anch’esso in parte sul tema del donchisciottismo, sulla tragica discrepanza tra finzione letteraria riparatrice e pura realtà della vita schiacciata dai conflitti di classe e dove non sempre i migliori trionfano.
(Ad esempio nel marchese de Sade la morale consolatrice dei romanzi viene ribaltata nel suo opposto: la virtù è cagione di sventure mentre il vizio prospera).
Tale pièce può incuriosire proprio per l’assetto formale; si sviluppa infatti generando almeno due piani paralleli: la realtà nuda e la proiezione d’un mondo immaginario, manifestazione del subconscio. La serva Sofia evade così dalla realtà attraverso il sogno; denuncia le carenze della realtà che le tocca vivere, negandola. Un plot che può essere paragonato all’atmosfera di certe novelle di Luigi Pirandello e che traspare anche nel teatro (si veda la novella Il treno ha fischiato del 1914).
La parentesi teatrale ormai aperta sarà ampia e includerà opere come Saverio el cruel (Saverio il crudele) del 1936, El fabricante de fantasmas (Il fabbricante di fantasmi), dello stesso anno, La isla desierta (L’isola deserta) del ’37, La fiesta del hierro (La festa del ferro) del ’40 e El desierto entra a la ciudad (Il deserto entra in città) del 1941. Tralascio altre opere minori. Si tratta di una vasta produzione poco conosciuta e che può illuminare non pochi angoli della poetica arltiana.
I.6. Avvicinamenti al discorso politico
Avevo accennato che la metamorfosi verso l’espressione teatrale si accompagna ad un rinnovato atteggiamento nei confronti della realtà sociale e della politica. Vedremo come il dittico Los siete locos/Los lanzallamas sia interamente percorso, direi trapassato, da discorsi di natura politica, ma in chiave rielaborativa, parodistica, come ingrediente di un vasto pastiche che può arrivare a gettare Lenin e Mussolini per esempio nello stesso calderone. Tuttavia è a partire dal 1932 (l’anno in cui verga il suo ultimo romanzo) che Arlt si avvicina sempre più concretamente alla politica, ai gruppuscoli dell’estrema sinistra, all’impegno, sensibilizzandosi ai problemi delle masse operaie fortemente decimate nelle forze dai contraccolpi nefasti della crisi del ’29. Nell’aprile del ’32 Rodolfo Ghioldi, dirigente del Partito Comunista Argentino, fonda il giornale «Bandera Roja», che include tra i suoi collaboratori lo stesso Arlt e Castelnuovo. Ma il sodalizio sarà brevissimo poiché presto sorgeranno insanabili divisioni ideologiche.
Gli anni Trenta si aprono in America Latina con una fitta propagazione delle idee comuniste, che attecchiscono tenaci in un terreno così devastato dalla crisi del modello liberale. Molti intellettuali ormai da anni seguono con ardore l’avvicendarsi di rivolgimenti politici che disegnano nuove prospettive di sviluppo: la rivoluzione russa, i soviet, lo stalinismo, l’avvento del fascismo italiano, la nascita della Repubblica spagnola e lo scoppio della guerra civile. A ciò si aggiunga che la crisi del ’29 oltre ad essere un dramma è fomite di speranze: il senso di imminente crollo del capitalismo imperialista apre il campo all’utopia rivoluzionaria (globale). Tutti i settori più retrogradi della società, dai nazionalisti agli ultraconservatori, passando per i cattolici istituzionali, cominciano ad avvertire con orrore e raccapriccio il nascere e il propagarsi delle idee comuniste, considerate veri e propri bacilli di un virus oppure manovre di avvicinamento orchestrate dalla giovane Unione Sovietica. Nasce e cresce quell’idea pervicace di ‘pericolo rosso’ che si riproporrà dagli anni Sessanta in poi con vigore e che tanti danni creerà nelle società latinoamericane, favorendo l’instaurarsi di sanguinarie dittature militari integraliste. Un intellettuale conservatore come Manuel Gálvez mette in guardia per esempio i lettori dall’influsso della propaganda sovietica che s’instaurerebbe attraverso l’arrivo di libri, riviste, libelli, proclami dalla Spagna immersa nel caos. C’è dunque uno spettro che aleggia per l’Europa e anche per l’America Latina e i pensatori conservatori non trovano il modo di arrestarlo. Le riviste politicizzate nascono come funghi: «Bandera Roja», come dicevo, ma anche «Hoy Argentina», «Contra», «Actualidad», che si sommano alla già nota «Claridad», accusata però dalle altre riviste di essere troppo moderata e dunque ‘socialdemocratica’ (seguendo la tecnica retorica dei libelli incendiari di Lenin). Si moltiplicano le correnti politiche di sinistra che si dividono in rami sempre più sottili e polemizzanti tra di loro: socialisti, anarchici, comunisti, trotskisti, georgisti, giovani indipendenti, ecc.
Lo stesso Barletta, allontanato da «Claridad», fonda nel ’31 una rivista dal titolo eloquente (e molto arltiano): «Metrópolis: de los que escriben para decir algo». Mentre «Actualidad: Económica, política, social» fa capo a Castelnuovo, che fonda il Teatro Proletario (in polemica col Teatro del Popolo: moderato). Arlt collabora con «Actualidad» e assieme a Castelnuovo nel maggio ’32 forma l’Unione degli Scrittori Proletari, il cui proclama si riassume in almeno tre punti sviluppati poi analiticamente:
1. La difesa dell’Unione Sovietica;
2. La lotta contro la guerra imperialista;
3. La lotta contro il fascismo e il social-fascismo.
Occorre però ora approfondire il brevissimo rapporto (di un mese circa) di Arlt con «Bandera Roja», che riassume e chiarifica il legame, l’incomprensione e lo scontro con il Partito Comunista (facendo di Arlt un ‘marxista eretico’, cultore di un comunismo singolare, pensato a modo suo, anti-dottrinario: e fondamentalmente anarcoide).
Arlt in un articolo invita i simpatizzanti alla causa russa a studiare, approfondire, analizzare, perché solo uno stuolo di freddi tecnici razionali e colti potrà rendere le azioni del movimento straordinarie ed efficaci. Quindi occorre «estudiar, estudiar y estudiar».[1] Subito un membro del Partito in una lettera di risposta lo apostrofa come uno tra ‘los intelectualoides’ e sostiene che un rivoluzionario più che studiare deve lottare, gettarsi nell’agone politico, iscriversi al Partito, lottare davvero all’interno delle fila del proletariato; un altro intervento difende invece l’opinione di Arlt, sottolineando che è fondamentale approfondire le proprie conoscenze per difendere la dottrina autenticamente marxista dalle sue deviazioni borghesi, social-fasciste o anarcoidi, in modo da farsi vero apostolo della causa. Lo stesso Ghioldi interviene a sedare la polemica sollevata e adopera un rigido discrimine ideologico. Secondo il dirigente accade che gli intellettuali di estrazione piccolo-borghese si avvicinino agli ideali comunisti con l’idea fuorviante che la conduzione delle lotte rivoluzionarie delle masse debba essere condotta sotto l’egemonia ideologica della piccola borghesia. Ghioldi accusa Arlt di essere ancora intriso di «un’ideologia individualista piccolo-borghese»[2] poiché analizzerebbe il problema sociale dal punto di vista psicologico e individuale (lontano quindi dai dettami del marxismo-leninismo). Il marxismo non si pone il problema della ‘felicità individuale’ bensì di quella ‘collettiva’ ed è qui che Arlt sbaglierebbe obiettivo. La teoria di un’élite dotata di una sorta di aristocrazia spirituale (intellettuale), che dovrebbe guidare le masse insipienti lungo il suo percorso, costituisce un retaggio di forme mentali appartenenti alla piccola borghesia. L’affondo di Ghioldi è duro e semplice, considerando la ‘superficialità’ ideologica di Arlt, più scrittore di razza che intellettuale astratto. Ma Arlt non ci sta ad essere trattato come un discolo birichino e furbetto, indisciplinato e poco saggio: sferra una critica che toglie il velo alle posture di Ghioldi e fa capire qual era la situazione del Partito Comunista Argentino degli anni Trenta (effettivamente slegato dalle reali esigenze delle masse, trincerato all’interno di una griglia ideologica che finisce per tarpare le ali ad ogni autentico moto di rivolta). Il proletariato può orientare l’intellettuale piccolo-borghese solo dove esso stesso assieme alle masse contadine sia davvero comunista. Ma in Argentina la maggior parte dei proletari e contadini non hanno letto Marx, bensì sanno quasi tutto su Rodolfo Valentino. Inoltre torna a sottolineare l’importanza dell’individuo: le élites (conservatrici o rivoluzionarie) sono sempre frutto di selezione e in molti casi i leader rivoluzionari provengono dalla piccola borghesia.
In seguito mostrerò come molte intuizioni di Arlt, rielaborate con la fantasia e rese oggetto di parodia grottesca e feroce, siano vicine alle formulazioni di Curzio Malaparte sulle ‘rivoluzioni’ e sui ‘colpi di stato’ attuati da ristretti gruppi scelti, addestrati, implacabili. La stessa rivoluzione bolscevica non si sarebbe mai realizzata senza le tecniche ‘golpiste’ di Trotsky, vero e proprio braccio armato della rivoluzione. Come vedremo tale ideario si riverbera ne Los siete locos e Los lanzallamas e ciò spiega l’attenzione per le ‘tecniche’ rivoluzionarie e il paragone ardito ma non superficiale istituito tra comunisti e fascisti.
La redazione della rivista risponde ad Arlt accusandolo ancora di essere un intellettuale piccolo-borghese e un anarco-sindacalista che ha in spregio le masse e che ha generato il suo marxismo dalla lettura maldigerita de L’A.B.C. del Comunismo di Bucharin. In sintesi Arlt rifiuta l’identità tra proletariato e comunismo (nel particolare caso argentino) e denuncia la distanza dei comunisti da quella stessa classe che pretenderebbero di rappresentare. Tuttavia lo scrittore caustico e corsaro viene a trovarsi in una situazione singolare: la redazione de «El Mundo» gli proibisce di scrivere di politica poiché lo considera un facinoroso comunista mentre le testate comuniste denunciano la sua fuorviante ideologia piccolo-borghese; una posizione scomoda e a dir poco comica.
Dopo il golpe del generale Uriburu Arlt non può più parlare liberamente di politica (con la verve che lo contraddistingue), tuttavia può alludere alla condizione sociale del Paese in altri modi, attraverso inchieste di utilità pubblica e soprattutto in margine alle cronache di viaggio. Infatti l’acuto direttore de «El Mundo» Saenz Peña intuisce le potenzialità arltiane come cronista di viaggio, inviato in luoghi più o meno esotici: ben si adattano ai temi lo stile prensile, agile e immaginifico, ricco di comparazioni visive. La professione di reporter calza a pennello allo scrittore sempre a caccia di nuovi temi e che ora può realizzare il proprio antico sogno di viaggiare persino essendo pagato dal suo giornale. Il primo breve viaggio risale al 1930, quando a bordo di un transatlantico, in prima classe, si reca prima in Uruguay e poi in Brasile (l’itinerario dovrebbe proseguire attraverso la Colombia, le Guyane e l’Ecuador). A bordo dell’Asturias, in prima classe, percepisce nettamente la divisione in classi della società che si rispecchia con franchezza nella nave; si sente fuori luogo, un povero in mezzo ai milionari: e la sua apparente ascesa sociale (in fin dei conti è solo l’inviato d’un giornale) è stata possibile grazie al suo talento innato per la scrittura creativa, grazie alla sua prosa vivace e comunicativa, che piace ai lettori che acquistano la testata. Nel frattempo reca con sé il faldone de Los lanzallamas che intende continuare a scrivere anche in viaggio. A Rio de Janeiro si accorge della differenza che intercorre tra la classe lavoratrice brasiliana e quella argentina, che ha molti più diritti poiché ha la forza e la cultura per rivendicarli, mentre i colleghi brasiliani vegetano nell’ignoranza e nell’indigenza. Comprende che la condizione dell’operaio argentino è pressoché unica in America Latina e che a tale proposito hanno giovato i piccoli centri culturali diffusi in modo capillare nei quartieri operai. Solo confrontando le realtà sociali dei distinti Paesi si può giungere ad una maggiore consapevolezza dello standard di vita dei lavoratori urbani per esempio di Buenos Aires (che vestono come gli impiegati e mandano i loro figli nelle scuole). Tuttavia il viaggio s’interrompe ad appena due mesi poiché Arlt viene a sapere di essere stato proclamato vincitore del terzo premio del Concorso Municipale di Letteratura.
Il secondo viaggio importante prende il via tre anni dopo e ha come obiettivi prima le località situate sulle sponde del fiume Paraná e poi l’esteso e desolato Sud argentino. Nel 1934 giunge a Bariloche dove compie una serie di escursioni. Arlt è uno scrittore urbano e le descrizioni paesaggistiche per analogie rimandano sempre alle geometrie e alle opere meccaniche della città, ma ciò che lo attira di più è quel clima di frontiera, di fine del mondo che si respira in quelle lande, disertate da una presenza sicura dello Stato, abbandonate all’incuria e spesso all’indigenza. Le scuole brulicano di ragazzini affamati, ladruncoli per un tozzo di pane, e le condizioni dei lavoratori sono al limite della sopravvivenza. Ancora una volta lo sguardo arltiano esce fuori dall’individualismo tormentato per considerare il precario destino degli oppressi. Vi è una continua oscillazione tra solipsismo visionario, cupo ed estroversione compassionevole (seppur spesso umoristica). Al ritorno dal viaggio dal profondo Sud, Arlt dirà a Castelnuovo che nella città non si sa davvero cos’è la povertà mentre occorre visitare quei luoghi senza Stato e privi di identità (vi sono molti emigrati cileni, ma la società non pare amalgamarsi come in altre aree urbane del Paese) per capire davvero qual è l’anonima povertà dei lavoratori senza storia.
I.7. Spagna, Africa e teatro
Ma l’anno fatidico del grande viaggio è il 1935: stavolta la meta è l’Europa, con una breve parentesi africana. Finalmente potrà osservare con i propri occhi la Spagna finora immaginata solo attraverso i libri (e ancora una volta l’esuberante fantasia delle finzioni dovrà cozzare con una realtà, soprattutto sociale, ben diversa). L’inizio non è dei più promettenti. A Cadice, presso la località di Barbate, decide d’imbarcarsi per dovere di cronaca in un peschereccio di sardine, per immergersi neorealisticamente nella vita dei pescatori. Ma la stanchezza (la levataccia alle tre e mezza del mattino), il freddo, il violento odore di sardine e salnitro e i bruschi movimenti della barcarola congiureranno contro la sua buona volontà e un mal di mare intenso lo getterà al suolo: un’altra barca lo riporterà a riva in tarda mattinata. Lo spettacolo allucinato di quei pescatori che si levano prima dell’alba e tornano a sera, dopo aver trascorso l’intera giornata in quelle carrette del mare, mangiando solo un pasto frugale, lavorando ogni giorno, gli rimarrà impresso. Una situazione non molto dissimile da quella dei pescatori verghiani di fine Ottocento, pervicacemente legati come l’ostrica alle loro origini sociali e al loro Fato.
Dopo tale esperienza giunge a Siviglia durante la Settimana Santa, quando la cittadina è tutta addobbata a festa, multicolore e brulicante di donne eleganti con le loro mantiglie, ma presto si accorge che esistono due Spagne: quella folkloristica e fascinosa per i turisti e quella povera e paesana, fustigata dall’ingiustizia sociale, dallo strapotere dei latifondi. Una società spaccata in due tronconi: contadini e lavoratori miserrimi e tutta una serie di parassiti sociali (aristocratici, militari, guardie, ecclesiastici). In quel crima di violenta crisi economico-sociale, dove nei bar non si parla d’altro che di politica nazionale, si annunciano i primi segni della guerra civile che scoppierà l’anno seguente. Arlt, che in gioventù aveva delirato attorno ai romanzi che descrivevano la Spagna, non vede altro che sporcizia e miseria («socialmente es una porquería»).[3] Ancora una volta il suo sguardo coglie con infallibile empatia la vita che si consuma ai margini, il destino dei diseredati e di tutti coloro che fondamentalmente non hanno nulla da perdere.
Dalla Spagna meridionale Arlt si sposta in Marocco, altra meta del suo viaggio. La zona di frontiera, l’ultimo baluardo spagnolo, pullula di spie governative che cercano d’informarsi sulle idee politiche dei viaggiatori stranieri di passaggio. Il sistema di spionaggio è capillare, degno della più fumosa fantasia cospirativa. Le autorità spagnole e africane sono ossessionate dalla possibile infiltrazione di agenti provocatori comunisti provenienti dall’Unione Sovietica. Ma soprattutto Arlt ha in mente le fantasie fiorite attorno al nord Africa, all’Oriente, tratte da un’ampia letteratura (Flaubert) e da una visione cinematografica deformante (Joseph von Sternberg). Ancora una volta il disinganno si manifesta prepotente, gli ultimi fantasmi arltiani paiono cadere: la seduzione orientale è bandita, giacché le donne vanno in giro coperte dalla testa ai piedi; e inoltre la città di Tangeri è sporchissima e sgradevole (negli anni Sessanta sarà la meta favorita di molti beatniks: le fantasie scarafaggesche di William S. Burroughs troveranno qui il loro habitat naturale. David Cronemberg ne ha tratto un ottimo film visionario, Naked Lunch (Il pasto nudo) del 1991. Tuttavia un’oasi di poesia si trova nel quartiere arabo di Tetuán, che Arlt immortala nelle sue Aguafuertes Africanas (Acqueforti africane). Lo scrittore s’immerge quindi nel mondo popolare dell’Africa; centellina l’immancabile tè; frequenta i mercati; conosce una giovane musulmana che le viene offerta come schiava in cambio d’una somma («cien duros assani»);[4] assiste alle narrazioni orali in arabo di un cantastorie, che entrerà poi a far parte dei suoi racconti. Tutti i topoi dell’Orientalismo sembrano ora convergere, come nelle sequenze de Il fiore delle mille e una notte di Pier Paolo Pasolini del 1974. Seduzione erotica fuggevole, magia nera, contrasti insanabili tra primitivismo e società urbana, la logica narrativa della vendetta: sono tutti spunti lunatici che troveranno espressione nella serie di racconti de El criador de gorilas (L’allevatore di gorilla) e nell’opera teatrale África.
Purtroppo deve presto abbandonare questo sensuale sogno ad occhi aperti e tornare in Spagna, destinazione Málaga; da lì si sposta a Granada. Qui s’interessa della vita dei gitani (che assieme ai mendicanti e ai lavoratori in miseria vanno ad infoltire l’espressionistico affresco arltiano, a metà tra le deformità di Goya e l’acceso sublime di El Greco, pittori amatissimi dallo scrittore).
Si dirige poi verso il nord, in Galizia. Tra Pontevedra e Santiago de Compostela permane indifferente di fronte al fascino romantico delle rovine medievali; le ‘anticaglie’ non lo interessano, non ha la sorte di essere sensibile come Chateaubriand (ironizza): è troppo catturato dal convulso presente, dai rivolgimenti sociali, più dalle persone che dai paesaggi. Assiste con curiosità da etnologo alle feste popolari (quella di San Rocco a Betanzos per esempio). Arriva nelle Asturie, fermandosi ad Oviedo, dove otto mesi prima è scoppiata un’insurrezione armata dei minatori duramente repressa nel sangue. Nell’arco di due settimane la città è rimasta saldamente nelle mani di un comitato rivoluzionario autogestito, un ‘pericoloso’ esperimento sociale presto soffocato dalle truppe nazionali e dalla Legione Straniera. Quando Arlt vi giunge, Oviedo è sotto assedio; nessun testimone vuole rispondere alle sue pressanti domande su come si sono svolti quei fatti clamorosi; in un clima di sospetto e paranoia, un giornalista qualunque può essere scambiato per una spia o un agitatore comunista. Ma Arlt vuole indagare, vuole osservare con i suoi occhi la vita dei minatori: ottiene il permesso di penetrare nella mina di Llascares. Scende nei recessi della terra e incontra i minatori, che rischiano ogni giorno di rimanere sepolti vivi, che vivono in una sorta di limbo a stretto contatto con la morte: da qui nascono la loro forza, il loro spirito combattivo, l’indifferenza nei confronti della morte che li ha spinti alla rivolta. Arlt è ormai travolto da quell’atmosfera di violenta radicalizzazione politica che imperversa per la Spagna assillata dalla disoccupazione, dagli scioperi, dai conflitti. E si accorge che gli scrittori spagnoli che aveva letto avevano del tutto ignorato questo mondo di proletari autentici, che hanno raggiunto la coscienza di classe e sono pronti se possibile a seguire l’esempio russo.
Il viaggio (che è anche un percorso di formazione politica) prosegue per i Paesi Baschi, dove domina il movimento nazionalista e separatista; Arlt s’informa, segue con attenzione tali rivendicazioni, ma critica la ciarlataneria di alcuni tribuni del partito che sono adorati da una folla determinata e molto vincolata a tali idee profetiche.
E infine è la volta della sterminata Madrid. Frequenta i caffé del centro, legge tutti i giornali che gli capitano sotto mano, capta tutti i possibili discorsi politici che rimbalzano da un punto all’altro dei bar. Gironzola per le strade come un flâneur attento, attivo, segue con entusiasmo l’evolversi degli avvenimenti. I giorni che precedono le elezioni sono convulsi, percorsi da pronostici contraddittori; il Blocco Popolare delle Sinistre corre unito in un’inedita alleanza, i giovani falangisti strappano i manifesti elettorali di sinistra. Girano voci di un’imminente riforma agraria per bloccare l’avanzata delle sinistre; si moltiplicano intanto gli attentati e gli omicidi politici. Ma il viaggio di Arlt è a tappe forzate: ora deve recarsi a Barcellona. Ai primi di maggio del ’36 abbandona a malincuore la Spagna. Deve ritirarsi dall’agone poco prima che scoppi la guerra civile: il clima di fermento al quale ha assitito e che ha assorbito rimarrà a lungo nella sua memoria, un mondo così lontano dalla malinconica apatia di Buenos Aires. La Storia è altrove e si sta svolgendo in Europa e prelude alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale: l’Argentina in quel momento appare ai margini, sonnolenta, priva di grandi eventi degni di essere narrati. Ecco quindi che Arlt, incapace di trovare nuovi spunti nella trita quotidianità portegna per un breve tempo si getta a capofitto nella fruizione e nella critica dei film, del cinema. Il cinema, come sarà poi nello scrittore Manuel Puig, diviene una valvola di sfogo, una fuga dalla realtà provinciale: il sogno della realtà. La parentesi si richiuderà presto per le schermaglie avute con il giornalista responsabile della pagina cinematografica, un certo Calki, che non accetta di buon grado l’invasione di campo arltiana. Tuttavia occorre precisare che già altre volte nelle sue acqueforti Arlt s’era occupato di cinema: aveva dedicato particolare attenzione all’attore Emil Jannings, ai film di Charlie Chaplin, alle icone rappresentate da Greta Garbo e Rodolfo Valentino, all’esemplare film La madre diretto da Vsevolod Pudovkin nel 1929 (e tratto dall’omonimo romanzo di Maksim Gorkij. Arlt non si limita a scrivere delle ‘critiche’ cinematografiche: scrive a partire dai film e sviluppa qualche suo tema prediletto, inoltre coglie «las inmensas proyecciones mágicas de la imagen cinematográfica»;[5] tuttavia non tollera in nessun film le inesattezze storiche, l’infedeltà, la mancanza di onestà. Arlt resta pur sempre realista, a modo suo (espressionistico): il cinema non inganna, bensì illumina col genio e la poesia angoli di realtà che giacciono dinanzi agli occhi ignari della gente. Privilegia la capacità penetrativa dello sguardo e della macchina da presa, che osserva davvero le cose, le svela, senza soffermare su di esse un mero sguardo disattento di sufficienza.
Ma nel frattempo un evento giunge a funestare le giornate arltiane: verso la fine di settembre del 1936 muore a soli trentatre anni la sorella Lila Arlt, falcidiata da una tubercolosi polmonare. Lila era stata per anni la sua confidente, con la quale era intercorso un fitto epistolario ricco di aneddoti privati e allo stesso tempo legati alla sua letteratura. E la madre Catalina, forse colpita al cuore da tale disgrazia, sembra abbandonare le sue letture esoteriche, astrologiche (che come abbiamo visto contagiarono l’immaginativa del figlio) e cade nelle braccia d’un cattolicesimo radicale e misticheggiante: il Cristo circondato dagli angeli soppianta così la Teosofia in un processo di sincretismo balzano che ha molto in comune con lo stesso pastiche artistico arltiano.
Arlt si prende sei mesi di pausa dal giornale e nel frattempo pubblica la raccolta delle Aguafuertes españolas (Acqueforti spagnole) che non suscitano ormai più grande attenzione. Ma i viaggi (e le fughe) non sono ancora terminati.
In quei mesi di sosta e riflessioni si getta di nuovo a capofitto nel teatro. Intanto viene rappresentato Saverio el cruel, opera grottesca che nell’idea dell’autore doveva essere fittiziamente il parto della mente malferma di alcuni alienati rinchiusi in un manicomio (poi tale riferimento verrà espunto).[6] E subito dopo scrive El fabricante de fantasmas, che attingerebbe alle opere più disparate delle lettere e delle arti figurative: da La Tentation de Saint Antoine di Gustave Flaubert alla Thaïs di Anatole France, da Francisco Goya ad Albrecht Dürer fino a Brueghel il Vecchio (tutte opere contemplate nei musei spagnoli). V’è dunque un ricorso alla tradizione della fantasmagoria, del meraviglioso, che affonda le sue radici in Shakespeare e Calderón de la Barca (più che in Pirandello stavolta). Anche però quest’ultima pièce, ideata per un teatro più commerciale, fallisce miseramente: ormai lo scrittore sembra aver imboccato una strada troppo personale che lo estranea un po’ da tutti e lo relega nella nicchia dei precursori che avranno poi un largo riconoscimento postumo.
Nel 1937 è la volta de La isla desierta (L’isola deserta) pensata però per il Teatro Pólemico di Barletta (un’evoluzione del Teatro del Pueblo). E l’anno seguente propone África, pièce che risente delle atmosfere orientaliste captate nel suo ultimo viaggio in Marocco.
Qualcuno crederà che ormai Arlt abbia abbandonato del tutto la narrativa coltivando ‘solo’ la scrittura teatrale e giornalistica: in realtà, come ho cercato di evidenziare, è avvenuta solo una metamorfosi formale, l’autore ha trovato altre forme di espressione della propria verve narrativa. In effetti le ultime acqueforti, le cronache di viaggio e le brevi digressioni sugli ultimi accadimenti geopolitici mondiali si leggono come veri e propri racconti dove riemergono tenaci e guizzanti i temi cardine delle opere narrative precedenti.
Nel frattempo nel 1937 compie un altro viaggio, stavolta a Santiago del Estero, dove rivela ai lettori privi di notizie dettagliate la tragedia della carestia e della mancanza di acqua in quella regione remota del Paese: lo scrittore traccia con la sua penna agile e illustrativa scene simili alle calamità bibliche, le fattorie abbandonate, gli animali morenti, vecchi e bambini smagriti e denutriti, fiumi secchi, una vera e propria terra desolata. Immagini icastiche che sensibilizzano l’opinione pubblica, spingendo molti a raccogliere fondi per venire in aiuto alle popolazioni colpite.
I.8. Profeti, cospiratori e maghi
Ritornato in città, comincia a seguire con sempre maggior frenesia e tensione le notizie provenienti dall’Europa, dove ormai il deflagrare di una guerra che potrebbe avere un’estensione globale è imminente. Stavolta non può seguire il susseguirsi degli eventi di persona, immerso nei luoghi dove le cose accadono davvero, ma si deve limitare a raccogliere gli ultimi comunicati giornalistici. A partire da questi, con l’ausilio della sua galoppante fantasia, può ricostruire la cronaca affrescandola come se si trattasse di capitoli di un romanzo. Ecco quindi che queste ultime acqueforti, Al margen del cable (All’estremità del cablogramma), entrano a pieno titolo nel mondo narrativo arltiano risollevando alcune tematiche già affiorate nella fiction. Può essere utile in questa sede citare almeno due o tre esempi significativi, che anticipano la struttura del discorso più ampio che svolgeremo in seguito, nella parte centrale della tesi. Lo strapotere dei nazisti permette ad Arlt di sfiorare due temi che s’incardinano nella sua opera e che nutrono in buona parte la nostra ricerca: l’esoterismo e la cospirazione politica. Mai come in queste brevi acqueforti i due ‘temi’ o ‘invarianti formali’ si fondono con acuta lucidità. L’aspetto più curioso è che Arlt ha prefigurato tutto ciò nei suoi romanzi dei primi anni Trenta, sette, otto anni prima. Le sue intuizioni artistiche erano dunque corrette e in un certo senso ‘profetiche’ (grazie al dono dell’immaginazione, del terzo occhio, che permette di simulare scenari plausibili e probabili).
Scelgo tre esempi, anche se mi soffermerò di più sugli ultimi due. Il 26 settembre 1938 «El Mundo» pubblica il pezzo: Y si así fuera? (E se fosse così?).[7]
Si parla di uno strano individuo, un noto sismologo italiano appassionato di astronomia, Raffaele Bendandi, inventore di un metodo per prevedere i terremoti attraverso lo studio delle forze gravitazionali (che agirebbero sulla crosta terrestre così come la forza gravitazionale della luna agisce sulle maree) e delle macchie solari, la cui azione potrebbe persino influenzare i neuroni cerebrali.
Arlt è attratto da tali teorie a metà tra scienza e magia: gli astri, le forze interne terrestri e i destini individuali sarebbero uniti da questi vettori di forze, simili a stringhe, che permeano l’universo e creano sommovimenti, mutamenti, rivolte e rivoluzioni. E Bendandi avrebbe previsto per l’ottobre del 1938 immani sommovimenti fisici, politici, sociali e cosmici. Persino l’accesa attività delle macchie solari potrebbe influenzare i progetti imperialistici di Hitler.[8] Le teorie di Bendandi, oltre a profetizzare terremoti ed eventi politici di portata planetaria, darebbero ragione in parte all’Astrologia che riconosce un influsso dei pianeti sui caratteri e dunque sulle azioni (e destini) degli individui. Arlt quindi non poteva non parlarne, quasi si trattasse di un nuovo personaggio del suo pantheon narrativo.
Il 13 dicembre 1938 «El Mundo» pubblica l’articolo (ben più profondo): Necesito dos hombres dispuestos a morir (Ho bisogno di due uomini pronti a morire).[9] Qui Arlt rivela molto delle sue idee personali e delle sue ossessioni tenaci. Un fatto di cronaca rumena, l’attentato contro il colonnello Cristescu per mano di due studenti, Lututoviccin e Rachmistiuc, appartenenti a una cellula politico-terroristica della Guardia di ferro guidata da un certo Stanescu, gli fornisce il destro per parlare di uno dei suoi romanzi favoriti (di certo uno di quelli che più ha agito nella sua struttura narrativa): I demoni di Dostoevskij.[10] I fatti di cronaca, gli attentati, i segnali di un’imminente guerra civile (in Romania) confermano il valore, l’attualità e l’universalità del più ambiguo romanzo dostoevskiano, che Arlt deve aver compulsato più e più volte prima di accingersi a scrivere il dittico Los siete locos / Los lanzallamas. Non importa che la Guardia di ferro sia un’organizzazione terroristica di estrema destra e fascista (mentre i demoni russi dell’Ottocento erano degli anarcoidi legati a Nechaev, antizaristi e dunque progressisti ‘di sinistra’). Ciò che conta è la meccanica psicologica del gruppo fanatico, la fredda determinazione che conduce all’omicidio, ma anche al suicidio in caso di cattura, la soggezione nei confronti del capo della cellula, un manipolatore che può anche avere un piglio misticheggiante, le riunioni segrete, il fanatismo, lo stato di tensione permanente, l’appartenenza di tali giovani spesso a una classe agiata o piccolo-borghese e che scelgono la via della ribellione e della rivolta (come ci illumina Albert Camus in un suo saggio),[11] che può essere individuale o collettiva.
Ad Arlt interessa la dinamica della psiche e dei fatti, il meccanismo implacabile che viene attivato, e non le sfumature ideologiche, che possono trascorrere dall’estrema sinistra all’estrema destra, quasi che le giustificazioni ideologiche addotte potessero solo essere un vestiario, una copertura, un rivestimento di forti pulsioni interne, negative e spesso autodistruttive (come non pensare ai ‘mostri’ ovvero ai ‘pazzi’ arltiani?). La convinzione di Arlt in tal senso è granitica:
«Los endemoniados es una de las novelas menos conocidas de Dostoievsky. Sus protagonistas esenciales, menos próximos por su psicología a nuestro público que los hermanos Karamazoff o el estudiante Raskolnikoff, pasan casi siempre inadvertidos en los comentarios extensos que hacen los críticos. Sin embargo, Los endemoniados, novela de los estudiantes terroristas rusos, es uno de los más extraordinarios documentos de la psicología eslava».[12]
Il confronto con le cellule fanatiche della Guardia di ferro è sintomatico: si tratta infatti di un movimento fondato da Codreanu di orientamento antibolscevico, anticapitalista (enorme fu l’avversione di Codreanu nei confronti della Repubblica di Weimar, poiché frequentò in quel periodo l’Università di Berlino e Jena) e antisemita, poiché associa la componente ebraica all’‘usurocrazia’, allo strapotere della finanza, al sistema bancario (ciò lo avvicina al nazismo, che però, paradossalmente – o forse no –, fu finanziato da banchieri tedeschi e stranieri). Estrema rilevanza inoltre assume l’elemento cattolico-ortodosso che si salda al nazionalismo: trattasi quindi d’una forma di ‘legionarismo ascetico’ (secondo una fortunata formula del paranazista Julius Evola). Il movimento paramilitare verrà poi annientato dal generale Antonescu e dagli stessi nazisti (Hitler fu un maestro nello sterminio di quei gruppi di destra più ribelli e fanatici e dunque pericolosi: si pensi alla ‘notte dei lunghi coltelli’ e all’eliminazione delle SA, la cosiddetta ala di sinistra dei nazisti).
Il 10 settembre 1939 «El Mundo» pubblica un altro significativo articolo arltiano (riconosciuto come uno dei migliori dell’annata dal giornale messicano «El Nacional», che lo proporrà nelle sue pagine circa un mese dopo): 1939 en el horóscopo de Hitler (1939 nell’oroscopo di Hitler).[13]
Qui Arlt narra con maestria la vicenda di Erich Jan Hanussen,[14] illusionista e astrologo indovino entrato nelle grazie del Führer, nonostante fosse ebreo, e assassinato nel 1933 da alcuni sicari probabilmente inviati da qualche gerarca nazista a lui ostile (ma le teorie sono diverse). Arlt sottolinea l’ambiguità di Hanussen a metà tra ciarlataneria e reale esoterismo, influente nelle alte sfere del potere, ma allo stesso tempo in pericolo a causa delle sue delicate conoscenze (una sorta di Astrologo arltiano in carne ed ossa). Amico del gerarca nazista conte Wollf von Helldorf a quanto pare si faceva passare alcune informazioni riservate sui piani orditi dai nazi che ‘rafforzavano’ così il suo dono profetico (ecco il lato ciarlatano, e un po’ buffonesco, direi cabarettistico). Ma a quanto pare azzeccò davvero alcune profezie come il successo di Hitler nell’elezione per la carica di cancelliere del 1933. Arlt però si sofferma s’un’altra previsione che potrebbe presto realizzarsi: nell’oroscopo di Hitler il 1939 sarebbe un anno decisivo:
«Todos los años el mes de septiembre es el mes contrabalanceado en la vida de Adolfo Hitler, pero particularmente en año 1939, este juego se acentuará, porque dos planetas, Marte, impulsándolo hacia la guerra, y Saturno, presionándolo con escrúpulos de prudencia, pondrán en juego la habilidad del Führer para llevar a feliz término una azarosa empresa guerresca».[15]
Segue tutta una precisa disamina dei mesi seguenti:
«pero en febrero del año 1940 Saturno efectuerá el pasaje de su eclipse, y el Führer deberá combatir reciamente contra poderosísimas influencias negativas».[16]
Arlt non sa se credere o meno a tali previsioni ma finisce per sottolineare che alcune sono molto attendibili:
«Pero no olvidemos que su horóscopo coincide con el de madame de Thebes, que indicó el año 1939 como el de la culminación de Hitler y crepúscolo de Mussolini».[17]
E tale ‘profezia’ non fa altro che aderire lucidamente alla realtà storica. Ciò che però ci preme ora sottolineare è l’ossessione arltiana per il Potere quasi sempre legato a forze oscure ed occulte, un’idea di Potere e di politica intesi quindi come intrigo, complotto, cospirazione e dunque intimamente legata al gruppo, alla setta esoterica, paramassonica, che ordisce nell’ombra congiure violente e sottili. Di certo si tratta di una ‘fantasia cospirazionista’ mutuata dall’immaginario di molti romanzi d’appendice dell’Ottocento, eppure l’esempio nazista, l’attrazione per esempio di Hitler per le dottrine esoteriche, la rendono storica, attuale e probabile.
«Otro tema, que atraviesa prácticamente toda la obra de Arlt, desde su primer ensayo sobre las ciencias ocultas en Buenos Aires publicado en 1920, y que permite apreciar la continuidad y la transformación del mismo a través de su paso por distintos géneros, es el vínculo observado por Arlt entre las ciencias ocultas y el poder político. En el primer texto, Arlt denuncia las conexiones entre el ocultismo y el imperio británico en la India, algunos años después, en Los siete locos y Los lanzallamas, el ambiguo revolucionario, admirador de Lenin y Mussolini, es, no casualmente, un astrólogo; finalmente, en una crónica de septiembre de 1939, titulada “Setiembre en el horóscopo de Hitler” y destacado por la redacción de El Nacional como uno de “los mejores artículos del año”, Arlt señala la siniestra relación de estas ciencias con las maquinaciones de los nazis que pretenden por esta vía justificar su predominio y expansión». [18]
Vi sarebbe quindi un legame segreto e inscindibile tra scienze occulte e potere politico, come d’altronde testimoniano i casi nostrani delle logge massoniche deviate al cui interno operano elementi dello Stato, delle forze dell’ordine, delle forze armate. Pasolini lambirà questo tema occupandosi di Eugenio Cefis, successore di Enrico Mattei alla presidenza dell’ENI, e probabile fondatore della Loggia Propaganda 2, a sua volta in contatto con servizi segreti più o meno deviati, gruppi terroristici dell’estrema destra, organizzazioni criminali come mafia e ’ndrangheta.[19] Insomma, un ‘delirio arltiano’ che è invece la storia d’Italia almeno dalla fine degli anni Sessanta in poi (e forse fino ad oggi). Ecco perché proporrò in seguito una comparazione puramente ‘tematica’ con Petrolio di Pasolini, inteso proprio come il ‘romanzo delle stragi’ e del potere occulto italiano, opera-documento che, seguendo le ultimissime piste investigative sulla morte del poeta, condurrebbe direttamente all’agguato presso l’Idroscalo di Ostia, la cui dinamica non è mai stata veramente chiarita.
Ma chiudiamo ora questa parentesi che sarà poi riaperta in seguito, una volta giunti al centro della nostra argomentazione.
I.9. Cile. La bara calata dalla finestra
Com’è noto, nel settembre 1939 scoppia la guerra in Europa; Arlt era già in fibrillazione, accanendosi dietro le ultime informazioni spoglie, da analizzare e commentare per il pubblico ancora ignaro. L’espressione teatrale continua ad essere un canale privilegiato della sua creatività critica, sempre al passo coi tempi, direi quasi ‘di corsa’: ecco quindi che fa rappresentare sempre dal Teatro del Popolo nel luglio del 1940 La fiesta del hierro, una farsa grottesca e satirica che si schiera nettamente dalla parte del pacifismo. Qui compare la nota divinità Baal Moloc, volta a rappresentare la fabbrica di armi (tale figura ci rimanda di certo ai fotogrammi dei film Cabiria di Giovanni Pastrone del 1914, sceneggiato da Gabriele D’Annunzio e a Metropolis di Fritz Lang del 1927, che citava il precedente: dobbiamo qui ribadire che l’immaginazione arltiana è fortemente visiva e cinematografica e in tal caso ricorre a una ‘concreta’ allegoria).
Ancora in questa fase Arlt riflette sul sorgere delle dittature e dei regimi fascistoidi, che vengono condotti nel baratro della guerra, spinti spesso da poderosi interessi finanziari. La sua analisi geopolitica si è quindi affilata nel tempo e ha acquisito maggior coscienza. Stroncando una pièce teatrale di un certo Marcelo Menasché, La dittatura prodigiosa (1940), Arlt scrive:
«las dictaduras surgen en un país cuando la clase trabajadora, librándose de las ilusiones parlamentarias, quiere (o existe una posibilidad de que intente) conquistar el poder por la violencia. La burguesía se defiende aplastando todos los organismos de clase tolerados por el régimen democrático».[20]
Quindi la borghesia scatena un’offensiva:
«contra la clase trabajadora para arrastrarla a la guerra, valiéndose de los dictadores, que son obedientes, fieles e implacables servidores del capital financiero».[21]
Trattasi d’una lucida postura ideologica forse influenzata dai noti discorsi di Lenin contro l’imperialismo.[22]
Ma come avevo accennato precedentemente, i viaggi come corrispondente per Arlt non sono ancora finiti. Un’ansia di fuga lo divora interiormente e quindi chiede al direttore del «Mundo» di essere mandato in Cile dove qualche anno prima ha trionfato una coalizione di sinistra, il Fronte Popolare guidato da Pedro Aguirre Cerda. Ma questa è solo la motivazione ideologica, un tentativo di prolungare la passione politica suscitata dai fermenti spagnoli poco prima della guerra civile. Invero prevale anche una motivazione più intima. Da qualche tempo, dal ’39, Arlt frequenta un’altra donna, Elizabeth Shine, che diviene presto la sua seconda moglie, dopo che ha dato il via alle pratiche di divorzio dall’ormai malata Carmen Antonucci (che morirà nel marzo del 1940). Elizabeth è una giovane donna in carriera, segretaria del direttore del periodico «El Hogar»: una ragazza dall’ingegno duttile, ma anche dal carattere focoso. Innumerevoli saranno quindi i contrasti con il suo nuovo compagno, che non brilla certo per prudenza e placidità. Per fuggire da una relazione tempestosa Arlt decide quindi di tuffarsi nella realtà politica cilena, per trarre nuova linfa utile alle sue acqueforti. Parte verso la fine del 1940, approda a Santiago de Chile, s’interessa delle tecniche altamente cospirative del “Fronte Anticomunista Cileno”, appoggiato dai conservatori del Paese, grandi proprietari terrieri industriali finanzieri, tutti intenti a destabilizzare la vita politica cilena con l’ausilio di tecniche di violenza urbana, sabotaggi, brigate clandestine, e desiderosi d’ingraziarsi il favore dei militari (una storia che si ripeterà con maggiore drammaticità col golpe di Pinochet dell’11 settembre 1973). Arlt è sempre più militante, critico nei confronti di ogni forma di ‘fascismo’, controrivoluzione: si sofferma sui dati riguardanti la perdita del potere di acquisto dei salari, sulle malattie derivanti dalla denutrizione, sulla miserrima condizione di vita di gran parte della popolazione, sullo strapotere del latifondo, sulla violenza quotidiana di un capitalismo monopolista, che ha ben poco a che vedere con la libera concorrenza delle piccole e medie imprese in un Paese costituito da una robusta classe media: il Cile gli pare un’Africa nel bel mezzo dell’America Latina.
Nel frattempo riesce a riappacificarsi a distanza con Elizabeth e lei lo raggiunge in Cile per un breve soggiorno sereno e appassionato. Ma ormai Arlt ha perso un po’ di lucentezza narrativa, il giornale per cui lavora non è più così soddisfatto delle sue corrispondenze. Rientrato in Patria si getterà così a capofitto in una delle sue ostinate lucide follie: torna a lavorare al vecchio progetto delle calze elasticizzate, il cui perfezionamento e brevetto dovrebbero farlo diventare ricco. Ma come al solito l’impresa si rivela disastrosa e l’autore finisce sempre più per assomigliare a uno dei suoi personaggi balzani, tutti catturati da un’idea fanatica, che fagocita la loro ragione. Arlt non riuscirà mai a perfezionare la sua invenzione ancora allo stato larvale, mentre le celebri calze di nylon sono già state inventate da poco e commercializzate negli Stati Uniti dal 15 maggio 1940.
Dunque presto giunge l’epilogo per la vita arltiana, qui descritta con piglio narrativo; muore giovane, a soli quarantadue anni, il 26 luglio 1942, stroncato da un infarto multiplo. L’ultima immagine ‘grottesca’ che di lui rimane è quella della bara contenente il suo corpo, calata da una finestra del primo piano con l’ausilio di corde e carrucole, poiché non riesce a passare attraverso le strette scale.[23] Il corpo viene così cremato per volontà dello scrittore, onde evitare che i vermi bianchi rosicchino i suoi resti. Le ceneri vengono infine disperse nei pressi della località del Tigre. Come epilogo di tale rapida biografia si potrebbero citare le sentite eppur lucide riflessioni di Cordoba Iturburu all’indomani della morte, pubblicate ne «La Nación» del 28 luglio 1942, frasi che giustificano in parte l’attenzione finora da noi dedicata alle minuzie biografiche di questo autore singolare:
«Vivió bajo el signo de la Intensidad, signo hermoso, terrible y resplandeciente como una maldición divina. Digo “vivió” nada más. Y no “vivió y trabajó” porque su trabajo no fue sino una expresión consustancial de su existencia, una consecuencia de la poderosa gravitación de su vitalidad creadora.
Si yo no escribiera – me dijo una vez –, me volvería loco. No era exajerada la afirmación. Sus personajes lo obsesionaban hasta el dolor en una urgencia desgarrante de alumbramiento. La fantasía tradicional del autor acosado por las criaturas de su imaginación era la realidad de pesadilla de muchas de sus horas». [24]
(fine seconda parte)
(Qui la prima parte del saggio)
NOTA
[1] S. Saítta, El escritor en el bosque de ladrillos, cit., p. 163.
[2] Ivi, p. 165.
[3] Cfr. Ivi, p. 200.
[4] Cfr. Ivi, p. 206.
[5] O. Borré, Roberto Arlt: su vida y su obra, cit., p. 156. «le immense proiezioni magiche dell’immagine cinematografica».
[6] S. Saítta, El escritor en el bosque de ladrillos, cit., p. 235.
[7] R. Arlt, Al margen del cable: Crónicas publicadas en El Nacional, México, 1937-1941, Recopilación, introducción y notas Rose Corral, Buenos Aires, Losada, 2003, pp. 105-108.
[8] Curiosamente tali teorie oggi tornano in auge anche grazie al discorso delle profezie dei Maya, che avrebbero previsto una serie di sconvolgimenti sociali, sismici e climatici per la fine del 2012 attraverso proprio lo studio dell’attività delle macchie solari. E in effetti anche il nome di Bendandi ritorna in auge grazie al tam tam della rete di internet. Cfr. A. G. Gilbert, M. M. Cotterell, Le profezie dei Maya, Traduzione di L. Perria e S. Boschetti, Milano, Corbaccio, 1995.
[9] R. Arlt, Al margen del cable: Crónicas publicadas en El Nacional, México, 1937-1941, cit., pp. 128-31.
[10] Cfr. J. Amícola, Fiodor M. Dostoievski: Novela y folletín, polifonía y disonancia, Buenos Aires, Editorial Almagesto, 1994, pp. 116-21.
[11] Cfr. Albert Camus, L’Homme révolté, Paris, Gallimard («folio/essais»), 2010.
[12] R. Arlt, Al margen del cable: Crónicas publicadas en El Nacional, México, 1937-1941, cit., pp. 128. «I demoni è uno dei romanzi meno noti di Dostoevskij. I suoi protagonisti essenziali, meno vicini per la loro psicologia al nostro pubblico che i fratelli Karamazoff o lo studente Raskolnikoff, sono quasi sempre ignorati dai vasti commenti dei critici. Tuttavia, I demoni, romanzo degli studenti terroristi russi, è uno dei più straordinari documenti della psicologia slava».
[13] R. Arlt, Al margen del cable: Crónicas publicadas en El Nacional, México, 1937-1941, cit., pp. 201-04.
[14] Cfr. M. Gordon, Il mago di Hitler – Erik Jan Hanussen, un ebreo alla corte del Führer, Milano, Mondadori, 2004.
[15] R. Arlt, Al margen del cable: Crónicas publicadas en El Nacional, México, 1937-1941, cit., p. 204. «Ogni anno il mese di settembre è il mese più equilibrato nella vita di Adolf Hitler, ma specialmente nell’anno 1939 questo gioco si accentuerà, perché due pianeti, Marte, spronandolo verso la guerra, e Saturno, incalzandolo con scrupoli di prudenza, metteranno in gioco l’abilità del Führer per portare a termine positivamente un’azzardata impresa guerresca».
[16] Ibidem. «Ma nel febbraio del 1940 Saturno effettuerà il passaggio della sua eclisse, e il Führer dovrà combattere fortemente contro poderosissimi influssi negativi».
[17] Ibidem. «Ma non dimentichiamo che il suo oroscopo coincide con quello di madame di Thebes, che indicò l’anno 1939 come quello del culmine di Hitler e del crepuscolo di Mussolini».
[18] R. Corral, Las crónicas de Arlt en México (El Nacional, 1937-1941), in R. Arlt, Al margen del cable: Crónicas publicadas en El Nacional, México, 1937-1941, cit., p. 15. «Un altro tema che attraversa praticamente tutta l’opera di Arlt, dal suo primo saggio sulle scienze occulte a Buenos Aires pubblicato nel 1920, e che permette di apprezzare la continuità e la trasformazione dello stesso attraverso il suo passaggio per diversi generi, è il vincolo osservato da Arlt tra le scienze occulte e il potere politico. Nel primo testo Arlt denuncia le connessioni tra l’occultismo e l’Impero Britannico in India, alcuni anni dopo, ne I sette pazzi e ne I lanciafiamme, l’ambiguo rivoluzionario, ammiratore di Lenin e Mussolini, è non a caso un astrologo; infine, in una cronaca del settembre 1939 dal titolo “Settembre nell’oroscopo di Hitler” e segnalato dalla redazione de «El Nacional» come uno dei “migliori articoli dell’anno”, Arlt segnala la sinistra relazione tra queste scienze e le macchinazioni dei nazisti che pretendono tramite queste giustificare il proprio predominio e la loro espansione.»
[19] Cfr. G. Lo Bianco – S. Rizza, Da Cefis a Gelli, in Profondo nero, cit., pp. 256-67.
[20] Cfr. S. Saítta, El escritor en el bosque de ladrillos: Una biografía de Roberto Arlt, cit., p. 268.
[21] Ibidem.
[22] Cfr. Lenin, Imperialismo parasitario y descomposición del régimen capitalista e Las naciones capitalistas y la guerra mundial, in El comunismo espuesto por Lenín, Recopilación e introducción de Edmundo González-Blanco, Madrid, Agencia Mundial de Librería Barcelona, 1931.
[23] Cfr. O. Borré, Roberto Arlt: su vida y su obra, Buenos Aires, Planeta, 2000, p. 246.
[24] Cfr. O. Borré, Roberto Arlt: su vida y su obra, cit., p. 260. «Visse sotto il segno dell’Intensità, segno meraviglioso, terribile e splendente come una maledizione divina. Dico “visse” e nulla più. E non “visse e lavorò” perché il suo lavoro non fu se non un’espressione consustanziale della sua esistenza, una conseguenza della poderosa gravitazione della sua vitalità creatrice. Se non scrivessi – mi disse una volta –, diventerei pazzo. Non era esagerata l’affermazione. I suoi personaggi lo ossessionavano fino al dolore in un’urgenza lacerante d’illuminazione. La fantasia tradizionale dell’autore assillato dalle creature della sua immaginazione era la realtà d’incubo di molte delle sue ore».
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Primo De Vecchis (San Benedetto del Tronto, 1982) è dottore di ricerca in “Letteratura Comparata e traduzione del testo letterario” (Università di Siena). Ha partecipato al progetto di trascrizione del Diario inedito di Mario Tobino, a cura di Paola Italia. Ha scritto una Nota Storica al romanzo di Tobino, Gli ultimi giorni di Magliano (Mondadori, 2009). Ha pubblicato saggi, articoli e recensioni su riviste («Caffé Michelangiolo», «Nuova Antologia», «Otto/Novecento», «Rivista di Letterature moderne e comparate», «Paragone Letteratura»). Si è occupato anche di autori ispanoamericani come Roberto Arlt ed Ernesto Sábato.
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