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Esplode il Mose. Il cassone, non lo scandalo

Creato il 02 settembre 2015 da Albertocapece

 Anna Lombroso per il Simplicissimus

A volte mi sono chiesta se – mettendo da parte gli interessi privati, l’arraffa-arraffa, la triade malgoverno- malcostume- malaffare, la corruzione endemica come carattere irrinunciabile dell’autobiografia nazionale – non vi sia anche  un fiume sotterraneo che serpeggia e ogni tanto affiora, un istinto ferino a punire la bellezza, a oltraggiarla, a farle violenza, come fanno certi uomini con le loro compagne, come rappresaglia, come vendetta, come sopraffazione che i brutti, gli impotenti, i turpi e i malvagi commettono per sentirsi invincibili. O come fanno certi teppisti – si, sto pensando al ceto dirigente “rinnovato” –  per sfregio, come un rito di passaggio da guappi, come quando frantumano una vetrina,  scrivono con lo spray un insulto sul muro immacolato di un museo, indirizzato alla squadra nemica nel derby.

Ci deve essere anche questo nella continua offesa perpetrata ai danni del nostro patrimonio artistico, alle nostre belle città, come anche alla nostra scuola, ai nostri ospedali, alle nostre fabbriche diventati santuari, disonorati e dissacrati, del lavoro, della cultura, della socialità con la speranza che se ne perda anche la memoria.

Lo so la prendo alla lontana, ma ogni giorno arrivano da Venezia segnali e messaggi inequivocabili del sopravvento di barbarie, incompetenza, ignoranza – e della tracotanza che di solito l’accompagna – e che mi fanno pensare che la cacciata dei suoi abitanti, la fine delle attività tradizionali, l’espropriazione dell’ identità che ne deriva, nascano dall’intento commerciale di “valorizzarla” come si usa dire oggi, attribuendole una funzione di luogo dell’immaginario,   svuotato di cittadini,  fondale di cartapesta per speculazioni contemporanee, condannando i pochi veneziani rimasti al ruolo di comparse di un tableau vivant o di uno spot al servizio di un turismo ingordo e impaziente.

E che forse si tratti anche di una “antipatia” nei confronti del suo mito, fatto di mescolanze, grandezza, trasgressione, libertà e megalomania. Così da far pensare che ci sia un’attesa messianica che si compia la sua sommersione, che l’immaginario collettivo dei forzati delle crociere e di chi pensa di averla già vista perché è stato a Las Vegas sia appagato dalla sua definitiva decadenza.

E non è mica un sospetto così peregrino se in occasione di un picco “anomalo” di alta marea, ondate di “imprevedibile” altezza e impetuosità  hanno allagato una galleria subacquea del Mose, il sistema di barriere che dovrebbe appunto difendere Venezia dal mare in burrasca. O se qualche mese fa, ma lo apprendiamo ora,  si è verificato uno “scoppio”  di alcune celle stagne di un cassone del Mose,  una delle quattro aperture della laguna dove dovrebbero funzionare le barriere mobili anti-acqua alta, con un danno stimato di dieci milioni di euro.

Incidenti tecnici li chiamano, magari dovuti al fattore umano, che in questo caso ci parla di approssimazione, trascuratezza, imperizia insomma di quelle componenti strettamente legate alle attività speculative, infiltrate dalla corruzione e che  ci fa dubitare della capacità dei 130 collaudatori impegnati  nella difficile missione di verificare la bontà e la correttezza dei lavori. Ma soprattutto una volta di più dovrebbe far interrogare il mondo intero sulla vera natura e l’efficacia dei questa “formidabile opera ingegneristica”  da cinque miliardi e 493 milioni di euro, che più che tutelare Venezia ha salvaguardato gli interessi opachi di una cosca con un volume d’affari e un’area di influenza imparagonabile con il sistema di Mafia Capitale: il  fatturato di Mafia Capitale con annessi e connessi supera di poco i 100 milioni di euro. Il Consorzio Venezia Nuova ne distribuiva 100 all’anno in tangenti, sovrafatturazioni, finanziamenti ingiustificati, sprechi.

Anche perché il “format” di successo dell’operazione Mose ha delle caratteristiche particolari che ne fanno un caso di studio e di eccellenza della corruzione e del malaffare. Il suo “pilastro”, il Consorzio Venezia Nuova, per trent’anni ha prosperato su un progetto di incerta funzionalità, di discutibile efficienza, come una piovra che ha avvelenato e alterato l’intera società veneziana. Non solo con la circolazione di tangenti per ottenere i lavori, ma stipendiando organi dello stato, soggetti di controllo, organismi di vigilanza, grazie a un regime “speciale”, a una sospensione delle regole e delle leggi in nome di una presunta eccezionalità e straordinarietà, come è prassi consueta ormai nell’era delle emergenze.  Cosicché da un malaffare che fiorisce e progredisce grazie alla violazione delle norme, si è passati alla corruzione delle regole, con l’imposizione di un monopolio cui vengono affidati tutti gli incarichi, grazie alla profittevole remunerazione del risarcimento dei “ritardi” imputabili alla burocrazia, in virtù di opache  assegnazioni di appalti e di aste assegnate a offerte economicamente più basse.

Dalle regole violate alle regole corrotte, insomma. Ma c’è un aspetto ancora più maligno e velenoso: l’estromissione dei cittadini, della comunità scientifica non assoggettata o comprata, la destituzione di poteri locali esautorati, la beffa ripetuta nei confronti di chi vorrebbe esercitare controllo dal basso in difesa del bene comune.

Bene hanno fatto le associazioni che hanno presentato un esposto al Tribunale permanente dei  Popoli,   chiedendo l’apertura di un procedimento, per accertare  «se nell’iter del progetto Mose siano stati rispettati i diritti dei cittadini». I promotori sono convinti  che il progetto Mose contenga in sè “profili di violazione dei diritti fondamentali” primi tra tutti   appunto il contrasto dei movimenti di opposizione e e della comunità scientifica non asservita agli interessi di parte e le mancate risposte alle critiche anche circostanziate della pubblica opinione. E non solo, visto che  il pronunciamento contrario all’opera della Commissione di valutazione di impatto ambientale che nel 1999 bocciò il progetto, venne usata come canovaccio per introdurre qualche aggiustamento in modo da dare polvere negli occhi al pubblico e ai tecnici e proseguire nell’allestimento della grande macchina del fango. Un sistema che oggi si potrebbe ripetere, visto il successo, con uno dei vari canali alternativi che potrebbero venir scavati per permettere l’attraversamento della città più vulnerabile del mondo da parte delle grandi navi.

Nel silenzio generale peraltro, la stampa tace, e non è una sorpresa, la comunità internazionale a cominciare dall’Unesco di abbandona, non a torto: se non sappiamo difenderci noi perché dovrebbero sentirsi impegnati loro, anche se è in gioco un dei lughi fondamentali della storia, dell’arte, della cittadinanza? Oggi comincia la Mostra internazionale del Cinema, in un Lido oggetto di speculazioni idiote quanto feroci, ma nessuno dei mostri sacri, nemmeno quelli tradizionalmente dediti al cinema politico protesta. Forse anche loro preferiscono ormai il genere catastrofico.


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