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Esposizione di Pareidolia di radici-Ronchi, viale della repubblica Marina di massa-EIDOTECA Amici del'Universo
Creato il 31 luglio 2012 da Peranzonidi
Giulio Peranzoni
Pareidolia è una parola che deriva dal greco: para che vuol dire attraverso, per mezzo di, e eido che vuol dire figura. In pratica è quel meccanismo psicologico che associa le immagini, o meglio, che ci fa leggere delle immagini in altre immagini.
Un esempio comune sono le immagini che di solito vediamo nelle forme delle nuvole, oppure i volti o gli animali che ci sembra di scorgere nelle macchie o nelle incrostazioni dei muri. Non è un gioco della fantasia o un banale effetto ottico ma un qualche cosa di più profondo del nostro essere. È un meccanismo ancestrale e biologico che ci portiamo nel nostro DNA dai nostri lontani antenati. Un meccanismo di difesa che gli ominidi del pleistocene avevano sviluppato in maniera eccezionale e che li difendeva dai vari predatori. Era una delle capacità fondamentali per sopravvivere e che consisteva di vedere, tra le forme delle vegetazione, i predatori mimetizzati e quasi invisibili. I nostri antenati che hanno sviluppato questa dote e cioè leggere meglio le forme tra una forte entropia visiva sono sopravissuti alla selezione naturale e per eredità ci hanno trasmesso questa capacità.
Un meccanismo che ci è rimasto e che ogni tanto affiora per gioco e casualmente. Come creatore di immagini mi è sempre piaciuto scorgere figure nascoste in altre forme. Nuvole, profili di montagne, macchie di inchiostro, i blocchi di marmo che ogni tanto scolpisco; addirittura nei primi anni della mia professione, inconsciamente utilizzavo questa capacità per creare nuove immagini. Mi entusiasmava la reazione di diluenti e inchiostri e miscugli di altri materiali e seguendo i suggerimenti delle loro configurazioni casuali, mi divertivo a disegnare nuove creazioni.
Quando mi sono accorto che nelle radici spiaggiate oltre a vedere delle immagini si aggiungeva anche una plasticità di forme affascinanti e che grazie alla elaborazione digitale ora potevo evidenziarle con più precisione con il disegno, ho iniziato a riflettere meglio su cosa mi ero imbattuto.
Soprattutto di fronte alla reazione dei primi spettatori. Mi ha colpito subito il fatto che molti di loro hanno letto immagini che io non avevo inserito.
Non solo, ma dopo la loro segnalazione, la mia mente non riusciva più a togliere quella lettura di figure nuove. La conclusione ovvia è che le mie tavole mettono in moto un meccanismo biologico sopito da generazioni e la cosa più affascinante è che non si accende solo a chi crea queste immagini ma anche a chi le osserva.
Sono forse le prime immagini materiche interattive, nel senso che chi osserva non lo fa in maniera passiva, una volta ricevuto quel tipo di messaggio visivo, il meccanismo della Pareidolia si attiva e porta a sua volta lo spettatore a creare nella sua mente nuove immagini. È su questa strada che ho iniziato a produrre Pareidolie di immagini. Ma nel elaborare immagini in digitale, come tutti sanno, si intromette un enorme problema, e cioè lo spazio strutturale di queste immagini. Le elaborazioni di queste radici all'interno di una dimensione finita come quella di un monitor o di una pagina cartacea di libro, sono di una misura ben definita, limitata e compressa. Quando finalmente sono riuscito a stamparle in grande su un supporto adatto e con colori speciali, ho cercato di rendergli la loro aurea, cioè trasformarle da copia ad originale con interventi manuali. E durante questo passaggio si è rivelata una seconda interessante sorpresa. Le immagini digitali, come tutti ormai sanno, sono composte da pixel, e anche se la risoluzione è abbastanza alta, una volta portate su dimensioni notevoli, la loro struttura ritorna a farsi vedere. Proprio questa composizione astratta dovuta al digitale mi suggeriva una nuova Pareidolia che si aggiungeva a quella naturale delle radici. Un gioco di specchi e di forme che la mia mente si diverte a comporre in nuove fantastiche figure e che spero anche le menti di chi le osserva si divertirà a comporre con le proprie capacità, tenendo così attivo un istinto primordiale che prima o poi avremmo perduto.
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