Espressi che corrono

Creato il 09 maggio 2014 da Scribacchina

«Tutto ciò che si fa nella vita, anche l’amore, lo si fa nel treno espresso che corre verso la morte. Fumare l’oppio è abbandonare il treno in marcia, è occuparsi d’altro che della vita, della morte».

Non sono su un treno, ma sul mio catorcio. E sto maledicendo quel signore che ha deciso di mettere un bel limite a 90 all’ora sulla statale, con tanto di autovelox: sono ancora freschi i bei tempi, quando potevo permettermi di sfrecciare a 100-110 e oltre, in perenne corsa contro il tempo. Quando poi devi andare in ospedale per la solita donazione Avis e ti rendi conto prima di uscire di casa che l’orario di presentazione erano le 8 e non le 8.30, un bel cerotto sull’occhio dell’autovelox farebbe proprio comodo.

La convenscion dell’altro giorno mi ha segnata più di quel che pensassi: mi frullano in testa le mille contorsioni che fa la nostra mente per riuscire a galleggiare, gli atteggiamenti che uno pensa siano innati, invece sono frutto di mille e mille diversi fattori.

Sarà che uscire dall’ospedale e ritrovarsi immersa nella vita vera del paesello in un orario per me insolito – le dieci e mezza del mattino – mi ha letteralmente catapultata in un altro mondo, con un tipo di persone decisamente diverso rispetto a quello che sono abituata a frequentare. Le casalinghe-mamme e i nonni in giro a fare la spesa, compenetrati di una calma che potrei definire quasi orientale, col tempo di dire, guardando il cielo: «Eh sì, oggi c’è proprio un caldo giusto». Banalità sul tempo, d’accordo, ma dette con una lentezza e un gusto che non conoscevo – o che facevo finta di non conoscere.

Niente treni espressi che corrono verso la morte: mi è sembrato di vedere gente che al posto delle gambe aveva due tronchi d’albero, tutti – dal più anziano al più giovane – ben piantati nel momento presente, consapevoli della forza del sole sulla pelle: «Un caldo giusto».
Ragionamento equilibrato e molto bello, ma… cara signora, il caldo non è mai abbastanza, mi creda.

Il virgolettato sul treno che ho riportato in apertura l’ho trovato nel volumetto Oppio, una sorta di blog ante litteram a firma di Jean Cocteau: sono piccoli flash, pensieri, ricordi, emozioni impressi su carta e raccolti in un unico libro. L’ho trovato – meglio, mi ha trovata – in una delle lunghe pause tra uno sFrecciarossa e un Regionale, l’altro giorno; sto leggendo altro in questo periodo, ma quando l’ho visto mi ha folgorata e non ho potuto lasciarlo lì, sullo scaffale, in attesa di chissà che.

Mi chiedo per quale strana alchimia ci si sente attratti irresistibilmente da qualcosa.


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