«Tutto ciò che si fa nella vita, anche l’amore, lo si fa nel treno espresso che corre verso la morte. Fumare l’oppio è abbandonare il treno in marcia, è occuparsi d’altro che della vita, della morte».
Non sono su un treno, ma sul mio catorcio. E sto maledicendo quel signore che ha deciso di mettere un bel limite a 90 all’ora sulla statale, con tanto di autovelox: sono ancora freschi i bei tempi, quando potevo permettermi di sfrecciare a 100-110 e oltre, in perenne corsa contro il tempo. Quando poi devi andare in ospedale per la solita donazione Avis e ti rendi conto prima di uscire di casa che l’orario di presentazione erano le 8 e non le 8.30, un bel cerotto sull’occhio dell’autovelox farebbe proprio comodo.
La convenscion dell’altro giorno mi ha segnata più di quel che pensassi: mi frullano in testa le mille contorsioni che fa la nostra mente per riuscire a galleggiare, gli atteggiamenti che uno pensa siano innati, invece sono frutto di mille e mille diversi fattori.
Sarà che uscire dall’ospedale e ritrovarsi immersa nella vita vera del paesello in un orario per me insolito – le dieci e mezza del mattino – mi ha letteralmente catapultata in un altro mondo, con un tipo di persone decisamente diverso rispetto a quello che sono abituata a frequentare. Le casalinghe-mamme e i nonni in giro a fare la spesa, compenetrati di una calma che potrei definire quasi orientale, col tempo di dire, guardando il cielo: «Eh sì, oggi c’è proprio un caldo giusto». Banalità sul tempo, d’accordo, ma dette con una lentezza e un gusto che non conoscevo – o che facevo finta di non conoscere.
Niente treni espressi che corrono verso la morte: mi è sembrato di vedere gente che al posto delle gambe aveva due tronchi d’albero, tutti – dal più anziano al più giovane – ben piantati nel momento presente, consapevoli della forza del sole sulla pelle: «Un caldo giusto».
Ragionamento equilibrato e molto bello, ma… cara signora, il caldo non è mai abbastanza, mi creda.
Il virgolettato sul treno che ho riportato in apertura l’ho trovato nel volumetto Oppio, una sorta di blog ante litteram a firma di Jean Cocteau: sono piccoli flash, pensieri, ricordi, emozioni impressi su carta e raccolti in un unico libro. L’ho trovato – meglio, mi ha trovata – in una delle lunghe pause tra uno sFrecciarossa e un Regionale, l’altro giorno; sto leggendo altro in questo periodo, ma quando l’ho visto mi ha folgorata e non ho potuto lasciarlo lì, sullo scaffale, in attesa di chissà che.
Mi chiedo per quale strana alchimia ci si sente attratti irresistibilmente da qualcosa.