Essere creativi in educazione: l’esperimento dell’acqua fredda e dell’acqua calda.

Da Ciraolo

Settimana scorsa c’è stato un pomeriggio di studio un po’ così, in comunità. Cielo grigio e pioggerellina non facilitavano il buon umore. I ragazzi si accasciavano sui libri di scuola come mosche nel moschicida. E io sono ispirato per scrivere questa introduzione irta di similitudini come un porcospino lo è di spine.

In casi come questo le possibilità sono circa due. La prima è soccombere nella noia e lasciare che la nave vada lentamente a picco portandosi negli abissi marinai e capitano, nella certezza che l’indomani sarà un giorno migliore. La seconda è provare a tirare fuori quell’idea creativa, che possa sovvertire le leggi del divertimento/noia (e magari farmi smettere di scrivere cazzate), cambiare il corso degli umori e riprendere i minuti di una giornata uggiosa con tutta un’altra ottica.

La prima possibilità (soccombere) è una possibilità di tutto rispetto, e non lo dico con sarcasmo. Perché molte volte le nostre umane energie non ci consentono di trovare “quell’idea”, magari è venerdì pomeriggio, magari avevamo già dato tutto. Non escludo mai l’ipotesi di fermarmi e dire: “Io per oggi ho dato il massimo, ora non riesco ad andare oltre l’ordinario: ci sono, ma non chiedetemi giochi pirotecnici. Ragazzi, siete in gamba abbastanza per farcela da soli”. Essendo tutti noi esseri umani (mi leggono solo esseri umani, vero?) è inutile negare che a volte scegliamo questa prima strada: l’importante è che questa “strategia di sopravvivenza” non prenda il sopravvento.

La seconda possibilità, invece, è molto più faticosa ed avvincente. A volte si fonda sulla creatività del singolo educatore/genitore/professore, altre volte sullo spirito di gruppo degli adulti (equipe educativa, genitori, team di professori). Altre volte ancora sul fattore “C” (c, per chi non lo sapesse, sta per Fondoschiena). La maggior parte delle volte si tratta di un miscuglio di queste tre cose. Ad esempio, potrebbe capitare che l’educatore riceva uno stimolo (fattore “C”), un segnale, e capisca che quello è lo strumento giusto per sovvertire: la creatività sta nel non farsi sfuggire l’occasione ma sfruttarla a proprio vantaggio.

È esattamente ciò che è successo il pomeriggio un po’ così di settimana scorsa (ok, lo ammetto, tutto quanto avete letto sopra era costruito per portarvi a dirmi che sono bravo), quando sul libro di scienze di un ragazzo abbiamo letto di un esperimento: riempire due bacinelle di acqua molto fredda, una, e molto calda, l’altra. Riempire una terza bacinella di acqua tiepida. Dopo aver immerso la mano sinistra in acqua fredda e la destra in acqua calda per circa un paio di minuti, si immergono entrambe le mani in acqua tiepida (magari chiudendo gli occhi) e… sorpresa, abbiamo la sensazione che l’acqua sia più calda per la mano sinistra e più fredda per quella destra.

Per gli amanti dei tecnicismi, le nostre percezioni si costruiscono tramite l’interazione tra l’esperienza e i sensi. Siamo quindi sensibili agli stimoli che si oppongono alle abitudini e indifferenti (o quasi) a quegli stimoli che confermano le abitudini, un po’ come dopo aver passato molto tempo al buio la luce del sole ci infastidisce. È per questo motivo che la mano che era immersa in acqua fredda percepirà l’acqua tiepida come “più calda”, e viceversa per l’altra mano.

Per chi, invece, vuole sapere come è finita la storia del pomeriggio un po’ così, i ragazzi si sono divertiti più del previsto e una cosa che poteva sembrare banale è stata per loro motivo di grosso stupore. Sono tornati allo studio contenti e a modo… ehm, minimamente adeguati, ma di buon umore. Questo ha innescato una serie di battute, e di considerazioni sull’esperimento, che hanno forse distolto dallo “studio”, ma sono state sicuramente istruttive e hanno permesso, seppur diminuendone la “quantità”, di aumentare la “qualità” dello studio.

Foto | Flickr


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