“Ci ripetono continuamente che se la Francia non intervenisse, nessuno farebbe niente. E’ vero il contrario. Se la Francia interviene, nessuno si muove. Una situazione molto comoda tanto per le grandi potenze (America, Cina, Russia, Europa) quanto per le potenze regionali.”
Dominique de Villepin, ex – primo ministro francese
“L’Afrique en 2014”, Jeune Afrique, n°35, Parigi, 2013.
Le chiare lettere della dichiarazione dell’ex – primo ministro sono relative agli interventi militari francesi condotti in terra d’Africa nel 2013. L’Operation Serval in Mali all’inizio dell’anno e l’Operation Sanagris nella Repubblica Centrafricana della fine di novembre del 2013 sono gli oggetti delle parole di Villepin.
A ciquant’anni dall’inizio della decolonizzazione, la Francia si trova ancora una volta a mantenere l’ordine nel continente africano. Il 50% dei soldati francesi di stanza all’estero sono in Africa e contano circa 8.000 unità ripartiti in 5 basi permanenti.
Nonostante le dichiarazioni di principio panafricaniste, il continente rimane balcanizzato. Il silenzio assordante dell’Algeria nella crisi maliana e dei principali Stati africani tali come la Nigeria e il Sudafrica per le sorti della Repubblica Centrafricana e del Sud Sudan rafforzano questa “malattia” degenerativa.
Afghanistan? No, grazie. Sahel.
La linea balcanica dell’Africa
Le Forze Africana in Attesa (FAA) previste da più di 10 anni, rimangono un progetto, a causa soprattutto dei ritardi nei finanziamenti. Nel 2012, gli Stati membri dell’Unione Africana hanno contribuito solo per il 3,3% al bilancio programmatico dell’organizzazione, lasciando che fossero Bruxelles, Parigi e Washington a metter mano al portafogli.
Complici gli eventi, di natura spesso drammatica, anche i capi di stato che si susseguono scoprono il piacere della potenza che dà la possibilità, a volte spettacolare, di volare in soccorso della vedova o dell’orfano sotto la bandiera dell’ONU.
L’Africa balcanizzata permette ad una Francia dal prestigio e dai mezzi in declino di riaffermare il suo ruolo di “potenza mondiale”, stando alle parole di Francois Hollande.
Questa posizione piace al presidente e al suo ministro degli esteri Laurent Fabius, la cui azione geopolitica sembra in alcuni casi coincidere con la pantomima del cow – boy giustiziere George W. Bush in lotta contro l’”asse del Male”.
Ma non dite questo all’Essere Francia:
“Dall’inizio del XXI secolo, osserviamo in genere risultati economici migliori nei paesi anglofoni, soprattutto quelli del mercato comune dell’Africa orientale e australe (a eccezione dello Zimbabwe) o dell’Africa occidentale (Ghana, Nigeria), rispetto ai paesi francofoni”
Philipe Hugon, L’Economie de l’Afrique, la Découverte, Parigi 2012