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Creato il 19 settembre 2014 da Francosenia

lavoromorto bambole 23 ago 72

Crisi e Critica
- Il limite interno del capitale e le fasi di avvizzimento del marxismo -
di Robert Kurz

Un frammento

Nota: Il 10 febbraio del 2010, Robert Kurz inviò per email alla redazione di EXIT! un testo, accompagnato dalle seguenti parole: "Insieme alla prima parte del progetto del libro più piccolo, Crisi e Critica, stralciato dal precedente progetto Lavoro Morto, per discuterlo nel prossimo incontro. Si può rimuovere dalla prefazione e dall'introduzione tutto ciò che si considera necessario". Dopo l'incontro, il testo è stato fatto oggetto di piccoli aggiustamenti da parte della redazione e non è stato mai modificato dal maggio del 2010. Come viene spiegato nella prefazione del suo ultimo libro, Denaro senza Valore, Robert Kurz aveva deciso di scrivere una serie di libri a partire dal progetto originale del libro di grandi dimensioni, Lavoro Morto. L'unico che ha potuto realmente terminare, è stato Denaro senza Valore, che è apparso nelle librerie pochi giorni dopo la sua morte. Crisi e Critica sarebbe stato un altro libro di questa serie. Dei 36 capitoli previsti - inclusi l'introduzione e l'epilogo - Robert Kurz ha avuto il tempo di scriverne 10.

* Prefazione * Introduzione * 1. La teoria della crisi nella storia del marxismo * 2. Il capitale va molto bene. Ignoranza situazionista della crisi come mancanza di dimensione storica del tempo * 3. Mitizzazione della teoria del crollo * 4. I cavalieri dell'apocalisse * 5. Psicologismo per i poveri * 6. Bisogna criticare il capitalismo solo per mancanza di funzionalità? * 7. Crisi ed emancipazione sociale * 8. Excursus: la dissociazione-valore fa del feticcio il creatore di un mondo di marionette? *  9. La crisi come rapporto soggettivo di volontà *

Altri capitoli previsti ma non scritti:

10. Il capitalismo come eterno ritorno dello stesso * 11. Empirismo storico: l'ammirevole flessibilità della logica di valorizzazione * 12. Ritorno alla brutta normalità? * 13. La crisi come mera "funzione di aggiustamento" delle contraddizioni della circolazione? * 14. Excursus: l'indebolimento e l'abbandono parziale "critico del valore" da parte della teoria radicale della crisi * 15. Sempre nuovamente il "problema della realizzazione" * 16. La crisi dev'essere piccola o grande? Il concetto ridotto del sistema * 17. Il percorso del biocapitalismo? * 18. Riduzionismo ecologico * 19. Capacità di sopravvivenza del capitale individuale ovvero un capitalismo di minoranza? * 20. Il carattere dell'economia postmoderna delle bolle finanziarie * 21. Excursus: critica riduttiva del mercato finanziario, anti-americanismo e antisemitismo strutturale * 22. L'ultima risorsa ovvero la fede nel miracolo di Stato * 23. Un'illusione democratica * 24. La questione della proprietà erroneamente collocata * 25. Keynesismo di sinistra ovvero la riduzione della teoria del sub-consumo * 26. La guerra come soluzione per la crisi? * 27. La crisi sposta solo i rapporti globali di potere? * 28. Il sesso della crisi * 29. La mancanza della critica categorica * 30. Sintesi sociale e socialismo * 31. Excursus: "Forma embrionale" - un grave malinteso * 32. Cos'è un mediatore? Criteri di immanenza sindacale * 33. Carnevale di "lotte" e pacifismo sociale da ideologia a alternativa * 34. Come Herr Biedermeier aggiusterebbe bene tutto * Epilogo *

Lavoro Morto marx-engels-gris

8. Excursus: la dissociazione-valore fa del feticcio il creatore di un mondo di marionette?

E' poco incoraggiante che la maggior parte della teoria di sinistra non voglia ammettere una prospettiva radicale della crisi e della critica e, proprio nel limite storico della società capitalista, si sforzi di minimizzarne il suo carattere feticista, per evitare i problemi a questo collegati. Per il marxismo del movimento operaio - in conformità con la sua lotta per il riconoscimento borghese nel corso della storia dell'ascesa di questo modo di produzione - la relazione di capitale si riduceva alla lotta di classe immanente, in quanto il contesto formale e funzionale socialmente sovrastante, e la concettualità di Marx che ad esso si riferiva, rimanevano un libro chiuso con sette serrature e sette chiavi. Ora che, nella nuova situazione storica, la questione viene posta sul terreno, il marxismo residuale ed il post-marxismo si rivelano gli eredi di quella riduzione, poiché si assumono il compito di continuare la critica in tal senso, raccogliendo con delle pinze i nuovi concetti di Marx e definendo insignificante la loro importanza, e pretendendo di denunciare, il riferirsi ad essi, come una "riduzione".
Così risuona proditoriamente il canto post-operaista: "La riduzione al concetto di feticcio si appoggia a pochi passaggi della cosiddetta sezione del feticcio del primo capitolo del Capitale" (Hanloser/Reitter 2008). Astraendo dal fatto che Marx si riferisce al concetto di feticcio anche negli altri volumi del Capitale e che tematizza il problema della dinamica cieca anche in altre formulazioni, si tratta qui ovviamente di una postura fondamentalmente difensiva nei confronti di tutta una linea di analisi marxiana nel Capitale. Anche Gegenstandpunkt si oppone con le unghie e con i denti a che queste definizioni di Marx vengano afferrate come fulcro per il concetto di relazione di capitale. Contro i rappresentanti di quest'opinione, si proclama che si tratterebbe "appena" di cinque metafore che si trovano in Marx. Tutta la novità consisterebbe nel "fine in sé del 'soggetto automatico' giocato alle spalle degli attori che perciò sarebbero 'maschere di carattere'. Il suo oggetto è il 'feticcio', o meglio, 'la costituzione feticista della società'"  (Gegenstandpunkt 1996). Proprio questo contesto, ovviamente, non è e non dev'essere oggetto di critica. Essi si sono ripetutamente rivolti contro la "... rivalorizzazione(!) di quello che oggi è oggetto dei termini marxiani di 'feticcio', 'coscienza necessariamente falsa' e 'maschera di carattere' ..."  (Gegenstandpunkt 2008) dichiarandoli "errori di interpretazione" (ibidem).
Il marxismo del movimento operaio, nella sua percezione riduttiva tagliata sulla misura delle sue necessità di riconoscimento immanente, aveva sistematicamente "svalorizzato" e represso questi termini marxiani, nel quadro della spiegazione della relazione di capitale, che non sono in alcun modo delle mere "metafore" o "parole" irrilevanti; ed è quasi divertente vedere come ora Gegenstandpunkt si rivolti contro la loro "rivalorizzazione". E' illuminante il motivo addotto per un simile fervore contro i critici del feticcio: "Essi prendono per la cosa in sé gli attributi critici di Marx riguardo al valore, al denaro e al capitale, dimenticano l'economia (!) e fanno del feticcio, del soggetto automatico il creatore di tutto un mondo di marionette" (Gegenstandpunkt 1996). Qui emerge alla luce del giorno la contraddizione elementare. Per Marx, di fatto, i concetti prima riferiti non sono una sorta di "attributi critici" in opposizione a "la cosa" (per cui, perciò, Marx avrebbe rappresentato esteriormente la cosa, per mezzo del suo pensiero critico), ma sono "critica per mezzo di esposizione" della "cosa stessa in sé, ossia, l'essenza della "cosa" e delle sue categorie reali, o "forme di esistenza", che egli designa riflessivamente. Se per Gegenstandpunkt, questa comprensione significa che in tal modo "l'economia viene dimenticata", questo può solo significare che per loro, nella realtà, l'economia è cosa differente da quello che appare su questo piano dell'esposizione di Marx.
Naturalmente, da qui, diventa ridicola l'affermazione per cui assumere queste definizioni marxiane come centrali significa "dimenticare" l'economia. Al contrario, proprio attraverso di esse viene spiegato a sufficienza il concetto di lavoro astratto, l'oggettualità del valore, la produzione di plusvalore ed il potenziale interno di crisi, soprattutto come subordinazione comune di tutti i funzionari sociali al fine in sé autonomo e superiore della macchina sociale della valorizzazione. Proprio per questo avviene che tutti i partecipanti, in quanto pensano e agiscono secondo queste funzioni, sono "maschere di carattere" o "personificazioni" delle relazioni economiche impersonali. Per il marxismo tradizionale, e insieme a lui per  Gegenstandpunkt, al contrario, queste definizioni costituiscono solo un "camuffamento" della "vera" relazione economica, la quale è ridotta a relazione sociale di rappresentazione personale di capitale e di rappresentazione personale di lavoro salariato (in ultima istanza mera relazione di volontà diretta).
Il "soggetto automatico" della macchina di valorizzazione si dissolve così surrettiziamente nella soggettività degli interessi della classe capitalista, ed alla fine viene così oggettivato impersonalmente, contrapposto a tutti i partecipanti, e diventa semplicemente irrazionale, nella sua finalità soggettiva e suppostamente razionale dello sfruttamento degli uni da parte degli altri (9). Così si passa a lato del concetto marxiano di "ricchezza astratta" che indica il carattere del fine in sé feticista senza alcuna "finalità razionale". La "ricchezza astratta" nascerebbe perciò solo come un mezzo particolarmente raffinato per mezzo del quale i "dominanti" strappano agli altri la ricchezza materiale concreta per appropriarsene. In tal senso, sarebbe determinante "l'interesse materiale", la cui forma astratta non smentirebbe questa supposta immediatezza, ma solo la "nasconderebbe". Le contraddizioni specificamente capitaliste fra i differenti funzionari della macchina della valorizzazione sorgono così come semplici contraddizioni fra "ricco" e "povero". Gli sfruttati devono semplicemente imporre il "materialismo" del loro interesse contro gli sfruttatori, senza che venga messa a fuoco, come oggetto centrale della critica, la stessa forma feticista di questo interesse. Questa forma di volontà viene menzionata di sfuggita, quando avviene, come "attributo critico" semplicemente esteriore che Marx opponeva come metafora alla vera relazione soggettiva dello sfruttamento, qualunque cosa per lui volesse significare (nella formulazione di Gegenstandpunkt, e non solo, Marx avrebbe potuto veramente evitare questa metafora, così come pensano anche i positivisti borghesi, dei quali alcuni "marxisti" sono in ultima analisi metodologicamente discendenti) (10).
Gegenstandpunkt (qui, come rappresentante esemplare di questa comprensione) schiva il problema asserendo che l'accentuazione del carattere di feticcio porterebbe a considerare gli esseri umani inclusi in questa relazione, solo come "marionette incoscienti", il cui collasso oggettivo li priverebbe della critica emancipatrice. Quanto a questo concetto di semplici marionette, esso è stato rifiutato alla critica della dissociazione-valore, fin dall'inizio, in un dibattito interno. La riscoperta e la riformulazione di un concetto della moderna costituzione di feticcio negli anni dal 1980 al 1990, aveva di fatto assunto tratti oggettivisti in alcuni rappresentanti della vecchia critica del valore, che però non sono rimasti senza risposta (11).
Non a caso è stato Ernst Lohoff - ancora parcheggiato nella critica del valore riduttiva portata avanti dalla residuale Krisis - che all'inizio degli anni 1990 se ne uscì con la novità di formulare l'affermazione oggettivista poi ripresa da Gegenstandpunkt. Fu lui, che in modo assolutamente irriflessivo mise in gioco la metafora della marionetta governata dal feticcio: "Anche quando le marionette del valore (!) in competizione fra di loro impongono il loro interesse (monetario), la loro azione non ha niente di incondizionato ma, al contrario, rappresenta sempre solo l'esecuzione della logica, già presupposta, del valore" (Lohoff 1991). Ma il fatto che l'azione sia condizionata non dice niente sulla relazione fra determinazione e contingenza, in quanto il carattere della condizionalità non è concretamente determinato, dal momento che niente lo può essere in assoluto. Tuttavia, Lohoff non effettua una determinazione esatta, al contrario fa sparire la volontà, e con essa la contingenza, prima nella condizionalità e poi nella pura determinazione, ribadendo ancora una volta contro il sociologismo del marxismo tradizionale: "Una volta che si prendono ingenuamente le marionette del valore per soggetti incondizionati dotati di volontà propria(!), la griglia di percezione positivista tende ad attribuire la violenza del processo sociale ai suoi portatori personali" (ibidem). L'ingenuità, se vogliamo definirla così, sta tutta dalla parte di Lohoff. In tal modo, distorce il concetto di relazione di feticcio, per cui gli individui ad esso sottomessi verrebbero privati di qualsiasi "volontà propria". La relazione sociale sarebbe allora quella di esistere, di fatto, fuori da essa, cosicché, naturalmente, il punto di vista marxista abituale, compreso Gegenstandpunkt, sarebbe perfettamente giustificato o quantomeno non troppo rudimentale. Mentre il cosiddetto marxismo occidentale, e particolarmente l'operaismo ed il post-operaismo, dissolvono la relazione di feticcio in una pura relazione di volontà, Lohoff presenta solo il rovescio della medesima medaglia, ossia, una dissoluzione nella pura oggettività, letteralmente "sprovvista di volontà". Entrambi passano a lato della rapporto, che dev'essere tematizzato, tra relazione di feticcio e atti di volontà.
Lohoff ha la faccia tosta di esemplificare la sua interpretazione estremamente oggettivista proprio nel rapporto moderno tra i sessi: "Gli uomini non comandano un reggimento patriarcale arbitrario, ma solamente eseguono (!) nelle donne una relazione di potere che è presupposta. La coercizione esercitata sulle donne ha il suo fondamento originale nella volontà maschile, ma a questi 'dominatori' è sempre presupposto un principio di sintesi sociale" (ibidem). Ora, il dominio non è mai di fatto un puro arbitrio, ma è sempre legato ad un contesto formale sociale, il cui carattere feticista non consiste in alcun modo in una semplice "assenza di volontà". Se lo stesso Lohoff parla di una relazione di potere, questa non è pensabile senza atti di volontà; in questo caso il "feticcio" sarebbe quindi inteso in tutta serietà come meta-persona che agisce a parte, che invia le sue marionette a menare colpi. La violenza, quella soprattutto manifesta, ma anche quella muta o strutturale, deve passare attraverso atti di volontà cosciente, perché al di là dell'azione umana non esiste una qualche altra istanza di supporto della relazione sociale, né questa costituisce un qualche contesto di "natura prima", qual è una formazione geologica o una catena alimentare, ma al contrario, presenta solo tracce analoghe, che bisogna decifrare come "apparenza reale".
Essendo lo stesso momento strutturante inconscio, un risultato di atti di volontà umani e storici condensati sotto la forma della riproduzione, esso non elimina la volontà, ma la relega nello spazio interno di questa costituzione autonomizzata rispetto agli altri membri della società. Ma questo è qualcosa di completamente differente rispetto all'agire di una marionetta - per cui si sarebbe bisogno di qualcuno che tira i fili per farla entrare in azione - in quanto i contesti naturali, come tali, non includono alcuna azione di volontà. Dal punto di vista sociale, al contrario, è la volontà stessa che, per la determinazione della sua forma storica, crea un'oggettività negativa, e contro di essa si volge per reagire.
Con ciò, una relazione di volontà non è già una qualche relazione immediata, ma una relazione mediata dal contesto formale della macchina del fine in sé. Questo non cambia il fatto che si tratti di una relazione di dominio, anche se non si risolve in una volontà soggettiva immediata di sfruttamento e di dominio, e vengono esercitate funzioni di dominio da parte dei titolari personali e istituzionali, nel senso della forma di riproduzione, autonomizzata anche contro di loro. La "reificazione" del dominio, tuttavia, non revoca la volontà, ma la media solamente. Il problema, ovviamente difficile da pensare, non a caso diventa chiaro in modo esemplare in quella discussione della vecchia critica del valore riguardo la moderna relazione fra i sessi. La falsa reinterpretazione di Lohoff, della soggettività borghese come semplice "marionetta" del valore, corrisponde alla classificazione del rapporto tra i sessi come momento secondario: "Il compito della teoria rivoluzionaria può solo consistere nello sviluppare la moderna relazione borghese tra i sessi, come momento del contesto dominante di reificazione. La critica del valore, del soggetto automatico di questa società non ha bisogno in alcun modo di essere completata dalla critica della famiglia e della relazione tra i sessi, ma la sua concretizzazione deve includere questi piani" (Lohoff, ibidem). Qui, il valore brilla perfettamente come un idolo maschile autocratico, di fronte al quale l'uomo, il macho, reale, anche nella sua pretesa critica, rinuncia in modo auto-affermativo alla propria volontà, come "marionetta" di sé stesso, sorgendo puro, e al suo apice, nella comprensione riduttiva androcentrica-universalista della relazione fra i sessi e nella logica di derivazione; come mera "concretizzazione" su un piano subordinato.
Nel suo articolo "Il valore è l'uomo" (Scholz 1992), Roswitha Scholz ha introdotto una nuova teoria completamente differente, nella quale la relazione tra i sessi come relazione di dissociazione viene sottratta a questa subordinazione androcentrica e viene elevata allo stesso livello di astrazione teorica del valore, dalla quale risulta una nuova comprensione della totalità della società moderna vista come una totalità disintegrata e non coerente. Questa "sgradevole sorpresa" - ancora oggi non compresa, o non compresa realmente da molti critici del valore crudamente maschilisti "stabilizzati" - tuttavia, non solo si riferisce al contenuto della dissociazione sessuale, ma allo stesso tempo apre una dimensione di critica della conoscenza che può soppiantare la critica del valore, o in generale la sua versione oggettivamente riduttiva. Questo approccio ha permesso di riassumere il concetto della relazione di dominio in forma modificata (non più ridotta ad un'immediatezza senza presupposti di volontà di potere degli attori sociali). Così si rivela anche il problema della volontà in quanto mancante di un approccio differente, non potendo scomparire nella formula delle "marionette".
Per questo, nella sua formulazione di dissociazione, Roswitha critica simultaneamente il carattere oggettivista della critica del valore di allora: "Nel concetto asessuato di individuo astratto e 'puntiforme', i testi del gruppo KRISIS (finora) offuscano il carattere sessuale specifico della logica del valore. La mia critica si riferisce anche al fatto che il concetto di patriarcato (e, con esso, il carattere di dominio della relazione fra i sessi nella forma valore) è in parte evitato, o perfino coscientemente negato, invocando il carattere feticista della società delle merci ... Il problema può culminare nella seguente alternativa: o il lavoro astratto ed il valore vengono compresi, già nel loro nesso costitutivo e pertanto nel loro nucleo essenziale, come principio maschile, oppure si torna ad una gerarchia concettuale nella quale la distribuzione dei ruoli sessuali viene rinviata, come semplice 'problema derivato' o di 'concretizzazione', ad una correlazione secondaria" (Scholz 1992).
Questa critica della relazione moderna di dominio patriarcale è già stata riferita, in forma modificata, al carattere di feticcio, senza sfuggire al problema della volontà: "In questo contesto, per evitare malintesi che possono nascere dal concetto di patriarcato, va chiarito che, quando si parla di dominio maschile, non si vuole ovviamente dire che l'uomo si mette a fianco della donna costantemente con la frusta in pugno, per imporle la sua volontà. Nel senso qui ipotizzato, il dominio si basa essenzialmente sull'interiorizzazione delle norme sancite dalla collettività e dalla loro istituzionalizzazione... Questo concetto diversificato del dominio non contraddice affatto il carattere feticista del valore. Nei dibattiti del gruppo KRISIS, almeno fino a poco tempo fa, il concetto di feticcio è stato frontalmente contrapposto al concetto di dominio e, pertanto, a quello di patriarcato. Per questo è stato necessario supporre un concetto di dominio semplificato e soggettivamente ridotto" (ibidem). Questa critica è stata direttamente svolta anche contro l'idea delle "marionette" di Lohoff. "Senza tener conto del fatto che la cultura teorica femminista aveva già, in generale, oltrepassato un concetto grezzo di dominio come quello supposto da Lohoff; va notato qui che il 'principio di sintesi sociale' viene superficialmente contrapposto alla relazione asimmetrica fra i sessi... Inoltre, (e proprio nella situazione storica in cui la battaglia fra i sessi è all'ordine del giorno), non serve che l'uomo si confronti con tali figure argomentative. Ora, sotto questa forma sarà, letteralmente, ridotto ad una 'marionetta' del feticcio del valore" (ibidem).
La condizionalità della volontà attraverso delle forme e delle relazioni strutturali non esclude, perciò, la condotta volontaria, al contrario la include; l'individuo maschile non si muove come un robot sul terreno del controllo della dissociazione, ma bisogna esigere, nella tensione di tale relazione, che osservi sé stesso e che si metta in discussione nella sua condizionalità, cosa che a sua volta può accadere sotto forma coscientemente volontaria che esclude l'assolutezza di un automatismo.
Il saggio "Dominio senza soggetto" (Kurz, 2004) ha costituito un tentativo di proseguire queste riflessioni facendo ricorso alla teoria di dissociazione, includendo una dimensione di dominio delle relazioni di feticcio al di là delle relazioni fra i sessi. E' stata sottoposta ad una forte critica anche l'idea delle "marionette" di Lohoff: "A prima vista, potrebbe sembrare che, con il concetto di costituzione di feticcio, non solo il vecchio concetto soggettivo-illuminista di dominio diventa obsoleto, ma lo diventa anche lo stesso concetto di dominio in generale. La distruzione del soggetto verrebbe quindi ad esser compresa nel concetto di semplice marionetta. Un tale abbandono immediato del concetto di dominio sarebbe, per così dire, tatticamente inaccettabile. In primo luogo, farebbe apparire gli uomini dimentichi dei vincoli sperimentati nella realtà (e avvertiti in tutto il loro peso), che si insinuano fin nei pori del quotidiano della società-feticcio secolarizzata dal mercato totale e dallo Stato democratico di diritto. Non viene alterato in alcun modo il carattere di questa repressione, e del suo esser degna di odio, dal fatto che essa non può essere ricondotta ad un determinato soggetto, di cui essa sarebbe "strutturale". In secondo luogo, questo concetto di marionetta giustificherebbe in qualche maniera la 'dominazione dell'uomo sull'uomo'. Una volta che si percepisce il carattere senza soggetto delle determinazioni sociali, di modo che i concetti di 'ruolo' e 'struttura' scendono dall'Olimpo scientifico fino alla coscienza quotidiana, essi vengono strumentalizzati in maniera più o meno ingenua al fine di giustificare e tranquillizzare i detentori di certe funzioni di dominio" (Kurz, ibidem).
Questa critica ha anche precisato in modo esemplare la sua posizione rispetto all'oggettivizzazione e alla ripulitura della condotta maschile di dominio e di potere nel quotidiano delle relazioni fra i sessi: "E' evidente l'auto-compiacenza dell'uomo compulsivamente eterosessuale e non veramente interessato a superare sé stesso, nonostante l'educata riverenza nei confronti del femminismo, quando afferma che in fondo non è propriamente lui, come persona, il veicolo di certe manifestazioni autoritarie nella relazione tra i sessi, ma lui solamente 'esegue', fozato e di controvoglia, una struttura socio-storica senza soggetto e superiore. Questo è evidente, a diversi gradi e con espressioni implicite ('mute') o esplicite di un lavoro di rimozione maschile pseudo riflessa" (ibidem).
Tuttavia, la comprensione estremamente oggettivista delle "marionette" dell'azione nello spazio sociale delle relazioni di feticcio non è più portata avanti dai difensori originali, ma senza che sia stata fatta alcuna revisione critica. Invece, l'evoluzione regressiva della Krisis attuale e di Streifzüge ha portato a completare l'oggettivismo del legame automatico "senza volontà" della coscienza attraverso l'abbassamento ad una metafisica del quotidiano riformatrice della vita, che propaga un agire "differente", in ultima istanza morale, in piccoli spazi pseudo sperimentali. Questo soggettivismo del quotidiano, alimentato vitalisticamente e che invoca la "vita" ed il "senso", solo in modo meramente astratto, costituisce solo il rovescio della stessa medaglia; la relazione di feticcio o il "soggetto automatico" e la volontà rimangono poco mediate, come nell'oggettivismo delle "marionette". Non viene chiarito niente, ma si cerca di far sparire le proprie tracce di un pensiero oggettivista rovesciato solo ideologicamente, e nella realtà mai soppiantato. Così, l'autore della Krisis residuale, Karl-Heinz Lewed, constata nel suo articolo "Una teoria sulla vulnerabilità della dominazione?" (Lewed 2007, Krisis 30): "(La) scoperta e la riformulazione critica del feticcio di Marx da parte degli autori di Krisis si è mossa solo inizialmente nell'orizzonte teorico di una realtà oggettivata". Ora, invece di indicare in cosa consisterebbe il problema, e da dove è provenuto il modo sbagliato di porlo, Lewed ipocritamente aggiunge: "L'articolo di Robert Kurz, "Dominazione senza soggetto", una volta relativamente centrale in Krisis per quanto riguarda la critica del soggetto ... viene ancora una volta formulato in questa prospettiva. Il soggetto (maschile) viene definito come pura 'marionetta' (!) della sua stessa forma sociale".
La spudoratezza senza vergogna con cui Lewd falsifica e inverte qui la discussione teorica avvenuta nel contesto della vecchia Krisis, è davvero notevole. Prudentemente, non viene citato niente del testo di "Dominazione senza soggetto", ma gli viene semplicemente attribuita, in forma denunciatoria, una posizione che non gli appartiene e che, anzi, critica. Apparentemente, Lewd conta sul fatto che una gran parte del pubblico non conosca i vecchi testi e che nessuno vada a controllare, e che in questo modo la sua vergognosa falsificazione della storia teorica della critica del valore possa rimanere impunita. Se così non fosse, non sarebbe necessario chiarire che egli cerca di imputare il concetto di "marionette" proprio al testo che ha contestato tale definizione erronea, sulla base della critica prima effettuata da Roswitha Scholz, che naturalmente non viene menzionata da Lewed. Il vero autore della grossolana idea di "marionette", Ernst Lohoff, per sicurezza viene sollevato mediante l'oblio del suo abbaglio, al fine di imputarlo dolosamente ai suoi critici, mediante una prova falsificata. Un semplice caso per detective infantili. Ma è così che la "teoria politica" viene fatta da persone che non solo cercano di farsi belle con le piume altrui, ma cercano anche di imporre sulle teste altrui le proprie orecchie d'asino.
Tornando alle accuse di Gegenstandpunkt, circa il fatto che la teoria radicale della crisi, con il concetto di feticcio, vedrebbe gli esseri umani solo come "marionette senza volontà", esse ricevano un buon aiuto di copertura grazie all'imputazione controfattuale da parte della storia teorica della critica del valore svolta dalla Krisis residuale; ma il prodotto di questo laboratorio di falsificazioni non esattamente professionale ricade sui suoi autori. In realtà, la critica al "teatro delle marionette" teorico di Lohoff, che inizialmente partiva dalla relazione di genere e poi si generalizzava, presentava già le basi per una contro-argomentazione. Il fulcro già allora risiedeva nel problema del dominio. Veniva così imposta l'idea che con una riconoscimento della valorizzazione del valore come "soggetto automatico" della società, il concetto di dominio non diveniva obsoleto in generale per niente, al contrario, il dominio doveva essere ridefinito in maniera differente; non già come relazione di volontà immediata senza presupposti, ma come relazione di feticcio determinata storicamente come forma e che non viene assorbita nelle azioni dei soggetti. Ma, proprio per questo, il dominio non è in alcun modo un semplice automatismo; perciò anche la responsabilità dei portatori di dominio è stata tematizzata come "funzionari" e non come "robot".
Ora, dov'è la differenza decisiva? La volontà non può essere ipostatizzata e presa in una falsa immediatezza come fondamento ultimo, né, inversamente, può essere eliminata senza un sostituto. Se la volontà cosciente è mediata per mezzo di una forma sociale, come tale sorta e predeterminata inconsciamente, allora sorge anche il paradosso reale di una "incoscienza cosciente". L'azione singolare viene svolta coscientemente, ma la determinazione della sua forma socio-storica, che in qualche modo la orienta, la si incontra incoscientemente. L'analogia con i processi naturali, o meccanici, può servire solo da illustrazione critica, ma non costituisce una qualche relazione di identità. Al contrario di un processo digestivo, di una trasformazione chimica o di un processo meccanico, la coscienza e la volontà entrano a priori nel processo formalmente determinato in modo incosciente; per il loro stesso essere azioni.
Una volontà cosciente, in tal modo stregata, non è diretta linearmente, ma si trova sotto le contraddizioni interne del contesto formale e funzionale così costituito, rispetto al quale non si muove di per sé meccanicamente, ma deve passare attraverso la volontà imprigionata, venendo così coscientemente elaborata. La prigionia nella sua forma storica incosciente esige pertanto un permanente "processo di contraddizione" cosciente, che produce le forme di sviluppo contingente. In questo processo di contraddizione entrano sempre costruzioni ideologiche, come contributi propri della coscienza, a maggior ragione in nessun modo determinate meccanicamente. Inoltre, tutti questi modi di agire risultano dalla relazione coercitiva della concorrenza universale, la quale simultaneamente costituisce, attraverso il suo contesto totale cieco, un processo oggettivato nella sua costituzione e nella sua tendenza in un certo modo determinata. Tanto questa determinazione oggettiva è prodotta dall'azione degli esseri umani, determinata dalla forma capitalista e perciò come concorrenza scoordinata, quanto anche è prodotta la contingenza relativa delle forme di sviluppo del processo di contraddizione, come reazione ad essa. Ciò che è costitutivo del feticcio è proprio il contesto formale e funzionale, e pertanto il processo globale, che è oggettivamente autonomo, ma in ogni situazione esistono sempre alternative immanenti di azione. Queste però non sono solo limitate, come il loro campo di azione storico, anche se si sta riducendo fino alla paralisi storica, il quale a sua volta dev'essere processato coscientemente; sia nella direzione di un imbarbarimento ideologicamente mobilitato, sia attraverso la rottura emancipatrice dalla relazione soggiacente. Entrambe le forme di sviluppo dovranno allora abbandonare l'orizzonte delle alternative di azione immanente. Da una parte, nessuna volontà libera, incondizionata e repentina; da un lato nessuna marionetta senza volontà.
Bisogna quindi, in primo luogo, distinguere tre livelli: a) una mera "azione di esecuzione" nel contesto formale e funzionale dato, che avviene anche con coscienza, ma non con riflessione cosciente "sulla" forma di tale agire (così, per esempio, si possono cercare diversi modi di imporsi sulla concorrenza) (12); b) l'elaborazione della contraddizione individuale e sociale, come reazione alle contraddizioni prodotte dall'agire funzionale (13); c) la digestione ideologica del processo sociale, delle sue contraddizioni e forme di sviluppo, che rientra in quest'ultime e le co-determina (14). In tutti e tre i livelli accadono azioni di volontà cosciente, con orientamenti alternativi, che però rimangono chiuse nella prigione categoriale del soggetto automatico, cui viene posto un limite oggettivo da parte della dinamica cieca, essa stessa prodotta incoscientemente dalle azioni di questa volontà. Dato che il processo non si sviluppa automaticamente, anche i portatori di azione di volontà immanente devono essere responsabilizzati, sia pure a diversi livelli ed in maniera differente; questo si applica, naturalmente, soprattutto alle costruzioni ideologiche proiettive.
Il criterio di responsabilità è comunque insufficiente se si riferisce solo alle alternative di azione immanente. Il risultato è allora una Realpolitik la quale in generale, e soprattutto nella sinistra, porta alla questione del "male minore". Il conflitto intorno alle alternative di orientamento e delle azioni immanenti hanno avuto la loro importanza nella storia dell'imposizione, dell'ascesa e dello sviluppo del capitalismo; così, per esempio, sarebbe importante menzionare, a proposito del più decisivo cambiamento di strada immanente, che la vittoria del nazionalsocialismo nel periodo fra le due guerre non fu in alcun modo oggettivamente determinata, ma fu il risultato dei modelli di interpretazione e di azione ideologica e politica immanenti al fine del trattamento della contraddizione, ancora prodotti all'interno di una dinamica non esaurita di un focolaio, storicamente senza precedenti, sorto dalla "barbarie organizzata" sulla base della moderna costituzione del feticcio. Nella situazione storica modificata, ottant'anni più tardi, le alternative di azione immanente si sbriciolano a tutti i livelli contro il limite interno oggettivo raggiunto, e tendono verso uno stato di eccezione globale che sfocia nella dissoluzione della stessa costituzione capitalista, e minaccia di portare a nuove forme di una "barbarie di dissoluzione". Proprio perché dimostra la paralisi delle alternative di azione immanente (15).
Così arriviamo alla questione decisiva. L'umanità è tarata solo sull'elaborazione della contraddizione immanente, o può andare oltre? Il fatto che gli esseri umani non sono marionette del feticcio, essendo questo, al contrario, riprodotto attraverso le loro azioni volontarie, dove sorgono in modo permanente alternative di azione, però non fa saltare in aria la "gabbia di ferro" (Max Weber) della relazione sociale. La questione, pertanto, è sapere se si possa arrivare ad un meta-piano di critica che abbia come oggetto proprio la gabbia in sé. Teoricamente, alla questione, nei suoi tratti fondamentali, è già stata data una risposta. Anche rispetto a questo meta-piano. il feticcio non è il "creatore di un mondo di marionette". Il fatto che si tratti di "forme di esistenza oggettiva" e di corrispondenti "forme di pensiero oggettive" fondamentalmente non significa che questo carattere non possa essere riconosciuto. L'oggettività non è ineluttabile né naturale, ma piuttosto è emersa storicamente e, perciò, è anche criticabile e soppiantabile. In caso contrario, Marx non avrebbe tenuto la porta aperta a questa conoscenza, né essa avrebbe potuto continuare a svilupparsi.
Anche questa critica che va più lontano è storicamente condizionata, nella misura in cui essa stessa si relaziona con la propria relazione moderna di feticcio, e può essere costituita solo a partire dalla metabolizzazione delle proprie contraddizioni interne, non avendo quindi da rivendicare nessuna veristà sovra-storica, ma al contrario, essendo legata solo al suo tempo. "Condizionalità", tuttavia, è qualcosa di completamento diverso da "determinazione". Oggettivamente determinata, è la crisi, e il limite interno; la critica emancipatrice della relazione sociale soggiacente, al contrario è condizionata, ma non determinata. Tale condizionalità si presenta in forma diversa nel corso della storia. Come evidenziato dalla teoria di Marx, l'inizio di una tale critica è stato fondamentalmente possibile in una fase relativamente precoce del processo capitalista. La difficoltà allora stava nel fatto che la macchina della valorizzazione aveva ancora uno spazio di manovra per lo sviluppo storico nel quale la necessità di riconoscimento immanente del movimento operaio si stava adattando, venendo così repressa la possibilità di una critica che andasse oltre. Oggi, è il limite interno che viene raggiunto, a stabilire la condizione e, da un lato, diventa più chiara la possibilità di una tale critica, per esempio in relazione alla manifesta obsolescenza del lavoro astratto. Dall'altro lato, la difficoltà consiste ora nel fatto che la coscienza delle masse ha del tutto interiorizzato gli attori come forme del feticcio, anche più profondamente che al tempo di Marx. Non si può sfuggire alla condizionalità, ma nonostante questo la coscienza, e con essa l'uscita, non è determinata.
"Oggettivista" significa prendere l'oggettività negativa, incontrata e socializzata, come fattualità positiva e come presupposto in ultima analisi insuperabile, che può solo essere "reinterpretato". L'interpretazione soggettivistica costituisce solo il rovescio della stessa medaglia, dal momento che semplicemente ignora o nega quest'oggettività negativa, così come il limite interno ad essa collegato, invece di criticarla radicalmente. Così il soggettivismo è tanto affermativo quanto lo è l'oggettivismo; entrambi i poli si condizionano reciprocamente e l'uno diventa l'altro. Di fatto, bisogna avere la faccia come il culo per imputare proprio alla critica più sviluppata della dissociazione-valore, la comprensione degli esseri umani che pensano e agiscono, come "marionette", nonostante che essa, già a partire dal suo nome, includa una negazione cosciente e volontaria di ogni esecuzione suppostamente "automatica".
Del resto, tutto questo vale anche per la critica dell'ideologia. Se Marx definisce l'ideologia come "coscienza necessariamente falsa", con questo dice già che è possibile riconoscere la falsità di tale oggettività. La "necessità" si riferisce solo alla coscienza innanzitutto presa nelle forme dominanti dalle quali può essere soppiantata; perciò essa non è una coscienza assoluta, un automatismo, ma è tanto meritevole di critica e tanto criticabile quanto le forme di esistenza che le corrispondono.
Il compito, dunque, è quello di formulare una critica emancipatrice delle forme di esistenza e delle forme di pensiero oggettivate e socialmente sovrastanti, e a partire da questo renderla efficace nelle lotte sociali, al fine di rompere coscientemente con questa prigione categoriale. O, con le parole di Gegenstandpunkt: si tratta di sviluppare una volontà contro la forma dominante di volontà e dare consapevolezza del carattere feticista di questa. Il che, tuttavia, esige uno sforzo di riflessione che non è assolutamente contenuto già di per sé nella mera esistenza sotto queste relazioni. La critica rimane in special modo riduttiva e priva della sua dimensione decisiva, quando viene identificata con la pura "esistenza" di un "soggetto oggettivo" (presentato come tradizionale o postmoderno) esso stesso costituito dal capitalismo: ma, se gli esseri umani, come funzionari o maschere di carattere del "soggetto automatico", non sono totalmente assorbite, in sé, nella loro esistenza, come "marionette" senza vita, rimangono bloccati in questo contesto funzionale, se questo non viene esplicitamente fatto oggetto di critica. Mentre le necessità materiali e sociali possono essere reclamate solo dal punto di vista della soggettività costituita in forma capitalista, e quindi nella forma della volontà dominante, esse vengono regolarmente colte nella loro forma negativa e devono cedere alle leggi funzionali della macchina della valorizzazione, perfino all'auto-repressione che può diventare ideologia di annientamento. Questo non significa che la lotta degli interessi sociali immanenti debba essere fondamentalmente negata; ma essa ha bisogno di un punto di fuga verso gli obiettivi trascendenti di una critica radicale al suo proprio presupposto costituito da quelle condizioni di esistenza oggettivate.
Con questo arriviamo al punto cruciale del "punto di vista degli interessi" della "classe" (o della "moltitudine", in altri surrogati). La rabbia nei confronti della sua caratterizzazione come maschera di carattere della componete del capitale vivente (o come superfluità di esso) vive esclusivamente del fatto che la forma dell'interesse, e della rispettiva volontà capitalisticamente costituita (forma della merce, forma del denaro), viene confusa con l'interesse materiale e sociale, e ad esso viene equiparata. Con questo, però, si riproduce solamente la coscienza generale, nel modo esistente e socializzato, che così arriva ad immaginare per sé una cosiddetta "buona vita" in queste forme, e pretende di risolvere, con le unghie e con i denti, le contraddizioni nel quadro della concorrenza universale.
L'interesse così definito, è legato come forma alla capacità di accumulazione del capitale; perciò si presenta come un'agitazione diventata anacronistica, la quale non vuole abolire la coscienza ad essa associata e proprio per questo si misura falsamente sul limite storico della valorizzazione. Dai critici del concetto di feticcio, questa critica viene interpretata come "procedimento etereo", "esoterismo" e "arroganza" intellettuale, dal momento che in questo modo, comunque, la coscienza dei salariati, precarizzati e "superflui", sotto questo aspetto, dev'essere etichettata come incapace di capire. In sostanza, molti teorici marxisti residuali e post-marxisti, con il loro fervore contro la "rivalorizzazione" del concetto di feticcio, pretendono soprattutto di rifiutare la relativa "svalorizzazione" dell'azione limitata al contesto formale capitalista, al fine di poter tornare a "rivalorizzare" questa azione limitata, come se fosse sicuramente sufficiente e avente capacità di emancipazione. La falsa accusa, per cui definire questo agire come trattamento insufficiente della contraddizione, significherebbe ridurre gli agenti a "marionette" del valore, si deve solo al proprio rifiuto di rompere con la relazione moderna di feticcio.

- Robert Kurz – 2012 -


(9) - Si intende che di per sé è la stessa cosa che riproduce la ragione illuminista borghese, la quale non è cosciente del suo proprio carattere metafisico reale nella "trascendenza immanente" della relazione del capitale. La pretesa decifrazione di questa falsa razionalità, come interesse ordinario egoista ed escludente gli altri nel godimento della ricchezza materiale, è esso stesso semplicemente volgare ed assomiglia al discorso illuminista circa la "menzogna dei preti", che pretendeva di coprire l'interesse abietto dei poteri pre o protocapitalisti. Il materialismo volgare "illuminato" non ha mai gettato luce su sé stesso.

(10) - Questo pensiero comprende fondamentalmente male l'affermazione fatta da Marx nel capitolo del feticcio nel quale si parla solo di "determinata relazione sociale tra gli uomini stessi" che,per essi "assume la forma fantasmagorica di una relazione fra cose". Il movimento di valorizzazione, come riaccoppiamento a sé stessi, del lavoro astratto e del valore, è realmente una relazione soggiacente, che rappresenta una relazione sociale degli uomini nel senso che sono loro che riproducono questo rapporto reificante attraverso la loro azione. La "fantasmagoria" è perciò reale, in quanto forma nella quale i suoi funzionari umani sono inclusi. La comprensione riduttrice vorrebbe, al contrario, concepire la realtà di questa forma feticista come mero "falso pensiero", in quanto "dietro" nella realtà ci sarebbe l'interesse comune dei capitalisti a concedersi la ricchezza materiale (l'industria dei cartoni animati di Walt Disney è stata molto più in tema con la figura di Zio Paperone). La relazione viene pertanto ridotta al concetto di proprietà giuridica formale e così (analogamente a quanto avviene nel marxismo tradizionale e, in un'altra maniera, nel post-operaismo) al "potere" soggettivo, vale a dire "comprare la forza lavoro degli altri, comandando perciò il tempo e il lavoro delle altre persone" (Gegenstandpunkt, 1996). Il carattere reale del fine in sé della "ricchezza astratta" si dissolve così nel "potere di disposizione da parte del proprietario" (ibidem) e della sua finalità soggettiva di sfruttamento, al fine di intascare la ricchezza materiale (qui sorge implicitamente come ultima causa "l'avidità" materiale dei dominanti, che poi torna ad essere tematizzata come base del capitale monetario speculativo, che Marx aveva già caratterizzato come "preconcetto popolare").

(11) - E' conveniente nel contesto qui tematizzato, tornare ad esporre nelle sue linee fondamentali il dibattito sul tema all'interno del contesto della vecchia Krisis.

(12) - Per questo ci sono manuali di economia imprenditoriale, concezioni divergenti rispetto alla gestione e un diluvio di "letteratura di consiglio", che nel suo insieme include un posizionamento coscientemente volontario sotto i dettami generali del "soggetto automatico", presupponendo tutto questo, ed il suo carattere, come condizione quasi naturale. Il fatto che questa letteratura sia diventata inflazionaria indica un acuirsi delle contraddizioni nelle "azioni di esecuzione", che non sono affatto automatiche, nel limite interno oggettivo della relazione sociale.

(13) - Concezioni classiche dell'elaborazione della contraddizione, sono, in questo caso, per esempio, l'accentuazione alternativa del rafforzamento dell'azione di mercato o di Stato (liberismo e statismo) nella quale si muovono da sempre anche i partiti operai e i sindacati. Il fatto che queste alternative immanenti (e i corrispondenti orientamenti volontari) si dissolvono secondo cicli sempre più brevi, indica a sua volta un acuirsi, ed ogni volta con una maggior mancanza di risultati, del trattamento della contraddizione politico-economica, alla quale soggiace anche in modo particolare la relazione di dissociazione sessuale.

(14) - Ideologizzati e costruiti come visione del mondo, sono gli interessi contraddittori, formalmente determinati, dei diversi funzionari, dove l'ontologia del lavoro del marxismo tradizionale può essere decifrata come ideologia del lavoro salariato auto-affermativo, da parte della componente viva del capitale (capitale variabile, in Marx). Anche le concezioni alternative del trattamento della contraddizione, sono ideologicamente gonfiate, mentre la relazione di dissociazione si esprime in ideologie sessiste. Ideologie proiettive dell'odio, come il razzismo, l'anti-ziganismo e l'antisemitismo, possono essere comprese, secondo le loro diverse matrici storiche, come reazione cosciente alle relazioni di concorrenza, al rifiuto sociale, alle crisi, ma anche come falsa tematizzazione irrazionale della costituzione di feticcio. La sociologia della scienza ha creato un concetto positivista e neutri di ideologia, come lo si può vedere anche in Althusser. Secondo questi, le ideologie sono l'espressione necessaria, che non può essere trascesa, di determinate situazioni sociali, la cui determinazione formale, e il contesto costitutivo in generale, non appaiono. Un concetto critico di ideologia (e, quindi, la critica dell'ideologia come postulato) è possibile solo dal punto di vista della critica di tutto il contesto formale e funzionale soggiacente alla macchina di valorizzazione e alle sue agenzie.

(15) - Per questo, vengono meno anche tutte le opzioni di "male minore" e di realpolitik ad esso associate, che sono state create dai partiti di sinistra fino agli "anti-tedeschi", i quali presuppongono tutti una continuazione della logica di valorizzazione e proprio per questo devono condannare la teoria radicale della crisi. Per questo costituiscono, piaccia o no, parte integrante dell'amministrazione di crisi, che non può essere sostenibile ancora per molto tempo. Se, tuttavia, le alternative di azione immanente nel loro orientamento fondamentale si rivelano ugualmente impotenti, e sotto diversi aspetti cominciano già a promuovere ugualmente un imbarbarimento, anche la questione della responsabilità si pone in modo diverso, soprattutto per quel che riguarda la capacità di critica categoriale del contesto formale feticista e anche della sua "ragione".

fonte: EXIT!


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