Mi accingo a trascorrere un'estate interamente milanese, causa vicissitudini lavorative capitate nel periodo dell'anno meno opportuno (ma molto opportunamente per quanto riguarda la mia sanità mentale).
Inutile negarlo, sono preoccupata: l'estate a Milano è flagellata da una calamità a cui sopravvivere è difficile, specie quando l'esposizione si protrae per lunghi periodi. Sto parlando del tasso di umidità che pare di stare chiusi dentro un bollitore Alessi? Delle zanzare dai nomi esotici che si spostano in formazione e lanciano attacchi frontali? Di In Onda che prende il posto della Gruber dopo il tiggì del Chicco Mentana? Nossignori! La peggiore piaga delle estati milanesi è il figlio della pizzaiola.
Questa innocente creaturina quattrenne o giù di lì, che io non so dare un'età ai pargoli, rimasta silente nei mesi primaverili, probabilmente rinchiusa a forza in un qualche asilo comunale, nasce a nuova vita con l'avvento del caldo e delle finestre aperte. I suoi piccoli, tenerissimi polmoni, elastici e vascolarizzati, capaci e dilatati, diventano protagonisti mai abbastanza odiati dell'intero palazzo. Questo ragazzino piange, e non ogni tanto: continuamente. Piange a un volume ridicolmente alto. Piange con una convinzione disarmante. Perché cazzo piange questo bambino? Poverino, ha caldo, lo giustifica qualcuno! Ma pensa, solo lui! E occccchei, non voglio mettere di mezzo, per fare un esempio del tutto a caso, me, che con i miei trent'anni si suppone abbia imparato a reagire alla canicola in maniera leggermente più composta, ma non tanto. Ma sarà mica l'unico bambino che patisce il caldo di tutto il palazzo? Volete dirmi che gli altri li stanno conservando nelle cantine insieme ai prosciutti? Io non credo. Tant'è che il piccolo demonio in questione ha una sorellina, treenne, cinquenne, non lo so, e sta bimba non si sente mai. Giuro. A un certo punto ho creduto l'avessero impacchettata e spedita al mare dai nonni e invece no, mi sono affacciata per controllare e lei era lì, angelo mio, a bagnare le piantine della mamma sul terrazzo, colando acqua da tutte le parti ma, per l'amor di dio, zitta.
Quindi, bambino dai polmoni d'acciaio, voglio capire: qual è la tua ragione? Sarà mica, azzardo, che sei semplicemente un piccolo ragazzino rompicoglioni, che quando smette per quattro secondi di piangere, attacca a chiamare la mamma tipo cinquanta volte? Ora, la tua mamma la conosco, è una brava signora, mi regalava sempre la lattina di coca quando le prendevo due pizze e adesso, con sto caldo spaziale, è pure incresciosamente incinta, e con quale coraggio si prepari ad affrontare il terzo è una cosa di cui prima o poi discuterò a quattr'occhi con lei, ma tu, bambino mio dolcissimo del mio cuore affranto, per quale stracazzo di motivo pensi sia utile strillarle cinquanta volte nel giro di un minuto "mammaguardamimammaguardamimammaguardamimammaaspettamimammaaspettamimammaaspettami". Ora, io la butto lì un po' a caso, ma secondo me la tua mamma ti sta aspettando porco il cazzo, nonostante io percepisca palpabile la sua voglia di fuggire via.
Ora. L'estate è lunga e si prospetta particolarmente afosa. Io sto sperando con tutto il cuore che i tuoi genitori pensino a spedirti una qualche settimana in Sardegna da cui l'accento dei tuoi mi dice che provieni, e dove, se siamo fortunati, hai dei nonni o degli zii che non vedono l'ora di esaudire tutti i capricci del loro vivace nipotino (e mi domando perché sia convenzione utilizzare il termine politically correct vivace quando si parla di un bambino, mentre lo sappiamo bene tutti che ci sarebbero aggettivi più adatti a descrivere taluni casi, come rompipalle, pestifero, indemoniato, insopportabile, fastidioso, importuno e detestabile). Ma se così non fosse, se io mi sbagliassi e tu dovessi essere condannato, insieme a me, a trascorrere il lungo agosto qui, al civico numero tre, allora io ti dico, bambino: il balcone da cui tu ami strillare è in linea d'aria esattamente sotto la finestra (aperta) del mio bagno. E io sto caricando il lavandino di gavettoni.