Il sostantivo tempo ci attraversa. A nome e parola, tempo, compare una distesa di pensieri insicuri, si materializza il disaccordo fra l’ossessione dell’infinito, dalla misurazione umana irrealizzabile , che deride il suo contrario, umano, mortale ed ineguale, il tempo umano instabile, soggetto a norme naturali, senza alcun diritto di replica o di possesso. Il tempo è un corpo che ci attraversa comunque, in accordo o disaccordo con la volontà, generando una diplopia che può fortuitamente adattarsi o sfortunatamente discordare con la misura della vita, ma resta in fondo una percezione sdoppiata tra due termini, vivo\vissuto. Di quale tempo sia impregnato il lavoro poetico di Martina Campi, “Le estensioni del tempo”, si prende la misura già nei suoi primi versi, attraverso l’uso di una disarmante dolcezza che addomestica la paura, “la cerimonia del tuono va da giù a su (e da su a giù) e non si rompe niente ma tutto si trasforma“: il tempo unicorno trova la parola vergine che lo doma, si fa attraversare ed il libro si apre di raffinate condivisioni di sentimenti e riflessioni. “Più che a modificarli, una poesia insegna a contemplare i pensieri” indicava Simone Weil, e la raccolta risulta ben ancorata nel reale: il sogno o la visione non sono i soggetti delle riflessioni del verso. Il verso della poetessa cerca la verità attraverso un linguaggio personalissimo, in cui si apre ad assonanze e lessemi che si distribuiscono in una costruzione stilistica fluida e immediata. Non ci sono fratture o suoni aspri, le poesie hanno un lessico dolce, dalla rima piana, rima femminile per antonomasia come viene indicata da secoli, il ritmo è fluido e si crea attraverso dei filamenti di dieci sezioni o meglio ancora di dieci movimenti, di dieci partiture senza standard, come in senso jazzistico, unite dallo stesso suono fluido ed elegante. I versi prediligono la brevità, ed accolgono ritmi, assonanze, alcune volte anche rime accennate.
Quale tempo? Tutto il tempo. Il tempo come Natura, come Memoria, come Universo. L’estensione è universale, i dieci capitoli del libro sono frammenti di tempo da ricomporre, ma il luogo del libro è un luogo domestico, un luogo familiare. Forse è un’estensione di una casa ancora ospitale dove “in basso al pavimento\lasciarsi chiamare\lasciarsi sentire\i suoni vivi della strada“, o di un luogo dove riconoscersi o dove essere riconosciute “ti vorrei toccare\così sentiresti\che sono io\ e non la sintassi di un’idea“, in cui vivere il tempo del riposo e della veglia, riconoscendo la possibilità di trovare la grazia lì dove “nello scivolare\dondolare\oltre la sera\ partecipano\ gli oggetti \cari“. Un mondo addomesticato ma ancora segreto e misterioso, dove l’io narrante è legato al femminile, la pancia, la gatta , “e che il tutto\è a pancia all’aria\come un gatto” , l’acqua che scorre nella pioggia o che si accumula per riempire “memorie instabili, la sete, sotto i capelli”, il fiume in piena.
Le parole riprendono il tempo, e con grazia eterea gli parlano ancora. “Per quanto possa sembrare\abbiamo da imparare \che il tempo non esiste\ è solo il dentro\che si espande“. La negazione del tempo come paura, passa infatti attraverso l’uso continuo che la poeta fa del verbi all’infinito. Infinito scelto affinché le azioni (e la vita) non siano misurabili al passato e nemmeno immaginate in un indeterminato svolgimento. Sono tempo all’infinito perché in continuo svolgimento, non ci sono confini; le stagioni sono accennate ma non riconoscibili ad esempio, così le poesie del capitolo “Questi fogli senza nome” chiedono all’Altro di essere riconosciute, indicano che “la via d’uscita\è l’amore” nonostante le inquietudini che affiorano al suo confronto, come ombre che corrono incontro o come il desiderio di fermarsi e ritornare indietro nel proprio tempo. In tutta la sezione degli Incontri del Sole, lo spazio è occupato dal passato, fra ricordi di guerre lette nei libri e giorni chiusi dalle notti dove le scale ingialliscono, le chiuse delle poesie invitano ad andare a ritroso, ” accoccolati, cuccioli, primordiali\ accolti” o ancora “nel movimento impaziente dell’accucciarsi“. Il linguaggio non denuncia, ma evidenzia, poesia dopo poesia, che il tempo è imperfetto “per buona sorte\ la perfezione non esiste”, e il tono è accorato quando trova i vuoti e i dolori ma il linguaggio non si lascia mai a rassegnazione, non ci sono forzature, i versi trovano una loro strada nello “spazio malato, santo, che prende spazio“. Diversissima per costruzione e lunghezza del metro è “La E del venerdì”, dove l’amore “è un contro incantesimo” spaziato in tre cinquine dove il ritmo si arrotola e inchioda il lettore all’incontro della sera e della casa dove “le parole hanno\ radici come foglie aperte”. Nessun tempo, del resto, è uguale: “oggi nevicano parole“
dalla sezione
MEMORIA DELLE FOGLIE
***
Era la valigia
nella risacca delle lenzuola
Era l’albero
nelle tossi notturne
Era la finestra
nelle luci
dei messaggi
NELLA TERRA
Il passato non è passato
il passato è movimento
le parole sono ferme, le parole sono
gli smarrimenti nella terra sono le parole
e la terra ha calci e polvere
(il colore è sempre quello rosso)
Come luce come fessura come
dita, che si toccano che non si
riconoscono la pelle
i fiumi, le maiuscole
le iniziali
da qualcuno, presto da qualcuno
per lasciargli lo spazio
malato, santo, che prende
spazio
il mattino poco per volta,
per scelta
sulla pancia
LA E DEL VENERDì
L’allenamento all’amore
è un contro incantesimo
ci si nutre dell’esempio, sai
come sole sull’erba
che le cellule ricorderanno
perché anch’io sono solo un’altra Lazzara
che cammina, stasera, con le sue gambe in
spalla e le suole basse in questa
stazione bianca che è deposito
per i morti i piccioni e il piscio, agli angoli
Ci caliamo a pareti dove le parole hanno
radici come foglie aperte e lunghe lunghe
e resina che suda dai pori surriscaldati
e sferraglianti di ora, in ora, in ora, in ora
e là, come in cucina, c’incontriamo.
Martina Campi nasce a Verona nel 1978.
Dal 1997 vive a Bologna, dove si laurea in Scienze della Comunicazione.
Suoi scritti poesie e racconti brevi si possono trovare in rete, su riviste e siti di scrittura tra cui: «Pi greco», «Musicaos», e il catalogo di Kermesse (con il primo Esperimento di scrittura visuale organizzato da Arpanet, basato sulle opere d’arte finaliste al Premio Italian Factory, in esposizione a Kermesse 2004).
È presente in alcune antologie poetiche. Tra i vincitori del premio Ulteriora Mirari 2011 delle edizioni Smasher, è presente in Fragmenta (2011), antologia a cura di Enzo Campi. Tra i vincitori del concorso Pubblica con noi 2012 di Fara Editore è presente nel volume La forza delle parole (2012), a cura di Alessandro Ramberti. Tra i poeti premiati con Segnalazione al Premio Montano 2012 per la raccolta inedita La saggezza dei corpi.
Co-fondatrice dei progetti di raccolta e autodiffusione di “cose belle”: Foglio d’aria: l’albero delle migrazioni (con Giampaolo De Pietro) e l’ormai defunto Fibonacci (con Sergio Bottoni).
Ha pubblicato la silloge poetica Definito dalla luce (2004) e la raccolta autoprodotta di racconti e poesie Le ombre lunghe (2003).
Autrice e performer, insieme al compositore e musicista Mario Sboarina, del progetto di musica e poesia Memorie dal SottoSuono da cui è nato anche il cd autoprodotto Mani e qualcos’altro (2011).