di Claudio Pellegatta
Agli occhi di un cittadino italiano, la Scandinavia è sempre stata riconosciuta, a torto o a ragione, come un idilliaco paradiso in terra, grazie anche a notevoli dati economici, tornati attuali in questi giorni: in Danimarca il rapporto debito Pil è al 38%, record europeo. Ma forse non tutto oggi coincide con questa visione. Dagli anni Settanta, la rispettosa e politisk korrekt società scandinava è passata da un, forse esagerato, sentimento di forte altruismo nell’accoglienza verso lo straniero a una ferrea e poco tollerante accettazione “dell’altro”. Terrorismo ed estremismo islamico hanno giocato un ruolo fondamentale in questo radicale mutamento.
Esistono diverse sfumature all’interno della Scandinavia, che vanno dal duro liberalismo danese al pragmatismo di facciata svedese. Ma l’onda lunga del populismo xenofobo si è oggi ben radicata tra le celebri socialdemocrazie scandinave. I recenti e terribili fatti di Oslo, purtroppo non sono stati un tragico fulmine a ciel sereno, ma un lampo in una volta non sicuramente nera ma certamente grigia. Partiti di destra, più o meno estrema, sia in Svezia, Norvegia e Danimarca, hanno iniziato ad esprimere la propria voce sempre più forte, ottenendo sempre più spazio e visibilità nel dibattito nazionale, incoraggiato da un diffuso malessere di ampie parti di popolazione.
Se in Svezia l’approccio a questi partiti, nazionalisti e dal forte accento xenofobo, a dispetto di un crescente consenso è ancora tabù, soprattutto all’interno del sistema parlamentare, in Danimarca il Dansk Folke Parti ha una percentuale alquanto marcata, più del 13%, nel Folketinget, il parlamento danese, e ha influenzato fortemente, l’azione degli esecutivi di centrodestra che hanno governato il paese prima dell’ultimo voto. Grazie al suo appoggio esterno, Il Folke Parti ha più volte trascinato quei governi a scontrarsi con la Commissione europea per politiche contrarie alla legislazione dell’Unione su immigrazione e trattato di Schengen. Come sottolinea Magnus Ranstorp dell’Accademia Svedese di Difesa: «L’approccio della destra in Svezia e Danimarca ha valenze identiche ma diversi gradi di ipocrisia nel mostrarsi esternamente. Se in Danimarca la destra populista è xenofoba e ormai sdoganata e riconosciuta, in Svezia si cerca di tenere un po’ nell’ombra queste realtà, anche se godono ciascuna di uguale forza e consenso all’interno di entrambi i paesi».
Terrorismo, estremismo islamico, immigrazione musulmana con gruppi più o meno radicali di Jihadisti, hanno giocato un forte ruolo in questo radicale cambiamento nel mondo scandinavo. Anders Behring Breivik, il sanguinario killer di Oslo, anti-multiculturalista, anti-marxista, anti-islamista è un figlio malato di questo malessere scandinavo e ha spiegato la strage come «necessaria per salvare la Norvegia e l’Europa dai musulmani». Secondo Mikkel Vedby Rasmussen, responsabile del Centro Studi Militare di Copenaghen, una recrudescenza del terrorismo di destra in grande stile in Scandinavia sembra improbabile, anche se è sempre possibile l’azione di emuli sempre in agguato. Ma al momento non esistono gruppi o ideologie che posso minimamente avvicinarsi allo stragista di Oslo e i possibili gruppi eversivi di destra, presenti più in Svezia che in Danimarca, sono strettamente controllati. Il malessere e la deriva reazionaria rimarranno quasi sicuramente incanalate all’interno di gruppi parlamentari sempre più forti e rappresentativi, alimentati soprattutto dalla minaccia del terrorismo islamico e dall’immigrazione musulmana.
È invece molto più presente l’allarme del terrorismo di stampo Jihadista e l’ipotesi di un attacco, soprattutto in Danimarca, secondo Ann-Sophie Hemmingsen, esperta di estremismo islamico all’Istituto Danese di Studi Internazionali. Dall’11 settembre a oggi ci sono stati tredici tentativi di attacchi terroristi in Scandinavia per ora venuti alla luce. A parte quello di Oslo, sono tutti di matrice islamica: l’85 per cento ha riguardato la Danimarca, il restante 15 per cento la Svezia (la bomba a Stoccolma nel dicembre del 2010) e la Norvegia (l’attacco di Breivik a Oslo quest’anno).
In Danimarca, la maggior parte è stata bloccata prima di un reale attacco o dopo lievi danni e nessuna vittima. A prescindere da quello del dicembre 2010, dove i possibili attentatori stavano organizzando un attentato in stile Mumbai, il livello organizzativo e di preparazione era certamente più basso, di matrice jihadista ma non direttamente legato ad Al-Qaeda. La maggior parte dei terroristi e degli aspiranti tali, erano giovani danesi di seconda generazione, di origine medio orientale e afghana, privi di un’identità e non integrati in una società che reputano ostile. Perché la Danimarca è nell’occhio del ciclone tra i paesi Scandinavi? Tre i fattori principali: le vignette del giornale Jyllands Posten, nel mirino fin dal 2005 dopo la pubblicazione di immagini di Maometto ritenute offensive dagli islamici, l’intervento militare della Danimarca in Iraq e Afghanistan e infine Anders Fogh Rasmussen ex primo ministro danese e attuale segretario generale della Nato, organizzazione militare occidentale che opera su più fronti nel Medio Oriente.
Dopo l’11 settembre, la Danimarca, a seguito di preoccupanti avvisaglie, ha inasprito notevolmente la legislazione in materia di sicurezza e controllo, soprattutto per la sorveglianza internet e delle telecomunicazioni e per le pene detentive e le procedure di espulsione in caso di minaccia nei confronti del paese. Anche la legislazione in materia d’immigrazione, sotto l’azione del Folke Parti e con la giustificazione della minaccia del terrorismo, è stata resa tra le più restrittive a livello europeo. Questo inasprimento delle misure di sicurezza e leggi anti immigrazione ha suscitato polemiche da parte di molti intellettuali e attivisti, ma l’opinione pubblica danese per la prima volta, è sembrata non molto preoccupata dalla perdita di alcuni diritti, dall’assottigliamento della propria privacy o da leggi contrarie all’immigrazione, ma molto più turbata dalla reale e possibile minaccia di essere sotto attacco.
L’ultimo rapporto di Amnesty International del 2010, ha criticato duramente le nuove leggi danesi contro il terrorismo che limitano i diritti umani definendole «contrarie alle linee guide internazionali» soprattutto per quanto riguarda la tutela della privacy e le procedure di espulsione. Dal 2004, dopo la prima seria minaccia di attacco terrorismo preparato tra Sarajevo e Copenaghen da parte di un gruppo di quattro giovani jihadisti, un attacco con utilizzo di esplosivo in Danimarca, il paese ha cambiato volto. Se negli anni Ottanta era politicamente scorretto e non tollerato parlare contro l’immigrazione e il diritto all’asilo e all’ospitalità, ora ci s’interroga su come difendere il proprio stile di vita autoctono. Dal 2001 al 2011 la Danimarca è stata guidata da governi di orientamento liberal-democratico di centro-destra che hanno posto fine a molte politiche socialdemocratiche varate nei decenni precedenti. Nelle recenti elezioni politiche la socialdemocrazia danese è riuscita a tornare al governo, ma ha ottenuto un numero di seggi molto basso rispetto agli anni precedenti, riuscendo a imporsi con uno strettissimo vantaggio (51,1%), solo grazie ad una coalizione eterogenea, allargata a diversi partiti.
Dopo il settembre 2005, con le caricature di Maometto pubblicate sul quotidiano danese Jyllands-Posten, il paese è definitivamente sprofondato al centro di una campagna di piani e attacchi terroristici: sei casi negli ultimi quattro anni. «Sebbene abbiamo bloccato un attacco terroristico, sappiamo che ci sono persone in Danimarca e all’estero che hanno la capacità, la volontà e l’abilità di colpirci», ha affermato Jakob Scharf, capo del Pet, il servizio segreto danese. Negli ultimi mesi, i casi più eclatanti sono stati: il tentato assassinio di Kurt Westergaard, il vignettista danese, da parte di un somalo che ha fatto irruzione con un’ascia nella sua abitazione; la piccola esplosione di una bomba in un hotel nel centro di Copenaghen da parte di un maldestro sedicente attentatore ceceno che voleva provocare una strage e infine il ben più pericoloso e ben orchestrato tentativo di attacco alla Mumbai, sventato poco prima della sua attuazione. Quest’ultimo, definito dal ministro danese della Giustizia «il più grave complotto terroristico mai organizzato in Danimarca», si ispirava all’attacco del 2008 a Mumbai. Gli attentatori, volevano tragicamente imitare il commando islamico che scatenò nella città indiana un assalto simultaneo alla stazione, al centro ebraico e a due alberghi. Gli scontri proseguirono per 60 ore e il bilancio finale fu di 183 persone uccise ed oltre 300 ferite. Nelle perquisizioni in Danimarca e Svezia che hanno fatto seguito agli arresti, il Pet ha sequestrato armi da fuoco con relativi silenziatori e munizioni e strisce di plastica che potevano essere usate come manette, dettaglio che lascia pensare anche a uno scenario di presa d’ostaggi. I cinque avevano legami con la rete del terrorismo internazionale di matrice islamica.
Forse un po’ troppo per un piccolo paese come la Danimarca di poco più di cinque milioni e mezzo di abitanti. Ma se il paese è sotto choc, lungo le strade e per le piazze di Copenaghen un normale cittadino non vedrebbe alcun tipo di prevenzione sul campo. Polizia per la strada se ne vede veramente poca e quasi nessuna a presidiare piazze principali, stazioni o metro. Esercito in città? Da queste parti, sarebbe come vedere l’arrivo dei marziani. Quelle poche forze dell’ordine che raramente è possibile incrociare, posseggono pistole d’ordinanza a basso calibro e sono sguarnite di giubbotti anti-proiettili. Dopo i vari pericoli bomba, i cestini porta rifiuti non sono né trasparenti né stati rimossi o sigillati. Ad Hovedbanegård, la stazione centrale di Copenaghen, o a Tivoli, il più famoso parco giochi di Danimarca nel pieno centro della capitale, è possibile lasciare il proprio bagaglio in comodi contenitori automatici senza il minimo controllo anti esplosivo. Strano, per un paese sotto attacco.
Secondo Lars Erslev Andersen, uno dei maggiori esperti di terrorismo in Scandinavia «la Danimarca è molto diversa dall’Italia, dove si previene più sul campo. Il cittadino danese non tollererebbe vedere il proprio paese militarizzato. Attuiamo politiche di prevenzioni d’intelligence. Il nostro paese è uno dei più regolati del mondo, ogni nostro movimento è discretamente segnalato e controllato dalle autorità. Più persone ci controllano dagli uffici, meno ci controllano sulle strade. È difficile che qualcuno esca dalle maglie della sicurezza. Siamo anche un piccolo paese e la nostra popolazione molto omogenea aiuta a distinguere eventuali minacce».
A Copenaghen esistono più telecamere di sorveglianza che a Londra, ma in caso che per una volta le maglie del Pet si allargassero o un cane sciolto come Breivik, ma di matrice islamica, riuscisse ad attuare i suoi piani sanguinari, non sembra che in Danimarca, come in Norvegia a luglio, esista un piano B. Se l’attacco stile Mumbai fosse riuscito lo scorso dicembre, terroristi ben organizzati avrebbero tenuto in scacco, molto probabilmente per ore, una capitale europea, provocando centinaia di vittime prima di essere fermati da una reazione repressiva da parte delle forze dell’ordine.