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EST(r)FATTO: La primavera del Québec, tra scontro generazionale e indipendentismo

Creato il 01 giugno 2012 da Eastjournal @EaSTJournal
di Matteo ZolaUno spettro si aggira per i cinque continenti, è lo spettro della protesta giovanile. Troppo spesso relegata a semplice fatto di cronaca o connessa a rivendicazioni meramente generazionali, essa è molto di più. E’ la futura classe dirigente che si batte contro quella attuale, è il nuovo contro il vecchio. Certo, non dappertutto è così. Lo è stato in Nord Africa, dove però il “vecchio” ancora avanza scippando la “rivoluzione” araba dei suoi frutti. Lo è stato in Spagna e in Romania, con i grandi raduni di piazza dei cosiddetti “indignati”. Lo è stato negli Stati Uniti, con il variegato movimento “Occupy”. Non lo è stato nel nostro stanco Paese dove anche i giovani sono vecchi: qualche molotov, sassaiole, bandiere rosse, anarchismi, autonomismi, e altri distinguo vecchi di quarant’anni.I leader della Maple Spring di anni ne hanno ventuno. Gabriel Nadeau-Dubois, capo dell’associazione «Classe» che riunisce oltre 80 mila giovani, è il leader di una protesta che muove dall’aumento del 75% delle rette universitarie ma che incontra la simpatia di chi giovane non è più in un Québec da sempre tentato dall’indipendenza dal Canada. Il Québec è infatti la regione francofona canadese, fortemente legata per interessi economici e intrecci culturali con il vecchio continente, ha il francese come lingua ufficiale e un modello sociale simile a quelli europei. E’ una regione vastissima, le cui principali città sono Québec City e Montreal, ricca di giacimenti minerari e forte esportatore di energia. L’indipendentismo è radicato tra i cittadini quebecchesi, molti sono i partiti (di destra e di sinistra) che se ne fanno espressione. Il governo centrale ha sempre provato fastidio nei confronti della provincia ‘ribelle’. I canadesi rinfacciano ai quebecchesi di “costargli troppo” a causa del welfare state regionale finanziato, in parte, dalle casse nazionali.Ecco che la protesta contro l’aumento delle rette universitarie dagli attuali 2.168 dollari canadesi a 3.946 (da 1681 a 3061 euro) ha scatenato la reazione dei più giovani. Erano ottantamila in piazza a Montreal. Il governo centrale ha risposto con l’inasprimento della legge 78 al fine di limitare il diritto di manifestare degli studenti. Le nuove norme obbligano i dimostranti a notificare le manifestazioni alla polizia con almeno otto ore di anticipo, specificando percorso, orario e durata dei cortei, oltre a impedire di arrivare a meno di 50 metri da campus ed edifici universitari, pena multe fino ad un massimo di 125 mila dollari canadesi (97.000 euro). La paura del governo canadese è che i giovani possano bloccare il previsto gran premio automobilistico di Montreal in programma domenica 10 giugno, e il seguente Jazz Festival, che garantiscono al Québec entrate per oltre 200 milioni di dollari canadesi (155 milioni di euro).La reazione d’indignazione è stata ancora più forte e trasversale. E’ da cento giorni che prosegue la protesta cui si è affiancata una battaglia legale. Convinto di trovarsi di fronte ad una violazione dei diritti civili, il giovanissimo Gabriel Nadeau-Dubois (affiancato dai coetanei Martine Desjardins e Leo Bureau-Blouin, presidente della Federazione degli studenti universitari) ha presentato alla Corte Superiore del Québec due istanze legali per sospendere l’applicazione della Legge 78 invocando «il rispetto della legge».Neanche a dirlo, l’opinione pubblica anglofona si è scagliata contro i manifestanti. Scrive Maurizio Molinari, su La Stampa, che i maggiori giornali canadesi parlano apertamente di «ricatto». Il «Globe and Mail» di Toronto invita a «non cedere alle intimidazioni» degli studenti, che sono considerati nelle province anglofone dei «viziati» per il fatto di risiedere in regioni dove gli aiuti pubblici alle famiglie sono i più alti dell’intera nazione. «Il problema è che il Quebec si sente più vicino alla Francia che parte integrante del Canada». Argomenti che non fanno che rinsaldare le fila tra i francofoni in un patto intergenerazionale a difesa del proprio stato sociale in una regione dove i francofoni, pur essendo maggioranza, hanno mediamente stipendi più bassi rispetto ai connazionali anglofoni.

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