Una zucca ciascuno, una sorta di palla arancione in parte liscia in parte spugnosa. Quando gli scienziati si sono presentati in sala stampa con queste buffe sfere di plastica, non c’è più stato alcun dubbio su quale sarebbe stata la protagonista della terza giornata del meeting dell’AAS in corso a Seattle: Eta Carinae, lo straordinario sistema binario divenuto famoso con la grande eruzione di metà Ottocento – così intensa da farlo apparire per qualche decennio come la seconda stella più brillante del cielo. E di nuovo al centro dell’interesse degli astronomi, in epoca più recente, da quando le osservazioni multibanda ne hanno svelato la natura binaria.
A dire il vero, attorno alle due stelle che formano Eta Carinae aleggia ancora il mistero, in particolare per quanto riguarda la più piccola della coppia. Mistero ora un po’ meno fitto grazie alle osservazioni compiute dal dicembre del 2010 a oggi con lo spettrografo STIS a bordo del telescopio spaziale Hubble. Tracciando il redshift – o meglio, il blueshift, considerando che quello osservato è uno spostamento verso il blu – delle righe del ferro (in particolare, la riga a 4659 Angstroms degli atomi di ferro doppiamente ionizzati) in 41 diverse porzioni della regione di cielo attorno al centro del sistema binario, il team di ricercatori guidato da Ted Gull, del Goddard Space Flight Center della NASA, è riuscito a produrre una sorta di fotografia panoramica che si estende per circa 670 miliardi di km.
I risultati, presentati ieri per la prima volta al meeting dell’AAS, mostrano un’intricata struttura gassosa che si estende per circa un decimo di anno luce. A produrla, le complesse interazioni fra i venti stellari emessi dalle due stelle. Venti dalle proprietà fisiche assai differenti. Denso e relativamente lento – circa 1.6 milioni di chilometri all’ora – quello della stella primaria, in grado di trasportare ogni mille anni una massa pari a quella dell’intero Sole. Cento volte più rarefatto ma sei volte più veloce quello della stella compagna, la più calda delle due. Con l’ausilio di simulazioni al computer, messe a punto dal ricercatore postdoc della NASA Thomas Madura, è emerso come i rapidi venti della stella più piccola – mano a mano che il periodo di rivoluzione di 5.52 anni la porta ad avvicinarsi alla sorella maggiore – scavino veri e propri solchi spiraleggianti nella materia densa emessa dalla compagna.
E sono proprio i dati usciti dalla simulazione quelli che Madura ha dato in pasto alla stampante 3D per riprodurre in ABS, in ogni dettaglio, l’intricata danza dei venti stellari di Eta Carinae. «Volevo riprodurle in 3D per visualizzarle meglio», ricorda Madura, «e il successo che queste stampe hanno avuto mi ha davvero sorpreso». Probabilmente è la prima stampa in tre dimensioni che mai sia stata realizzata a partire dalla simulazione al computer d’un sistema stellare, e quel che è certo è che non sarà l’ultima. Già Madura pensa all’utilità che avranno in ambito didattico, consentendo per esempio di insegnare l’astronomia ai non vedenti facendo letteralmente toccare loro con mano i modelli elaborati al computer. Ma gli stessi scienziati hanno avuto modo d’apprezzare quanto sia rivoluzionario potersi confrontare con oggetti così concreti come le stampe in 3D: «Ci hanno permesso d’identificare alcune strutture delle quali non eravamo prima a conoscenza», dice infatti Madura, «e ci hanno aiutato a interpretare i dati delle osservazioni». Infine, e certo non guasta, hanno un aspetto proprio simpatico, queste buffe sfere. Merito anche dell’azzeccata scelta cromatica. Come mai arancioni? «Un po’ perché è risultato uno fra i colori meglio in grado di valorizzare il gioco di luci e ombre», spiega Madura a Media INAF, «ma soprattutto perché mi piaceva».
In questa simulazione, le due stelle sono rappresentate come punti neri. Crediti: NASA GSFC, T. Madura
Eta Carinae si trova a circa 7500 anni luce da noi. Stando alle stime più recenti sulle due stelle che formano il sistema, la primaria ha una massa pari a circa 90 volte quella del Sole ed è 5 milioni di volte più luminosa, mentre la più piccola – la meno conosciuta – potrebbe misurare 30 masse solari, dicono le osservazioni della NASA, ed essere “solo” un milione di volte più luminosa del Sole. Ruotano una attorno all’altra a distanza da brivido: al periastro, la fase di massima prossimità, distano appena 225 milioni di km, più o meno come il Sole da Marte. Distanza minima che viene raggiunta ogni cinque anni e mezzo, questo il periodo di rivoluzione della coppia. Nei mesi immediatamente precedenti e successivi al periastro, il sistema entra in fibrillazione, come testimoniano le variazioni repentine dell’emissione luminosa osservate dagli astronomi.
Variazioni talmente regolari – quelle registrate negli ultimi undici anni – da permettere di azzardare previsioni. Molto affidabili quelle a breve termine, secondo le quali al prossimo periastro, in calendario per il 7 febbraio del 2020, assisteremo al ripetersi delle stesse dinamiche già osservate nel corso dei quattro momenti di distanza minima precedenti, come appunto la temporanea scomparsa della riga del ferro a seguito dell’immersione della stella più piccola nei gas densi della compagna. Assai più incerto, invece, il destino finale delle due stelle: se non “dimagriscono” per tempo, potrebbero prima o poi esplodere entrambe come supernove.
Guarda il video della simulazione del sistema binario:
Fonte: Media INAF | Scritto da dal nostro inviato Marco Malaspina