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Eterna Marilyn

Creato il 12 luglio 2010 da Silvanascricci @silvanascricci

La doppia vita di Marilyn.

Eterno femminino condannata all’immortalità e alla fissità.

Da un punto di vista clinico, il libro autobiografico di Marilyn Monroe è il perfetto ritratto di una schizofrenica.

Lucidamente consapevole di essere divisa in due.

Da un lato c’è la stella del cinema, oggetto perenne di attenzione maschile e “paura sessuale femminile” (definizione della stessa Marilyn); dall’altra indicata sempre con il vero nome di battesimo, c’è Norma Jane, la bambina vissuta in ben nove famiglie affidatarie, affamata di cibo e d’amore.

“Un fenomeno da circo”, “un ninnolo smarrito”, “un gatto randiagio”: lei si descrive così, in un misto di pietà e rabbia sottile.
Ma La mia storia, pubblicato solo adesso in Itlia non è solo la testimonianza in presa diretta della doppia vita dell’attrice.

E’ un’analisi spietata su Hollywood, “un posto dove ti pagano mille dollari per un bacio e cinquanta centesimi per la tua anima”; è un percorso che attraversa passaggi clou della storia americana, dalla seconda guerra mondiale al maccartismo; ed è un racconto che contiene un’inquietante autoprofezia: “avevo qualcosa di speciale e sapevo cos’era. Ero il tipo di ragazza che trovano morta in una camera da letto con un flacone vuoto di sonnifero in mano”.

Pubblicato in America nel 1974 e poi di nuovo nel 2000, corredato da 47 immagini (alcune inedite) il libro raccoglie le confidenze che la Monroe dettò, negli anni cinquanta, ad gostwriter di lusso, l’autore di commedie teatrali e di scenografie come Notorius e A qualcuno piace caldo: Ben Hect.

Una presenza discreta, la sua.

Anche se certe immagini raffinate tradiscono la mediazioni di uno specialista: quando ad esempio la Monroe descrive la sua iniziale “mancanza di talento come un abito scadente che indossavo dentro”, il contributo di uno scrittore si sente.
Resta però lei la protagonista assoluta.

Soggetto attivo della narrazione, e non semplice oggetto, come nella decina di titoli che le sono stati dedicati.
Hollywood è la grande protagonista della Mia storia; anche l’attrice non attacca mai direttamente, con nomi e cognomi, i pezzi grossi del cinema.

Alla faida stile Eva contro Eva con Joan Crawford, però, è dedicato un intero capitolo: “mi suggerirono di perdonare una donna che un tempo era stata giovane e seducente”, chiosa lei con sottile perfidia.

Eppure l’autobiografia, anche nelle piccole furbizie o reticenze, trasuda verità.

Non solo descrivendo meccanismi dello showbiz ancora attualissimi – con cui ad esempio un vecchio calendario senza veli trasforma la stellina emergente Marilyn in superstar.

Ma anche raccontando un’infanzia durissima: orfanatrofio, madre in manicomio, padre inesistente, girandola di famiglie affidatarie.
La Monroe ripete più volte di non voler dimenticare il passato: “questa bambina triste e amareggiata, cresciuta troppo in fretta, difficilmente uscirà dal mio cuore. Nonostante tutto questo successo, posso avvertire i suoi occhi spaventati che si affacciano dai miei”.

C’è poi il capitolo amori.

Su cui l’attrice è abbastanza abbottonata.

Con un’unica eccezione: Joe DiMaggio.

L’entusiasmo con cui ne parla è legato al fatto che le sue conversazioni con Ben Hecht coincidono col matrimonio con il campione di baseball.

Nessun accenno – come ovvio – ai membri del clan Kennedy che negli anni seguenti l’avrebbero conosciuta molto da vicino: nè JFK, nè Bobby, che in seguito molti accuseranno di essere coinvolto nella sua scomparsa, archiviata come probabile suicidio.

Ma inoltre alla Mia storia esiste anche un’altra testimonianza diretta, in cui l’attrice parla di sè senza filtri.

E’ il docufilm Marilyn dernières sèances, diretto da Patrick Jeudy, tratto dal libro Marilyn, gli ultimi giorni di Michel Schneider, passato recentemente al Biografilm Festival di Bologna.

E in cui si possono ascoltare i famosi nastri audio dei colloqui tra la star e lo psicoanalista hollywoodiano Ralph Greenson.

I due erano legati da un rapporto morboso: lui fu a vederla a vederla viva e il primo a trovarla senza vita, ed è stato sempre sospettato di essere implicato nella sua fine.

Nelle registrazioni, mai autenticate ufficialmente, si sente la voce stentata, sottile e disperata della donna che di lì a poco sarebbe morta: “vorrei scomparire nell’immagine, e fuori dall’immagine…”.



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