(Usa 2013, 105 min., col., drammatico)
Alla ricerca di un nuovo filone che possa portarli a una nuova giovinezza, i fratelli Coen non riescono più a eguagliare i fasti dei tempi migliori. Dopo l’insipido, ma efficace (a suo tempo da me giudicato positivamente), western True Grit, realizzano una pellicola divertente, commovente e dalla fotografia stupenda, ma che s’inchina al cospetto dei loro più grandi lavori.
Inside Llewyn Davis, o meglio Inside Dave Van Ronk, s’ispira, infatti, alla vita e all’album del chitarrista e arrangiatore folk Dave Van Ronk e alle sue tribolazioni per sopravvivere quotidianamente. Llewyn (Oscar Isaac) vuole sfondare come solista dopo il suicidio del suo partner musicale. I suoi tentativi sono vani e non bastano quei due o tre concerti che realizza nel bar di un suo amico. A rovinargli la settimana ci penserà la sua ex Jean (Carey Mulligan) annunciandogli la gravidanza di cui è probabilmente responsabile, suo marito Jim sulla cresta dell’onda (Justin Timberlake), il gatto Ulisse e un viaggio a Chicago in compagnia di Johnny Five (Garrett Hedlund) e Roland Turner (John Godman) per incontrare un produttore, ma che si concluderà in un nulla di fatto. Ne esce uno spaccato di New York, della musica e degli anni sessanta molto interessante, nonché una commedia ben gestita legata ad arte dalla solita ironia alla Coen.
Un capitolo a parte per la fotografia. Geniale! Bruno Delbonnel è forse il più grande direttore della fotografia degli ultimi anni e ancora una volta, dopo il mirabile lavoro per il Faust di Sokurov, realizza un’opera immensa. Ineguagliabile la sua scala di grigi che calca l’ambiente fumoso di un’America industriale e tabagista, ma che ben si amalgama con un’idea di bianco e nero degli anni sessanta. In una cortina di nebbia mista a fumo e dalle tonalità sfumate (o sfocate) risplendono le dita del chitarrista, il volto di Jean e il pelo rosso di Ulisse. La neve, in questa New York lacerata del gelido inverno, è spenta e bluastra: i raggi del sole non oltrepassano il grigio di Delbonnel, impedendone i riflessi sul manto nevoso. Tutto è spento, allora? No. Il direttore della fotografia di Le fabuleux destin d’Amèlie Poulain e di Un long dimanche de fiançailles, nonché di un episodio di Paris, je t’aime (intitolato Tuileries) diretto proprio dai due fratelli illumina lo spettatore e i volti dei personaggi, omaggiandoli di luce propria e autorizzandoli, come aveva fatto per Faust, a elevarsi su piani trascendenti o, quantomeno, angelici.
Mattia Giannone