La fotografia che vedete qui sopra, pubblicata in prima pagina dal New York Post, è stata all’origine di polemiche, ma anche di interessanti discussioni.
L’immagine ha fermato gli ultimi secondi di vita di un uomo prima che fosse travolto dal treno della metropolitana. Per la cronaca, era stato spinto verso le rotaie da un uomo con problemi psichici, dopo una discussione.
Molti si sono chiesti: il fotografo avrebbe potuto prestare aiuto se non fosse stato occupato a immortalare la scena? Lui si è giustificato spiegando che ha pensato di sparare una serie di lampi del flash per avvertire il conducente e farlo fermare e che le foto sono venute di conseguenza. Ma il dubbio è legittimo, perché la foto è molto ben composta e quindi tutt’altro che casuale. E poi come si può pensare di salvare il malcapitato accecando il guidatore? Tanto più che dopo l’accaduto ha accettato di farsi intervistare solo pagamento. Sospetto, no?
Questa vicenda ha sollevato una serie di interrogativi sull’etica della fotografia, sull’opportunità di riprendere immagini di realtà crude e drammatiche, anche a costo di non intervenire per salvare persone e situazioni.
Vi rimando a un bell’articolo uscito sul Post che mostra anche alcune fotografie controverse che hanno fatto epoca e che fanno riflettere sull’operato del fotografo. Tra queste, quelle terribile della bambina africana ridotta allo stremo che ha alle spalle un avvoltoio. L’autore, Kevin Carter, fu molto criticato per non aver cacciato l’uccello e poi vince il premio Pulitzer.
Fin dove, dunque, può spingersi il fotografo nel documentare la realtà? Deve astenersi in casi particolari? E se sì, quali?
Vorrei citare, per inserire un ulteriore elemento, un librino che ho appena finito di leggere: Photographs non taken, a cura di Will Steacy (Daylight, $14.95).
In esso, oltre 60 fotografi professionisti di tutto il mondo raccontano in modo efficace episodi nei quali si sono trattenuti dal fare il proprio mestiere: per pietà, per riservatezza, per incapacità a reagire, per rispetto, per potersi rendere utili o persino per vivere una situazione invece di guardarla dal di fuori attraverso un display. È questo il caso, che mi ha molto divertito, della fotografa israeliana Elinor Carucci cui nacquero due gemelli: “La fotografa dichiarò guerra alla madre”, ma fu quest’ultima ad avere la meglio.