Gentili lettori, questa atmosfera natalizia tanto foriera di letizia (sì, ma dove?) ci porta a dare ascolto a una serie di richieste riguardo all'etica occasionalmente emerse dai commenti, e in effetti l'ultimo post su Nelson Mandela ci offre il destro per parlarne, essendo la biografia di questo signore un caso che ha del paradigmatico. Cominciamo dicendo una cosa: noi non siamo nessuno per poter parlare veramente di etica, né filosofi, né pensatori (di rilievo, intendiamo... vivaddìo cerchiamo di usare quella poca materia grigia di cui siamo dotati), né sacerdoti, né tantomeno profeti. Prendete queste come considerazioni generali secondo le categorie della Mutantropia e della Sinestesi, in ogni caso sempre contro ogni osnoblosi, e integratele con quanto precedentemente esposto da un punto di vista più connotato di pensiero trascendente nel post Etica e Senso Religioso.
Etica, dal greco antico εθος (o ήθος), èthos, etimologicamente significa "carattere", "comportamento", "costume", "consuetudine", ma è invalso il senso di "giusto comportamento". Secondo noi il suo senso va oltre e significa "perseguire il giusto" sempre e in ogni caso, anche contro il proprio interesse. Chiaramente il "giusto" dipende dallo stato di coscienza, esiste quindi un'etica oggettiva, ovvero coerente a un "bene" innegabile almeno dalle principali correnti spirituali e filosofiche vigenti, ed un'etica soggettiva, che è comunque etica o almeno è onestà con se stessi. Qui si innesta l'annoso problema di quanto quest'ultima, la soggettiva, sia davvero etica, cioè quanto il perseguimento di un bene percepito come tale ma con ogni mezzo, anche interpretabile come ripugnante o aberrante, abbia un qualunque connotato positivo. Cioè se Hitler fosse stato in buona fede nel perseguire il suo ideale di bontà per la terra/l'umanità/la razza ariana, sarebbe stato meno Hitler? Chi giudica il mezzo e la sua adeguatezza al fine?
Purtroppo intervenire sulle questioni di coscienza è sempre delicato e fuorviante, proprio perché comportarsi in modo etico non significa sempre e necessariamente comportarsi "bene". In linea generale (e davvero, per favore comprendeteci, solo in quella), se il Vangelo ci insegna a porgere l'altra guancia, cosa che noi non abbiamo mai visto fare eppure viviamo in una società sedicente cattolica, altri libri sacri, uno per tutti la Bhagavad Gita, ci insegnano a gestire lo scontro sì, ma in modo appunto etico, cioè senza conseguenze karmiche per noi e per gli altri. Perché, come abbiamo esposto nel post sopra menzionato, è proprio qui che si configura il nucleo centrale dell'etica: l'attenzione all'altro, all'ambiente, al sistema olistico di cui siamo parte. È etico il comportamento che lo considera, lo preserva e non ne compromette i delicati equilibri, e qui Adolf non ha più scappatoie.
E allora lo scontro? Quando e come è concesso ferire? Anche qui si entra in aspetti di coscienza molteplici e davvero individuali, ma sempre in linea generale possiamo rispondere che ciò deve avvenire quando lo scontro è veramente necessario, chiaramente nella consapevolezza del fatto che ognuno di noi è responsabile della propria conflittualità. E al quando si aggiunga il come, ovvero sempre con le modalità che l'antica tradizione cinese definisce Wu-Wei, concetto in questo link decisamente banalizzato in quanto il "non fare" poi significa effettivamente "fare senza conseguenze karmiche", per estensione "senza intenzione". Il che normalmente significa fair play, campo e strumenti "condivisi", nessun sentimento ostile o di vendetta. Guerra che non ferisce e non esalta, da eseguire anzi freddamente, come una "questione di ordine", sapendo che il fine non giustifica i mezzi e sarà di questi che, alla fine, si dovrà rendere conto (guardate cosa sta succedendo a quel tizio che ha sfruttato il parlamento italiano, l'organo legislativo del paese, per ripulirsi penalmente da una vita da criminale).
Si può riassumere quindi vedendo l'etica come quel fare non immediatamente razionale rispetto allo scopo pratico che si propone, laddove però questa irrazionalità (apparente) in realtà sia fortemente motivata nel perseguimento di un bene e nel rispetto del tutto. Quindi è etico quel gesto che ha una motivazione più grande del suo apparente scopo pratico. Vero che etica è azione mentre morale è pensiero, ma quella dell'etica non è un'azione qualsiasi, bensì motivata dal pensiero, dalla morale, dallo stato di coscienza. Un fare responsabile, quindi, che risponde al tribunale interiore ma spesso anche ad alcuni esteriori.
Come s'è detto c'è un'etica assoluta, prima denominata "oggettiva" e ognuno tende a vedere tale quella del suo credo, che quindi non può essere redarguita, nel nome della convivenza fra fedi. Se non forse tramite una Tradizione sapienziale che come tale dovrebbe essere connessa con le radici stesse di ogni fede, ma qui ci infileremmo in un discorso troppo profondo (e dibattuto) per i nostri propositi. E c'è poi un'etica personale, prima definita "soggettiva", perché personale è lo stato di coscienza, la morale.
Purtroppo o per fortuna, però, quando uno stato di coscienza non è completo, cioè è immaturo o deficitario, cosa normale nel cammino sulla via dell'esperienza, anche colui che persegue "il giusto" fallisce ed ha un'apateporia, che a sua volta, similmente alla dinamica mutantroposnoblotica, lo mette in discussione e lo costringe a cercare un nuovo "giusto", un nuovo valore. Auspicabilmente quest'apateporia deve riguardare esclusivamente lui stesso, cioè non dev'essere frutto o causa di nocumento agli altri o all'ambiente: rischio sulla mia pelle, chi ci rimette sono solo io. In realtà un tale gesto non è proprio del tutto etico, a causa del rispetto dovuto almeno al nostro corpo, ma è già un buon inizio per distinguere Hitler da Jim Morrison :) A questo proposito nel nostro post sulla benvenuta apateporia parlavamo di Mutantropo interiore, che poi significa coraggio di cambiare sistema di valori contro ogni apatepofobia. E per guidare lo stato di coscienza verso ciò cui ancestralmente l'uomo è stato dedicato, quindi verso il "bene" che accompagna l'umanità dall'alba del suo stesso esistere, ci sono da sempre simboli e archetipi ed è qui che interviene in prima istanza la Sinestesi, est-etica dalle caratteristiche che ormai dovremmo conoscere bene.
Insomma essere etici significa essere giusti nei confronti del mondo e onesti con se stessi. Ovvero vedere le apateporie per quelle che sono, permettere agli eventi del mondo - figli del karma - di essere significanti. Così l'etica soggettiva lentamente si plasma e diverrà un'etica simile a quella oggettiva, perché maturerà nella consapevolezza dei suoi effetti e in un ambito interpretativo, quello archetipico-simbolico, che ad oggi è l'unico per una, chiamiamola così, corretta decodifica degli stessi. E qui si affronta un passo successivo: che fare quando si è raggiunta l'armonia col mondo (ammesso che ciò sia possibile)? L'uomo è alla ricerca di armonia e laddove la trova da Mutantropo tende a mutarsi in Immobilista. Ma è anche vero che l'assenza di apateporie, fondamento primo dell'armonia, è ciò a cui porta la via etica. A ognuno la sua, secondo il suo stato di coscienza: il ragioniere saprà essere un ragioniere in armonia, così il macellaio, così il filosofo. Almeno in armonia col mondo, e già questo sarebbe un risultato eccezionale, se tutti fossimo etici.
Ma da un ulteriore punto di vista, in armonia col mondo significa in qualche modo esserne prigionieri, accettare le sue logiche. L'uomo in quanto anima, e intendiamo la sua anima più autentica e profonda, capisce istintivamente che il mondo non è il suo regno, che essa appartiene ad un altrove. Allora l'etica diventa qualcosa d'altro e un simile scopo, per essere perseguito, inevitabilmente scardina equilibri forse eccessivamente di comodo portando nuove apateporie (cfr Gv 15, 2). Anche in questo caso interviene la Sinestesi, perché il confronto cui sottopone porta l'anima a verificare le distanza che separa il Regno dal suo tranquillo mondo di ragioniere, di macellaio o anche di filosofo. La porta a capire che ogni uomo ha il diritto-dovere di perseguire scopi spirituali trascendenti, e alcuni lo capiscono prima, altri dopo, altri mai (nella vita presente). Per il terzo tipo l'armonia col mondo è fondamentale. Per gli altri due parliamo della via del Metantropo rispetto a quella dell'Eumutantropo semplice.
Bene, è Natale. Quale tipo di Mutantropo interiore vorremmo far nascere? :)