Nella serata di ieri,nei due campi profughi di Mai Ani e Adi Arush, in Etiopia, nel corso di una veglia di preghiera per le vittime di Lampedusa, molte delle quali erano originarie, appunto, dell’Eritrea e in fuga da una delle peggiori dittature al mondo, un gruppo di persone anch’esse di nazionalità eritrea, tra la rabbia e la commozione, hanno improvvisamente iniziato a protestare contro le organizzazioni umanitarie e il governo etiopico, responsabili di non accelerare adeguatamente i processi di reinserimento per i rifugiati come previsto dal diritto internazionale.
Resisi conto del non ascolto, dopo qualche minuto, gli stessi hanno appiccato il fuoco a tende e materassi.
L’intervento della polizia etiopica ha, comunque, di poco limitato i danni in quanto c’è scappato ugualmente un morto e sei feriti tra gli eritrei e due, invece, sono rimasti feriti tra gli uomini delle forze dell’ordine.
Tanta violenza è scaturita, si è venuto a sapere in seguito, oltre che dalle pessime condizioni vita nel campo, come non è affatto difficile immaginare, dalla delusione di un certo numero di giovani eritrei, che di recente sono stati respinti dall’Egitto in Etiopia mentre tentavano di raggiungere Israele.
Una situazione, questa, che si ripete molto spesso in quanto la polizia egiziana adotta,senza mezzi termini, la politica dei respingimenti.
I giovani eritrei che al momento risiedono nei campi profughi di Mai Ani e Adi Arush sono in totale circa 40 mila.
E tutti, di certo, non smettono di sperare in un futuro, il loro, che possa essere differente e migliore dell’attuale presente.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)