Negli anni Ottanta i nativi canadesi soffrivano di una situazione economica e sociale precaria, a proposito della quale, bisogna dire, il DIAND ha fatto molto per migliorare le condizioni durante gli ultimi dieci anni. Nel 1981 l’aspettativa di vita per gli status Indians era inferiore di dieci anni alla media canadese; nel 1986 la mortalità infantile era di 1,72% (gli Inuit 2,81%) rispetto allo 0,79% degli altri canadesi; il tasso dei suicidi degli status Indians era più del doppio di quello degli altri canadesi e per gli Inuit tre volte tanto; nello stesso anno le morti violente di status Indians e Inuit erano tre volte superiori a quelle degli altri canadesi; nel 1985 il 31% dei nativi riceveva la maggior parte del suo reddito da fondi del governo, contro il 19%; nel 1987 il tasso dei bambini in affidamento era cinque volte più alto per i bambini di riserva (3,8%) che per gli altri (0,8%). Per la verità alcune di queste cifre vanno lette in modo particolare: tra gli Inuit e gli indiani storicamente è normale dirimere gravi controversie con l’omicidio (furto di donne, stregoneria), data la mancanza delle strutture legali più complesse.
Con la decadenza dell’economia tradizionale, cioè il mercato delle pellicce e l’arrivo da sud della società canadese, vi è stato un largo diffondersi dell’alcolismo, che ha fatto aumentare gli omicidi. Quanto alla mortalità infantile non dobbiamo dimenticare l’infanticidio, specialmente delle bambine indigene, come normale pratica storica di controllo delle nascite; questa è anche un’area in cui, in circostanze di gravi difficoltà, si ricorre storicamente all’eutanasia dei vecchi, che nella nostra società è considerata, come l’infanticidio, un omicidio.
La divergenza tra il sistema legale canadese e gli usi indiani e Inuit ha fatto sì che gli indiani siano rappresentati in maniera eccessiva nella popolazione carceraria. Nel 1988 i nativi, che costituiscono solo il 3,8% della popolazione, formavano il 10% della popolazione carceraria federale e il 14% di tutti gli istituti di pena canadesi. A Terranova e nel New Brunswick la sovrarappresentazione era eccezionale, rispettivamente dodici volte e sei volte. I nativi formano anche la maggioranza della popolazione carceraria femminile in certe province: quasi tutta quella dello Yukon e del Labrador e oltre il 70% di quella dei Territori del Nordovest, del Manitoba e del Saskatchewan. (Leonardy 1994:6) C’è da aggiungere che, in molte zone, le donne bianche sono ben poche e questo spiega il numero così alto di native. Oltre a ciò gran parte di queste carcerazioni sono legate all’alcolismo.
Dal lato positivo, ci sono dati che dimostrano un continuo miglioramento: nel 1945 i nativi canadesi erano un po’ più di 120.000, mentre nel 1980 erano un po’ più di 300.000; i bambini alla scuola elementare erano passati da 17.000 a 80.000, mentre i 3000 studenti universitari rappresentavano un record rispetto al passato recente. La spesa federale intanto passava da 7 a 850 milioni di dollari canadesi. Nel 1966 la pubblicazione dell’inchiesta Survey of the Contemporary Indians of Canada, nota come l’Hawthorn Report, condannava l’atteggiamento paternalistico del governo federale verso gli indiani e criticava la gestione degli affari indiani, che li lasciava nella più abbietta povertà. L’Hawthorn Report metteva in dubbio l’Indian Act e provocava un cambiamento nell’opinione pubblica che trovò ascolto nel nuovo Primo Ministro Trudeau, fautore di una “democrazia partecipativa”, che nominò uno speciale Ministro e promosse un questionario intitolato Choosing Path, che fu inviato in tutte le case indiane.
«Un libro bianco federale del 1969 propose di porre fine alla discriminazione degli indiani e di facilitare la loro integrazione nella società come cittadini aventi pari diritti con l’abrogazione dell’Indian Act, la cui ultima revisione risaliva al 1951, (quando era stato tolto il divieto all’esercizio della religione tradizionale per gli indiani e in particolare alle feste dette potlatch in British Columbia, N. d. A.) e la conseguente eliminazione di ogni status speciale e della distinzione tra indiani a pieno titolo (registered) e indiani privi di reale riconoscimento (non registered). Ma l’uguaglianza di status, però, non garantiva quella sociale ed economica e manteneva le gravi discriminazioni tra uomini e donne indiane. Gli indiani, che non erano neppure stati consultati, protestarono contro quella che ai loro occhi appariva soprattutto una politica di assimilazione culturale. Il dibattito che si sviluppò in quella occasione, tuttavia, servì a rendere i popoli nativi più consapevoli della loro identità collettiva rispetto al resto dei canadesi e del significato del loro status. Il governo federale, d’altra parte, fu costretto a prendere atto della necessità di consultare gli autoctoni e decise di sovvenzionare le organizzazioni che agivano per il riconoscimento legale dei loro diritti» (Rubboli 1992:128).
Il cosiddetto White Paper, il Libro Bianco intitolato A Time for Action e il suo accompagnamento legislativo, il Bill C-60, affondarono tra le polemiche degli indiani e dei radicals canadesi, che scoprirono di avere il Terzo Mondo in casa e non se lo lasciarono scappare, senza ben comprendere quello che volevano gli indiani. Il White Paper, però, ebbe importanti conseguenze sulla politica del governo e tra gli indiani. L’agente indiano, rappresentante del controllo paternalistico di Ottawa, venne ritirato dalle riserve e
«il governo federale promosse la creazione di organizzazioni politiche aborigene, che ancora funzionano anche se i leader indiani sono critici veementi nei confronti di quelli che pagano loro le spese. Il White Paper aumentò l’attività politica e un certo numero di nazionalismi. Quella che nel 1927 era stata solo una rivendicazione fatta da una minoranza in British Columbia, nel 1970 era diventato l’atteggiamento praticamente di tutti gli indiani canadesi, il cui scopo era di ottenere piena cittadinanza. Dal 1973 in poi si può dire che il cambiamento storico nell’opinione pubblica è cresciuto ed è stata promossa una nuova consapevolezza politica degli indiani. Il governo canadese creò un Ufficio delle Rivendicazioni Native dentro il DIAND, che doveva ricevere e negoziare qualsiasi rivendicazione fosse stata presentata. Negli anni Settanta le varie organizzazioni aborigene vennero dotate di fondi e per la primavera del 1983, erano stati concessi fondi a più di 50 società indigene in modo che avessero i mezzi per esaminare e poi presentare le loro rispettive rivendicazioni. … Le rivendicazioni presentate dagli indiani canadesi sono di solito di due tipi: (1) nel Nord esse mirano al riconoscimento legale di titoli alla terra e a tutto ciò che ne deriva; (2) nel Sud gli scopi sono di solito collegati a diritti più specifici, come quelli di caccia e pesca. E’ chiaro che praticamente il 40% del territorio nazionale è reclamato dagli indiani del Nord» (Junquera 1992:35-36).
In Canada si afferma che il paese fu acquistato tramite scoperta e colonizzazione, perciò da questo punto di vista i possibili diritti reclamati dagli indiani non hanno fondamento legale, perché le terre non erano occupate. Comunque il «titolo aborigeno» appare nelle sezioni 25, 35 e 37 della Costituzione ed è riconosciuto dal governo federale e da vari gruppi indiani. Negli anni Settanta il dibattito si focalizzò sui cosiddetti Aborigenal Land Claims, cioè rivendicazioni del diritto di proprietà su terre abitate dai nativi prima della colonizzazione. Ciò venne iniziato dalla decisione della Corte Suprema nel Caso Calder nel 1973, quando la Corte ritenne che i Nisga’a (Nishga) della British Columbia avevano un titolo alla terra aborigeno come diritto legale che derivava dalla loro occupazione storica e possesso delle terre tribali “da tempo immemorabile”, cioè prima della colonizzazione inglese. Il governo allora si dichiarò aperto a sistemare le rivendicazioni tramite negoziato e intraprese la cosiddetta “politica di rivendicazioni comprensive”, che si riferiva a parti del Canada non coperte da trattati, nei Territori del Nordovest, Territorio dello Yukon, Quebec settentrionale, Terranova, Province Marittime e larga parte della British Columbia.
Questa politica venne accompagnata da una “politica di rivendicazioni specifiche” che mirava a compensare per una passata cattiva gestione di fondi e il non adempimento di obblighi statutari o per trattato da parte del governo federale. Il primo e probabilmente maggiore accordo sulle rivendicazioni native fu firmato nel 1975 ed è noto come il James Bay and Northern Quebec Agreement (JBNQA) con il complementare Northeastern Quebec Agreement (NEQA) del 1978, che però è antecedente ai negoziati comprensivi della politica federale. Venne concluso per chiudere una disputa derivante da un megaprogetto idroelettrico, che avrebbe allagato ampi tratti dei territori di caccia di Cree e Naskapi, con il riconoscimento da parte dei governi del Quebec e del Canada dei loro obblighi legali verso gli indiani. «Inizialmente intesa a fornire un compenso per la perdita di diritti aborigeni, la “politica di rivendicazioni comprensive” del governo federale nel 1978 venne “a tradurre il concetto di “interesse aborigeno” in benefici concreti e durevoli nel contesto della società contemporanea» (Leonardy 1994:7). Ciò significava che diritti definiti per le First Nations dovevano essere descritti per mezzo di accordi rivendicativi formali. Per la prima volta nel 1981 il governo federale annunciò la sua volontà di negoziare l’autogoverno all’interno di questa cornice: «I negoziati devono trattare materie non politiche che sorgono dalla nozione di diritti terrieri aborigeni, compenso in denaro, diritti alla vita selvatica e possono includere l’autogoverno su base locale»(DIAND 1981:19).
Da notare, l’autogoverno era visto come connesso con questioni non politiche. Questa era una interpretazione molto distorta dei punti di vista nativi sull’autogoverno. Per il 1985 si stavano negoziando 23 rivendicazioni, di cui 14 nella sola British Columbia; mentre il processo di negoziato era molto complesso, le Province non erano ansiose di raggiungere un accordo. La tensione era aggravata dal fatto che, fino al 1990, il governo federale aveva deciso di restringere il numero dei casi negoziabili simultaneamente a sei.
Tra i negoziati conclusi, particolarmente importante è il Nunavut Final Land Claim Agreement del 1993 nei Territori del Nordovest, che ha creato il nuovo Territorio di Nunavut (che significa «nostro paese» in lingua inuktitut) nel 1999 con un governo predominantemente Inuit; in questo modo gli Inuit hanno di fatto l’autogoverno. In due casi i progetti di autogoverno sono stati realizzati tramite l’applicazione della legislazione. Il primo è il Cree-Naskapi (of Quebec) Act del 1983, complementare agli Accordi di James Bay (1975-78), in cui le nove bande firmatarie hanno ricevuto status costituito (corporate) e il potere di fare leggi in materia più ampia di quella concessa dall’Indian Act. Il Sechelt Indian Self-Government Act del 1986 istituì la Banda Indiana Sechelt della British Columbia come comunità autogovernante. Con queste due leggi le comunità interessate possono esercitare una notevole autorità per quel che riguarda la disposizione delle terre e delle risorse, l’accesso, la residenza, la sanità, l’istruzione e le tasse locali.
Nel dicembre 1979 le tre organizzazioni aborigene di quel tempo, la National Indian Brotherhood, il Native Council of Canada e l’Inuit Tapirisat of Canada, si incontrarono con il Comitato Permanente dei Ministri sulla Costituzione provinciale-federale per discutere la partecipazione dei popoli aborigeni al processo di riforma costituzionale. Quando la Conferenza dei Primi Ministri del 1980 non riuscì a raggiungere un accordo unanime, il governo federale decise di procedere unilateralmente; le organizzazioni aborigene fecero un gran lavoro di lobby sia a Ottawa che a Londra contro questa mossa. Il rimpatrio unilaterale della Costituzione venne bloccato nel settembre 1981 dalla sentenza della Corte Suprema che sostenne che era necessario un sostanzioso accordo provinciale in questioni che riguardavano i rapporti tra federazione e Province e nella successiva Conferenza dei Primi Ministri del novembre 1981 si raggiunse un accordo, benché parziale, che ancora resta tale, dato che il Quebec non lo firmò. Il rimpatrio fu completato con la proclamazione del Constitutional Act il 17 aprile 1982.
Dato che la legislazione sull’autogoverno poteva essere modificata unilateralmente a seconda delle maggioranze nel Parlamento federale, i leader politici indiani continuavano ad insistere perché il diritto di autogoverno avesse un trinceramento costituzionale. Nella sez. 35(1) del Constitution Act del 1982 era stata inserita la formula sui «diritti esistenti» degli indiani senza consultare gli stessi durante il processo costituzionale, mentre la sez.37 dell’Atto del 1982 prevedeva la riunione ogni anno di una Conferenza costituzionale, composta dal primo Ministro del Canada, i Primi Ministri delle Province e i rappresentanti dei popoli aborigeni; nell’agenda era inserito il punto dell’identificazione e definizione dei diritti aborigeni da inserire nella costituzione. La Conferenza dei Primi Ministri del 1983 aveva in agenda un Charter of Rights of the Aboriginal Peoples, che avrebbe dovuto essere di complemento al nuovo Charter of Rights and Freedoms della Costituzione del 1982 e avrebbe dovuto sostituire la formula sui «diritti esistenti» descrivendo il titolo aborigeno su una base terriera e idrica, fornire l’autogoverno e definire altri diritti aborigeni. La Conferenza raggiunse l’accordo solo sull’emendamento della sez. 35 CA 1982, che ora includeva diritti esistenti per via di accordi rivendicativi sulle terre o possono essere acquisiti nel termine «diritti per trattato» della formula dei «diritti esistenti». Oltre a ciò, con la nuova sez. 35(4) CA 1982, i diritti aborigeni e per trattato erano garantiti ora sia agli uomini che alle donne nativi.
Nel 1983 lo Speciale Comitato sull’Autogoverno Indiano (nominato dalla Camera dei Comuni nel 1982) pubblicò il suo rapporto, chiamato Penner Report, che raccomandava con forza la costituzionalizzazione dell’autogoverno indiano, anche se non nominava Inuit e Métis. Il governo federale non era contrario, ma era ben consapevole della necessità dell’approvazione formale delle Province per qualsiasi cambiamento costituzionale. Le Province erano piuttosto restie a presentare una bozza che descrivesse la natura e il contenuto dell’autogoverno e la questione era ancor più complicata dalla differente posizione delle varie Province e dalla questione del Quebec. La Conferenza del 1984 fu un fiasco colossale e in quella del 1985 si diversificarono le posizioni non solo all’interno delle Province, ma anche delle organizzazioni native, che rappresentavano interessi diversi.
Anche dentro il fronte indiano si crearono delle spaccature: dalla Assembly of First Nations era uscita la Prairie Treaty Nations Alliance (PTNA), che vedeva l’autogoverno come un diritto per trattato, che doveva essere perseguito tramite discussioni bilaterali con il governo federale e si opponeva al coinvolgimento delle Province in un processo che riguardava i «Treaty Indians» (gli indiani che avevano già trattati firmati storicamente). Perciò non si raggiunse alcun accordo sulla natura e il contenuto dell’autogoverno nativo durante le Conferenze dei Primi Ministri dal 1983 al 1987. D’altra parte la soluzione non era certo facile, dato che c’erano diciassette parti in causa: il governo federale, dieci governi provinciali, due governi territoriali e quattro organizzazioni aborigene «ombrello». Si raggiunse però un minimo comune denominatore, cioè la disponibilità dei governi di tutte le province a discutere e a trovare soluzioni.
Oltre a ciò, proprio per permettere ai nativi di discutere, il governo federale aveva abbondantemente finanziato la nascita e l’organizzazione delle associazioni aborigene «ombrello». Gli indiani erano rappresentati dalla Assembly of First Nations, da cui si è staccata la PTNA, gli Inuit dall’Inuit Committee on National Issues e i Métis di due diverse organizzazioni, il Métis National Council che rappresenta i Métis Storici, e il Native Council of Canada, che rappresenta i Pan-Métis. Le discussioni nascondevano anche timori diversi; il governo federale temeva la reazione del pubblico canadese alla prospettiva di aggiungere nuove terre indiane a quelle già esistenti, temeva l’intervento dei tribunali nella definizione del carattere, poteri e costi dell’autogoverno aborigeno e temeva i costi finanziari dell’operazione. I leader indiani avevano i loro problemi; la loro carriera politica era per lo più legata alla felice risoluzione della questione dell’autogoverno, ma sapevano che c’era una linea di confine sottile tra questa soluzione e l’accusa di svendita dei diritti aborigeni. Per molte comunità indiane l’autogoverno era un’esperienza del tutto nuova e comportava tutti i timori delle novità, ma i costi sociali del mantenimento dello status quo era di fronte a tutti. Le Conferenze avevano anche mostrato uno spostamento fuori dalla cornice costituzionale con negoziati bilaterali e trilaterali sull’autogoverno aborigeno appoggiati da molti governi provinciali.(segue)