Questi problemi di cui Brass ha parlato in precedenza, cioè di immagini, etichette e responsabilità nei disordini indù-musulmani sono emersi crudamente ancora una volta nei mesi dal 27 febbraio a giugno 2002 nello stato occidentale indiano del Gujarat, dove un’ondata di omicidi, per lo più di musulmani, sono stati effettuati su una scala, e con una ferocia tali, da ricordare i massacri genocidi che si sono verificati durante la partizione del Punjab nel 1947, e con l’apparente coinvolgimento, secondo i racconti di testimoni oculari, di ministri del governo stesso, sotto la guida del Bharatiya Janata Party (BJP), del primo ministro Narendra Modi, quello che ha vinto le ultime elezioni giocando molto sulla pelle degli innocenti marò italiani, che avevano l’unica ‘colpa’ di essere italiani come Sonia Gandhi del Partito del Congresso, votato in genere dai musulmani oltre che da molti indù, e di essere stranieri e quindi senza casta per definizione. I vari dementi della sinistra hanno già funzionato da giudice, giuria e boia, come si suol dire, mentre i marò non sono stati ancora accusati di un capo di imputazione preciso, dopo due anni di indagini taroccate da una polizia che dire corrotta è un eufemismo (pensate alle ‘indagini’ sugli stupri in India). Alla faccia delle garanzie costituzionali e dei diritti umani. Ma torniamo al pogrom del Gujarat.
Tutti gli elementi di produzione e di interpretazione di cui Brass ha parlato delineando i casi precedenti, appaiono nelle grandi massacri in Gujarat. Tutte le prove disponibili, e il caso del Gujarat è insolitamente ben documentato, indicano senza ombra di dubbio che Sangh parivar (l’organizzazione ombrello di tutte le organizzazioni indù militanti) era ben preparato e aveva fatto già delle ottime prove atte a effettuare gli attacchi sadici, omicidi, brutali su uomini, donne e bambini musulmani. Anche se l’incidente scatenante che ha fornito il pretesto per queste azioni è stato inaspettato, c’è stato un collegamento evidente con la politica locale nella città di Godhra, il luogo dell’incidente; un chiaro collegamento con il vasto movimento di mobilitazione politica militante indù incentrata sulla domanda per la costruzione di un nuovo tempio al dio Rama, nella città settentrionale indiana di Ayodhya; e una serie di azioni post-pogrom da parte del governo del BJP nel Gujarat per poter approfittare di un presunto consolidamento politico indù a fini elettorali, chiedendo elezioni anticipate dell’assemblea legislativa dello stato.
Come nella maggior parte delle situazioni simili, le “cause” degli atti iniziali di violenza appaiono oscure e indeterminate, ma il processo di spostamento della colpa iniziò prima che emergessero fatti credibili per quanto riguarda l’uccisione orribile di 58 persone, per lo più Kar sevaka (volontari militanti indù ) di ritorno da Ayodhya in treno il 27 febbraio, bruciati vivi in due vagoni di quel treno, alla stazione ferroviaria di Godhra. Il leader del BJP prontamente accusò i servizi segreti del Pakistan (generalmente noti come ISI) per gli incidenti Godhra. Nei giorni che seguirono queste e altre accuse fatte dal BJP però, apparvero notizie che indicavano diverse altre circostanze che aprivano la possibilità concreta di altre interpretazioni. Tra questi il comportamento provocatorio, offensivo, osceno da parte dei militanti indù ‘kar sevaka’ in relazione ai venditori ambulanti musulmani presso le stazioni ferroviarie precedenti a Godhra, e in relazione a passeggeri musulmani, comprese le donne. Altre circostanze riguardavano le rivalità di politici locali tra il partito del Congresso e il Bjp, tra fazioni rivali all’interno del Partito del Congresso, e tra le organizzazioni musulmane locali. E ‘stato anche rivelato che la città di Godhra, con un 60% di popolazione indù e di circa il 40% musulmana, ha avuto una lunga storia di scontri comunitari, di cui non meno di tredici sommosse avvenute tra il 1947 e il 1992.
Ma gli incidenti Godhra sono stati rapidamente messi in ombra da quello seguì, vale a dire, un pogrom sistematico compiuto con precisione ed estrema brutalità da parte di persone e organizzazioni secondo lo schema delle sommosse istituzionalizzate delle organizzazioni militanti estremiste indù, che comprendeva nell’azione omicida membri del governo BJP, la polizia, e anche membri dell’élite burocratica del Servizio Amministrativo indiano (IAS) .
Questo pogrom iniziò il 28 febbraio, un giorno dopo il massacro di Godhra, sotto gli auspici del Vishwa Hindu Parishad (VHP), che chiese un bandh (serrata) a livello statale per protestare contro le uccisioni di Godhra. Il pogrom del Gujarat continuò fino al 3 marzo, dopo di che ci fu una pausa seguita da “un nuovo ciclo di violenza” dal 15 marzo, con un ‘coprifuoco’ che durò in parecchie aree dello stato fino alla fine di marzo. Le stime del numero dei morti va da sotto mille a duemila.
I dati ufficiali forniti dal governo del Gujarat mostrano anche la predominanza delle vittime musulmane e cioè un indù ogni cinque musulmani, compresi gli indù uccisi sul treno a Godhra, che diventarono un rapporto di 15 vittime musulmane per ogni vittima indù nei disordini che seguirono dopo Godhra. Il numero di sfollati costretti a cercare rifugio nei campi profughi parla anche dell’enormità del cataclisma capitato addosso ai musulmani del Gujarat: quasi 150.000 in 104 campi profughi entro la metà di aprile. Numerose caratteristiche di questi massacri e distruzione di proprietà suggeriscono la validità del termine pogrom e il suo carattere sistematico. Essi comprendono la distruzione di oltre 500 moschee e dargah (santuari). E stato anche riferito che molti, se non la maggior parte, dei poliziotti se ne rimase da parte oppure coordinò o partecipò alle violenze contro i musulmani. Inoltre, a testimonianza dell’alto grado di preparazione, i gruppi di assassini possedevano liste elettorali e altri documenti, che hanno reso possibile l’identificazione delle case dei musulmani che dovevano essere uccisi e la cui proprietà doveva essere distrutta. Anche sulla scena del pogrom, secondo testimoni oculari, importanti leader dei partiti BJP e VHP avevano un ruolo importante e si muovevano insieme con la folla di rivoltosi indù. A volte hanno giocato il ruolo di “specialisti di conversione”, dirigendo la folla verso gli obiettivi, dopo di che discretamente lasciavano il posto, mentre la folla effettuava gli attacchi omicidi.
E ‘importante notare, inoltre, che il pogrom del Gujarat va oltre i confini delle rivolte , pogrom e massacri ordinari per entrare nella “zona di genocidio.” In particolare, l’uso di molestie sessuali, stupro e omicidio di donne, così come di bambini, tra cui il caso segnalato di taglio della pancia di una donna incinta e l’uccisione del feto, meritano di essere presi in considerazione. E ‘necessario sottolineare il coinvolgimento in questo pogrom, non solo del governo BJP dello Stato, dei suoi membri, e dei suoi agenti, ma anche quella del governo indiano, guidato dal BJP, che aveva il potere e la responsabilità ultima per fermare questa flagrante rottura della legge e dell’ordine. Particolarmente significativa è stato la non volontà di licenziare il governo del Gujarat, ai sensi dell’articolo 356 della Costituzione indiana, per la sua incapacità o mancanza di volontà di mantenere la legge e l’ordine.
Sia durante la campagna elettorale, sia nelle interviste pre-elettorali e durante le elezioni stesse risulta che il pogrom del Gujarat fu utilizzato efficacemente per consolidare il sentimento dei votanti indù a favore del BJP, partito che era in declino in quello stato prima del pogrom. L’elezione del 12 dicembre 2002 provocò una vittoria schiacciante per il BJP. Vinse 126 seggi su 182 nell’Assemblea dello stato del Gujarat. Un consolidamento simile dietro il partito del Congresso è stato segnalato tra gli elettori musulmani, ma è il consolidamento indù che conta di più in uno stato dove solo il nove per cento della popolazione è musulmana. Più significativa è la differenza riguardante la vittoria del BJP in aree in cui la violenza si è verificata (52 su 65 seggi) .
In un’India incline alle violenze di piazza, ogniqualvolta si verifichino nuovi grandi sommosse o ondate di sommosse, gli scrittori di sinistra e laici, tra cui gli accademici, di solito dicono che l’ultima ondata di disordini è la peggiore dai tempi dei massacri della partizione tra India e Pakistan del 1946-1947. Per qualche aspetto, ma soprattutto se si tiene conto di tutte le caratteristiche di questo feroce scoppio di violenza, è abbastanza giusto dire altrettanto del Gujarat nel 2002. Altri autori, invece, preferiscono una visione diversa, prendendo conforto dal fatto che le rivolte non si sono diffuse fuori dal Gujarat in altre parti dell’India, come fecero nella grande ondata di violenza del 1992.
Ma entrambi i tipi di dichiarazioni, soprattutto quest’ultimo, sono distrazioni che distolgono lo sguardo dalle dinamiche della produzione della rivolta oggi in India, secondo Brass. Il primo tipo di argomentazione è utile soprattutto per esporre a pieno le dimensioni di ciò che è realmente accaduto, e notando che ancora ancora una volta i confini sociali e politici sono stati violati. Per gli indiani, la prima immagine evoca i massacri genocidi retributivi della partizione del Punjab nel 1946-47, e sembra annunciare l’ennesima catastrofe monumentale, che comprenderà l’ulteriore indebolimento o disintegrazione dell’India o la scomparsa della sua popolazione musulmana. Se la prima argomentazione massimizza le implicazioni di eventi come il pogrom del Gujarat nel 2002, la seconda li minimizza. Entrambi i punti di vista hanno lo stesso focus, vale a dire il futuro dell’India, cioè la sua integrità territoriale, la pace sociale, funzionamento democratico, il pluralismo, e il suo status in un mondo di stati-nazione. Ma ciò che è più importante per il presente e il futuro dell’India in tutti questi aspetti è sfuggire alle trappole dell’auto-perpetuazione dello spostamento di colpa e alle trappole complementari della massimizzazione e minimizzazione del significato della violenza di massa.
In breve, secondo Brass, è necessario fissare le responsabilità e penetrare le nebbie di inganno, di retorica, mistificazione, oscurità e indeterminatezza e scoprire ciò che può essere scoperto, ben sapendo che la verità non può mai essere conosciuta del tutto, ma che le azioni evidenti e inazione degli autori e apologeti della violenza, di persone note, gruppi, organizzazioni, leader politici, i media, gli accademici in cerca di cause, e patrioti che cercano privilegi, possono essere identificate, in modo che l’azione appropriata possa essere intra presa contro gli autori e gli apologeti dei pogrom possano essere sconfitti.(fine)
Il quadro teorico di questi post è stato elaborato più pienamente da Paul R. Brass, nei suoi libri ‘Il furto di un idolo’ (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1997) e in La produzione di violenza indù e musulmani nell’India contemporanea’ (Seattle: University of Washington Press, 2003).
Etnicità 27. Paul R. Brass e la violenza tra indù e musulmani in India (parte 3)
Creato il 30 giugno 2014 da DavidePossono interessarti anche questi articoli :
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