Magazine Psicologia

Etoanalisi e "Teoria dell'attaccamento"

Da Bruno Corino @CorinoBruno

Le modalità interattive sono biologicamente incorporate in ogni essere vivente. A questo punto è arrivato il momento di domandarci perché in un soggetto prevale una modalità interattiva piuttosto che un’altra. Ho già avuto modo di precisare che non siamo noi a inventare tali modalità, tuttavia per quale ragione un agente pone in atto una particolare modalità anziché un’altra? Per rispondere a questa domanda abbiamo a disposizione due teorie: la prima si richiama alla psicoanalisi di Freud e alla sua teoria del processo di identificazione, la seconda alla teoria dell’attaccamento di John Bowlby e Mary Ainsworth.
Nel capitolo VII di Psicologia della masse e analisi dell’Io (1921), Freud ha dato l’esposizione più completa del processo di identificazione. In termini generali, l’identificazione indica un processo mediante cui un soggetto si costituisce gradualmente come tale, assimilando uno o più tratti o più tratti di un altro individuo o modellandosi su di essi. In particolare Freud distingue tre tipi di identificazione: l’identificazione primaria, che rappresenta la forma originaria del legame affettivo con l’oggetto; l’identificazione come sostituto regressivo di una scelta d’oggetto; e l’identificazione con l’altro, come avviene per esempio nell’innamoramento. Questi tre tipi di identificazione potrebbero corrispondere, rispettivamente, a ciò che in questa sede abbiamo definito come modalità prevaricazione/sottomissione caratterizzata da un processo di sostituzione; come modalità competizione/adulazione caratterizzata, appunto, da un processo di identificazione; come modalità seduzione/imitazione caratterizzata da un processo di immedesimazione. Secondo Freud, la prima manifestazione di un legame affettivo con un’altra persona «svolge una sua funzione nella preistoria del complesso edipico». I tre tipi di identificazione di Freud hanno questa forma: nella prima, il soggetto tende a incorporare l’oggetto desiderato e quindi a negarlo. Questa forma corrisponde alla modalità dell’affermazione/negazione del sé, in cui avviene una sostituzione dei rispettivi punti di vista dei soggetti. Nella seconda forma, il soggetto «si appropria soltanto di un aspetto della persona che è oggetto d’identificazione».
Questa forma corrisponde alla modalità finale del sé, in cui avviene un’identificazione con l’oggetto desiderato dal mediatore. Nella terza forma, «l’identificazione prescinde interamente dal rapporto oggettuale con la persona copiata» e si immedesima interamente con l’altra persona. Questa forma corrisponde alla modalità condizionale, in cui è lo stesso soggetto che vuole divenire mediatore del desiderio. Anche se le nostre modalità corrispondono ai tre tipi di identificazione descritti da Freud, tuttavia il modello psicoanalitico della spiegazione dell’identificazione risulta essere un «modello meccanicistico»
, in quanto non tiene conto dell’interazione tra il bambino e la figura di riferimento (caregiver). Nella teoria del processo di identificazione di Freud ci sono alcuni aspetti non del tutto convincenti, che possiamo sintetizzare in questi due punti: in primo luogo, il processo di identificazione descritto da Freud è un processo unidirezionale, cioè parte dal modo in cui il soggetto/bambino si identifica con l’oggetto/genitore, ma non prende in esame come questo “oggetto/genitore” interagisce con il soggetto; in secondo luogo perché il processo di identificazione chiama in causa concetti quali “libido”, “complesso di Edipo”, “inconscio”, ecc., escludendone altri, quali il bisogno di attenzione, di cura e protezione, il bisogno di riconoscimento che sono, invece, secondo la nostra prospettiva, alla base delle modalità interattive; mentre questi bisogni sono sempre presenti nelle modalità fino al punto di determinarne la struttura interna, gli altri sono ipotizzabili in linea di principio, ma non constatabili. Al fondo, se si va a vedere, il processo di identificazione descritto da Freud è un processo che s’iscrive totalmente all’interno della soggettività: una volta introiettato l’oggetto, il soggetto interagisce con esso, ma l’oggetto non interagisce con il soggetto.
La «teoria dell’attaccamento» offre maggiori spunti di riflessione rispetto alla teoria psicoanalitica di Freud, in quanto essa, proponendo un modello reciproco tra il bambino e la propria figura di riferimento (cosiddetto caregiver), anziché un modello unidirezionale e inconscio come quello freudiano, ci aiuta a capire se e perché questo modello fungerà, nel corso del tempo, da modello organizzativo per le successive modalità interattive che il piccolo intratterrà con altri partner durante le fasi dello sviluppo e fino all’età adulta. In sostanza, l’aspetto interessante che emerge dalla teoria dell’attaccamento è quello di offrire una concezione dell’individuo come essere completamente relazionale. Quindi, il processo di identificazione si colloca più in questo processo relazionale tra il bambino e la figura che si prende cura del bambino che non nella ipotesi del complesso edipico, poiché, come ho avuto modo di ribadire, il problema del bisogno di ricevere attenzione e riconoscimento da parte di chi si prende cura del bambino è molto più importante di ogni altro bisogno. Ogni attenzione ricevuta diventa stimolo di un maggior riconoscimento, e quindi di una maggiore stabilità della propria identità.
L’attaccamento è un sistema reciproco che s’attiva in risposta a uno stimolo esterno e che in base allo stimolo si forma un determinato pattern di risposta che differenzia le modalità d’attaccamento. Secondo Bowlby il sistema comportamentale di attaccamento ha l’obiettivo esterno di spingere il bambino alla ricerca di vicinanza alla figura d’attaccamento e l’obiettivo interno di indirizzarlo alla ricerca di sicurezza. Pertanto, più sicuro è l’attaccamento maggiore la tendenza ad esplorare l’ambiente circostante. Affermando che un bambino è attaccato a un genitore, si intende che egli ha organizzato il sistema comportamentale di attaccamento con i pensieri e i sentimenti associati, in modo tale da cercare di mantenere un certo grado di prossimità rispetto all’adulto, per lui fonte di sicurezza. Dopo aver acquisito le capacità di organizzazione del comportamento, il bambino e l’adulto riescono a prevedere i reciproci comportamenti e a sincronizzarsi all’interno di una struttura di attaccamento che consente loro di costruire delle aspettative nei riguardi del comportamento del partner, in cui la mancata risposta attesa provoca angoscia. In questa fase, tra il terzo e il quarto anno, che il bambino, secondo Bowlby, diventa capace di un’interazione «regolata in modo appropriato». I comportamenti interattivi sperimentati dall’individuo nella prima infanzia all’interno delle relazioni significative divengono, nel corso dello sviluppo, rappresentazioni mentali che contengono aspetti diversi dell’esperienza inter-relazionale precocemente costruita.
La modalità interattiva comincia a funzionare nel momento stesso in cui la rappresentazione del sé e dell’altro è un processo compiuto. La modalità d’attaccamento costituisce la fase di preparazione al “fissaggio” della modalità prevalente del soggetto. La modalità d’attaccamento definisce la base sulla quale va a stabilizzarsi la modalità prevalente. Tra la modalità d’attaccamento e quella interattiva non si stabilisce un rapporto di continuità, come se la formazione della seconda segnasse la fine della prima, bensì si stabilisce un rapporto di modellaggio, cioè la modalità d’attaccamento va a modellare la modalità interattiva.
Normalmente il bambino si rivolge attraverso dei segnali alla figura di riferimento (non necessariamente la mamma) quando si trova uno stato di tensione fisica; la madre interviene in base a ciò che percepisce della qualità dei segnali affettivi che provengono dal bambino. La sequenza che si viene a creare è questa: il bambino attraverso segnali – pianto, grida, sorrisi, posture – domanda attenzione; la madre riconosce i segnali affettivi e dà una risposta appropriata che allevia la tensione emozionale del bambino. Immaginiamo che un bambino di circa un anno stia giocando vicino alla madre, quando nella stanza entra una persona a lui non nota, magari un amico di famiglia. L’estraneo cerca di interagire con il bambino, ma il piccolo si ritrae, intimidito se non spaventato, avvicinandosi alla madre, abbracciandola o nascondendosi dietro di lei. Questi sono segnali che domandano attenzione da parte della madre, la quale può reagire di fronte a tali segnali con modalità diverse:

in modo empatico = modalità seduttiva/mimetica
in modo distanziante/disinvestito = modalità competitiva/adulativa
in modo preoccupato/resistente = modalità prevaricativa/sottomissiva

A) Se la madre reagisce in modo empatico, vuol dire che Alter/caregiver si immedesima con il punto di vista di Ego/bambino, cerca di interpretare i suoi segnali e quindi di comprendere lo stato di disagio di Ego, fornendo la risposta appropriata che diminuisce lo stato di tensione di Ego. In tal caso, la madre lo accarezza, lo tranquillizza sorridendo e inizia a fare da tramite fra il piccolo e l’estraneo. Il piccolo si tranquillizza e accetta di interagire con l’estraneo. La risposta adeguata della madre, che presta attenzione al sé del bambino senza minimizzare la sua espressione di disagio e il suo bisogno di attaccamento, ridimensiona la gravità dell’evento e facilita al bambino il recupero di un equilibrio emotivo e la ripresa dell’attività esplorativa: la madre funge da “base sicura” per il bambino. La dinamica esposta in questa interazione, classificata come “attaccamento sicuro” è identica alla modalità seduttiva: Ego attraverso dei segnali si espone ed esponendosi esercita una pressione su Alter, il quale immedesimandosi con Ego cerca di sintonizzarsi sui suoi segnali e di fornire la risposta che Ego s’aspetta. Il bambino di conseguenza imparerà a ripetere questa modalità interattiva negli incontri anche con altre persone, e imparerà successivamente a mimare e ad elaborare segnali sempre più sofisticati e differenziati che avranno lo scopo di esercitare una pressione su Alter e di provocare la risposta attesa. Ogniqualvolta la funzione seduttiva avrà successo, s’accrescerà e si rafforzerà sempre più la capacità motivazionale del soggetto, cioè il suo fascino; nel caso, invece, in cui il soggetto andrà incontro a delle delusioni delle aspettative, la sua capacità motivazionale si riduce ed egli finirà per rimanere bloccato alla modalità adattabile.

B) Se la madre “distanziante/disinvestita” si mostra “incapace” di riconoscere i segnali del bambino, allora lo stato di tensione persiste; a quel punto il bambino deve trovare modalità alternative che riducano gli stati negativi dal momento che non può contare sulla base sicura. La mancata disponibilità della figura di accudimento porta il bambino a uno scambio di posizione con la figura di accudimento e a fare quindi affidamento solo su se stesso. Immaginiamo che il bambino attivi i suoi comportamenti di attaccamento verso il genitore, ma che questi reagisca “ignorandoli”. La risposta della madre è distanziante/disinvestita. In tal caso, il bambino è costretto a inibire la manifestazione del proprio disagio, perché poco efficace, in favore di una maggiore attenzione sul proprio comportamento di esplorazione. Bowlby spiega questa modificazione attraverso i processi di “assimilazione” e “accomodamento” descritti da Jean Piaget. Il bambino modifica lo schema di reazione procedendo all’identificazione con il punto di vista della madre e all’interiorizzazione della sua risposta difensiva: la madre ignorando i segnali di affetto non ascolta la domanda di aiuto e di protezione di cui è investita, e ciò induce il bambino a cambiare strategia. Ego/bambino, nonostante le sue manifestazioni di affetto non riceve nessuna conferma da parte di Alter, quindi Ego vive un’esperienza di vuoto, di mancanza; egli non ottenendo risposta al suo disagio, non ricevendo attenzione, vive nel desiderio di avere attenzione: come fa Ego a disporsi per far sì che Alter s’accorga di lui? Ego identificandosi con il punto di vista di Alter “scambia” la sua posizione con quella di Alter e ciò lo pone nella condizione di mettersi in sintonia con Alter e di corrispondere ai segnali che Alter manifesta: lo scambio di posizione, induce Ego a considerare importante tutto ciò che attira l’attenzione di Alter, quindi Ego s’identifica con il desiderio di Alter perché ciò che Alter desidera acquista importanza e significato per Ego. Quindi, se Alter “ignora” la domanda di Ego è perché Ego non merita attenzione, per meritarsi l’attenzione di Alter, Ego devi diventare “importante” per Alter, e come fa Ego a diventare importante agli occhi di Alter? Acquisendo o ottenendo ciò che Alter desidera, solo così Ego riuscirà ad avere la sua attenzione. In altre parole, interiorizzando l’atteggiamento difensivo della madre, il bambino è portato a giustificarlo perché ritiene che se la sua mamma non presta attenzione alla sua richiesta è perché lui non la merita, e non la merita perché non è sufficientemente importante per il suo caregiver. Quindi, quanto più l’evitamento del bambino ha un tono neutro e freddo tanto più è probabile la sua funzione di difesa che nasconde i veri sentimenti del bambino, fra cui anche il probabile risentimento nei confronti della risposta distanziante messa in atto dalla madre, causata dal fatto che lei (secondo il punto di vista del bambino) non lo ritenga meritevole di attenzione. La dinamica esposta in questa interazione, classificata come “attaccamento insicuro/evitante”, ripercorre le fasi della modalità della competizione. Il bambino infatti si pone in competizione con il desiderio del caregiver. Ogniqualvolta Alter si espone segnala ad Ego la sua mancanza alla quale Ego, esercitando una pressione su di sé, cerca di colmare sottraendo ad Alter ciò che l’ha fatto esporre. Il confronto con l’altro avverrà costantemente sulla base di quest’interazione finalizzata: ogniqualvolta Alter si mostra ad Ego leggermente superiore, Ego si sforzerà di colmare la piccola distanza che lo separa da Alter, sottraendo ad Alter l’oggetto che ha provocato questo leggero distanziamento. Più la sua azione avrà successo più aumenterà la sua fiducia operativa, e più aumenta la sua fiducia operativa maggiori successi otterrà. Quindi Ego desidera l’approvazione e l’attenzione di Alter e l’ottiene nel momento in cui supera la prova sottraendo ad Alter l’oggetto del suo desiderio. Se, invece, Ego andrà incontro a delle delusioni, allora aumenterà la sua sfiducia operativa e a quel punto rimane soltanto il desiderio di essere protetto da Alter: Ego affida all’altro la cura del proprio sé, cioè si trasforma in un adulatore.

C) Nella modalità d’attaccamento, la madre “preoccupata/resistente” di fronte ai segnali di disagio del bambino può dare una risposta non appropriata: la madre “preoccupata” fornisce una risposta “carente”, la madre “resistente” una risposta “eccessiva”. Nel primo caso, al bambino che cerca una maggiore vicinanza fisica e un po’ di rassicurazione, la madre reagisce infastidita dal comportamento del bambino, che giudica eccessivamente pauroso, mettendolo in imbarazzo. La risposta non adeguata della madre tende a svalutare i segnali emessi dal bambino per manifestare il suo stato di tensione. Il bambino interiorizza la risposta dell’adulto e vive il suo bisogno di ricevere attenzione come un “disturbo” provocato alla madre. In caso di una risposta “eccessiva”, la madre “resistente” sgrida il bambino, il bambino di conseguenza imita la risposta della madre intensificando ancor più i propri comportamenti di attaccamento, iniziando a piangere e a protestare; il genitore persiste nella sua posizione di rifiuto ottenendo come risposta un’intensificazione dei segnali in un’escalation interattiva: tra i due s’innesca una vera prova di forza su chi riuscirà a spuntarla. Il risultato sarà che se il bambino vince la propria lotta di resistenza la sua stima nella sua forza coercitiva aumenterà, e tenterà a ripeterla nell’incontro successivo. Tuttavia l’attivazione dell’attaccamento inibisce le sue capacità operative, pertanto nei bambini “ambivalenti” il bilanciamento tra esplorazione e attaccamento è in disequilibrio a favore del secondo. Quindi, essi appaiono dipendenti e centrati sul genitore, con pochi aspetti di autonomia, e con la tendenza a porre in atto forti manifestazioni di attaccamento, caratterizzati da sentimenti di rabbia, nel caso della modalità prevaricatrice, o di passività, nel caso della modalità della sottomissione, che non si placano neanche quando il loro fine viene raggiunto. L’attaccamento è tutto sbilanciato sul lato della persona, perciò i prevaricatori tenderanno a intensificare il loro aspetto personale, mentre i sottomessi si rifugeranno nella dimensione intima della personalità. Questi bambini crescendo manifesteranno comportamenti ambivalenti nei confronti di Alter, perché alterneranno o mescoleranno insieme comportamenti marcatamente coercitivi e impositivi a comportamenti di estrema passività, la loro insicurezza li porterà ad entrare in contatto con l’altro o prevaricando o sottomettendosi.


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