> c. stampa a cura CLP online relazioni pubbliche > A quasi cinquant’anni dall’ultima esposizione (Torino, 1967), l’evento analizza, per la prima volta, il rapporto socio-culturale tra il Mediterraneo greco e orientale e il popolo etrusco che entrò in stretto contatto proprio con le comunità indigene della valle del Tanaro, e che ebbe inevitabili riverberi nell’Italia settentrionale e nell’Europa celtica. Furono proprio gli Etruschi a rappresentare la prima cerniera culturale fra il Mediterraneo e l’Europa; attraverso i loro intensi traffici diffusero, soprattutto verso l’Italia nord-occidentale, idee e costumi caratteristici del mondo greco-omerico e levantino. Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, la rassegna è curata da Alessandro Mandolesi e Maurizio Sannibale, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, con la collaborazione scientifica dei Musei Vaticani, con il sostegno della Regione Piemonte, col patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, della Provincia di Asti, del Comune di Asti e il coordinamento organizzativo di Civita.
ETRUSCHI mostra ad Asti prorogata – Tomba della Scrofa Nera di Tarquinia Scena di banchetto (475-450 a.C.).Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale
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ALESSANDRO MANDOLESI e MAURIZIO SANNIBALE
Curatori della mostra
Introduzione
L’archeologia è una scienza empirica volta alla ricostruzione della storia, una storia costruita per immagini. Questa mostra vuole essere un racconto che si svolge per immagini come primo impatto emotivo ed estetico e che nel catalogo si carica progressivamente di contenuti: dalle introduzioni alle sezioni tematiche, alle schede specifiche dei materiali esposti, sino all’opera di sintesi e di approfondimento affidata all’apparato non indifferente dei saggi.
ETRUSCHI mostra ad Asti, Disegno per le vetrate del Gabinetto Etrusco di Pelagio Palagi nel Castello di Racconigi (sec. XIX). Bologna, Archiginnasio
L’idea della mostra nasce da fattori concreti. L’interesse di una città e di un territorio ad ospitare una mostra dedicata agli Etruschi, si è felicemente combinato con l’opportunità di contestualizzare le tracce archeologiche riferibili alla loro civiltà presenti in terra piemontese.
Con queste si combinano gli esiti della fascinazione culturale esercitata dalla civiltà etrusca nel tempo, sedimentata nell’arte, nella cultura e nella storia del gusto di secoli a noi più vicini e che in mostra trovano efficace sintesi nella sezione dedicata al Gabinetto Etrusco di Pelagio Palagi nel Castello di Racconigi.
Nel voler illustrare la civiltà etrusca attraverso temi selezionati, si è voluto ricorrere non solo a “capolavori” sedimentati nell’immaginario, ma anche e soprattutto a testimonianze inedite o poco note, valorizzate attraverso nuovi restauri o semplicemente rilette, talvolta poco visibili o depositate nei magazzini.
Al contempo vengono comunicati gli esiti di alcune recenti scoperte e viene presentato, con pluralità di vedute, un punto sullo stato attuale delle ricerche con particolare riguardo ai primordi della civiltà etrusca.
Il tutto viene rivolto al grande pubblico, nell’intento di comunicare nuovi scenari prospettati dalla ricerca archeologica, che non mancano di avere ricadute sui grandi temi sottesi alla vita quotidiana degli uomini del passato, come di quelli del presente, impegnati ad immaginare e costruire il futuro, anche grazie all’insegnamento della storia.
ETRUSCHI Palazzo Mazzetti, Asti, Modellino ceramico di carro da Bisenzio (VIII sec a.C.). Firenze, Museo Archeologico Nazionale
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Quindi non solo approccio estetico, che pure vale una visita, ma anche percorsi e riflessioni su rapporti tra popoli e culture, nascita della civiltà urbana, uso della scrittura, funzione della ricchezza nella costruzione di sistemi economici complessi, determinazione delle forme del potere e sua rappresentazione, formazione dello stato, pratica della guerra. Si aprono inoltre finestre sulla vita quotidiana e la civiltà: l’atletismo, la cura del corpo, la convivialità, i riti e la religione, l’arte e l’artigianato.
Il pubblico specialistico potrà parimenti trovare, in forma necessariamente sintetica, alcune novità in merito a materiali inediti o semiediti, oltre ad aggiornamenti su nuove letture e scoperte, nell’ambito di una mostra che, pur trattando temi generali, non intende essere generalista.
Il racconto si snoda proprio a partire dall’immagine di quell’elmo immerso nel Tanaro, depositato secondo una ritualità che affonda le sue radici nella cultura e nella religione delle popolazioni protostoriche dell’Europa centrale. Al di là di chi sia stato l’offerente, probabilmente un non etrusco, vale sottolineare il significato dell’offerta di un elmo degno di un capo e del suo legame con l’Etruria meridionale.
ETRUSCHI Palazzo Mazzetti, Asti, Navicelle in ceramica da Tarquinia (IX sec a.C.), Tarquinia, Museo Archeologico
Il contatto, in senso storico e metaforico, è comunque stabilito e conduce proprio ad immergersi nella cultura villanoviana attraverso quegli elementi caratterizzanti esteriori che, nella ritualità che accompagna i contesti funerari, illuminano anche sulla vita di questi primi etruschi. Li vediamo così emergere con i simboli e gli attributi di status, per rango e per sesso. Oggetti parlanti che delineano il mondo maschile e il mondo femminile all’interno di genti che attuano una organizzazione di controllo e impiego produttivo del territorio e pongono le premesse per la nascita del fenomeno urbano.
La realtà bifronte dell’Etruria villanoviana, continentale e mediterranea, connota sin dalle origini quel suo ruolo di ponte tra Mediterraneo ed Europa. Le interrelazioni conducono certamente alla definizione di modelli pan-europei tra artigianato e cultura – fondamentale il ruolo connettivo dei metallurgi – che passa attraverso la condivisione di rituali “eroici”, la recezione di insegne del potere, l’universale adozione di simboli religiosi come la barca solare.
Il secondo polo della questione sono le relazioni tra il Levante e il mondo etrusco tirrenico. Il Mediterraneo, nel quale interagiscono le popolazioni indigene delle grandi isole, come Sardegna, Cipro e poi Rodi, appare come uno spazio di mediazione culturale. L’elemento orientale, che trova comoda sintesi nella galassia fenicia fatta di navigazione, artigianato specializzato e trasmissione di modelli assiri, si combina con la precoce presenza greca ed egea sulle coste levantine.
ETRUSCHI Palazzo Mazzetti, Hydria attica del Pittore di Antimenes Donne alla fontana, da Vulci (ca. 520 a.C.). Musei Vaticani, Museo Gregoriano Etrusco
Empori greci si insediano sulla costa siriana e il mondo ellenico è così a sua volta recettore e mediatore di culture altre. Forse mai come per i secoli intorno ad Omero appare artificiosa la divisione tra Oriente e Occidente. Un’invenzione semitica come l’alfabeto darà forma definitiva ai primi versi della cultura occidentale e sempre dal Levante deriva quella concezione del mangiare carne e bere vino in un’atmosfera comunitaria, così come la ritroviamo nella convivialità di tradizione eroica, non priva di valenze religiose e di trascendenza, quando la porta attraverso il potere sciamanico del vino ad esplorare e a varcare il confine dell’aldilà.
Bere vino alla greca, secondo la ricetta “omerica” del cacio caprino grattugiato oppure speziato all’orientale, sono manifestazioni della multiculturalità attiva in Etruria, che vede la nascita delle città, un’architettura e una statuaria monumentali, il trapianto di artigiani levantini. Congiuntamente opera l’elemento greco, cui guarderà con maggiore insistenza l’Etruria già nell’Orientalizzante recente, senza per questo divenire una provincia culturale ellenica.
Di un certo interesse sono le indagini sul primo vino in Etruria, sul processo di domesticazione della vite che retrodata la presenza dei primi vinaccioli in Italia centrale all’età del Bronzo medio. La mappatura del genoma della vite e le crescenti evidenze archeologiche aprono interessanti prospettive per ricostruire la storia del vino, che secondo la tradizione finì per sostituire il latte nelle libagioni ai tempi di Numa, ovvero nell’Orientalizzante antico, quasi in sincronia con l’arrivo dei vitigni greci.
La mostra si sofferma molto sull’Etruria dei Principi nel periodo orientalizzante, che muove dalle città meridionali costiere più aperte ai contatti, attraverso corredi e varie testimonianze, tra cui le anticipazioni sui nuovi scavi dei tumuli monumentali della Doganaccia a Tarquinia.
A questo panorama materiale si accompagnano riflessioni sull’economia del dono, su forme e rappresentazione del potere, sui simboli e sulla religione che nel mondo antico costituisce un insieme organico con tutte le manifestazioni della vita, al punto che nulla può essere considerato veramente profano. E infine la scrittura, forse la “merce” più preziosa che viene scambiata nel Mediterraneo: con essa assumono valore beni immateriali. La scrittura registra, è memoria e magia, fa parlare gli oggetti che raccontano – come nei versi omerici – per quali mani sono passati, accrescendo il loro valore. È il valore dell’individuo, sia egli nobile eroe o sodale, uomo o donna.
Come gli Etruschi apprenderanno la scrittura da maestri euboici, così un uomo di lingua celtica di Sesto Calende verrà istruito nelle lettere da uno scriba etrusco giunto sulle sponde del Ticino: i loro nomi sono incisi sullo stesso bicchiere che ha suggellato con un brindisi un incontro e una amicizia.
L’aristocrazia etrusca, insieme a modelli e stili di vita, recepisce anche l’immaginario mitologico e il patrimonio ideale veicolato dall’epica greca, sostanzialmente identificandosi nei nobili eroi. I vasi non sono semplici contenitori e quelli importati veicolano a distanza le immagini del mito e dei cicli epici, una fonte alternativa di trasmissione rispetto a quelle orali e scritte, rispetto alle quali operano anche un processo di selezione tematica.
La fioritura arcaica dell’Etruria, con le trasformazioni sociali delle città, vede l’adozione della nuova forma di combattimento oplitica, in ranghi organizzati e con armamento pesante uniforme. È un’innovazione che trova il suo precedente e il suo riferimento in Grecia. Nonostante ciò gli Etruschi concepiranno forme di armamento “nazionale”, soprattutto per quanto riguarda l’elmo che diviene identitario, come avvenne anche negli eserciti moderni. Un guerriero di Vulci indossò la suggestiva visiera eletta a simbolo della mostra: con il suo sguardo vuoto costituisce un unicum nel panorama dell’Etruria.
Quasi una mostra nella mostra è l’ampia carrellata dedicata al banchetto nel corso della millenaria civiltà etrusca, attraverso lo strumentario e le testimonianze iconografiche che ne contestualizzano l’uso. Tra queste figurano le straordinarie pitture della Tomba della Scrofa Nera, restaurate per l’occasione grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, e i pannelli Ruspi della Tomba del Triclinio. In età tardo-classica ed ellenistica il tema del banchetto si carica ulteriormente di simbologia in ambito funerario, dove l’iconografia lo trasferisce fisicamente agli inferi, superando la pudica e pregnante ambiguità delle rappresentazioni precedenti. A ricordarcelo, oltre alle pitture, sono gli stessi sarcofagi e le urne cinerarie con il banchettante sul coperchio, non ultime le iscrizioni “per la tomba” che in certi casi appaiono sui vasi di corredo destinati alle tombe, prefigurandoli posti su di un kylikeion nel banchetto infero.
La parte più propriamente archeologica della mostra termina dove forse avrebbe potuto iniziare. Nella scenografia romantica suggerita dai Campanari per il Museo di Gregorio XVI in Vaticano, un apparato di volti etruschi accoglieva il visitatore nel loro aspetto di straordinaria attualità, come ebbe a notare il Dennis, insieme alla ricostruzione di una tomba etrusca guardata dai due leoni vulcenti. Inizio e fine di un discorso che transita, attraverso i volti etruschi (classicheggianti, fisiognomici, patetici, medio-italici), nel tema del ritratto dalle sue origini concettuali al suo confluire nel realismo dell’arte romana. L’emergere di una peculiarità artistica e concettuale in qualche modo distinta dalla pianta madre della classicità, a partire dal concepire inorganicamente la rappresentazione parziale del corpo umano, ci permette dopo un percorso millenario di salutare gli Etruschi e la mostra pensando ancora, con Jacques Heurgon, che se cerchiamo un etrusco troviamo un italiano.
ETRUSCHI mostra ad Asti, Maschera-visiera di guerriero in bronzo. Scoperta a Vulci nel 1837 (560-550 a.C.). Musei Vaticani, Museo Gregoriano Etrusco
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ETRUSCHI
Asti, Palazzo Mazzetti
(corso Vittorio Alfieri, 357)
PROROGATA FINO AL 14 OTTOBRE 2012
Orari: da martedì a domenica, 9.30 – 19.30; lunedì chiuso.
Biglietti:
Euro 9,00, intero;
Euro 7,00, ridotto (gruppi, minori di 18 e maggiori di 65 anni, titolari di apposite convenzioni)
Euro 3,00, ridotto speciale scuole
Informazioni:
tel. 199.75.75.17
Sito internet:
Ufficio stampa
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