Emanuela Riverso
«Secondo un antico detto la celebrità arriva sempre per le ragioni sbagliate. Pensa che il suo pubblico comprenda realmente il suo lavoro e le renda onore perché è davvero consapevole di quello che lei dice?». Questa fu la prima domanda di Barbara Kraft a Eugène Ionesco nell’intervista, realizzata nel maggio del 1980 per conto della National Public Radio presso la University of Southern California, in occasione di un convegno internazionale dedicato al lavoro del celebre scrittore e drammaturgo. Le pagine di questo incontro, assolutamente inedite in Italia, anche negli Stati Uniti sono considerate un documento raro: ne venne infatti pubblicato solo un estratto nel 1981 dalla rivista Canadian Theatre Review, proposto con grande orgoglio, proprio perché le interviste allora rilasciate da Ionesco erano sporadiche e preziose. I temi affrontati in questa brillante conversazione sono molteplici, qui potremo solo citarne alcuni (in attesa di una pubblicazione in italiano che speriamo prima o poi si realizzi) e nella scelta che dobbiamo operare è doverosa una breve introduzione. Eugène Ionesco, nato nel 1909 in Romania ma cresciuto a Parigi, iniziò la sua carriera di autore teatrale nel 1950; nel 1952, anno in cui Samuel Beckett pubblicò Aspettando Godot, venne rappresentata La cantatrice calva, opera considerata un fallimento nonostante avesse suscitato l’attenzione della critica e che solo a partire dal 1957 iniziò ad essere apprezzata dal pubblico raggiungendo una insolita costanza: ancora oggi e ininterrottamente dal 16 febbraio del 1957, nel piccolo Théâtre de La Huchette a Parigi,viene quasi quotidianamente riproposto questo lavoro di Ionesco. Il suo teatro, onirico e a tratti inquietante mette in scena l’uomo con le sue difficoltà e i suoi limiti; la parodia e l’eccesso risultano i mezzi fondamentali per rappresentare personaggi angosciati e privi di scopo; il linguaggio sostituisce l’azione eppure i personaggi sono soprattutto incapaci di comunicare: banalità, luoghi comuni, battute brevi e lunghi monologhi, tutto e il contrario di tutto a configurare quello che si definisce il “Teatro dell’assurdo”. Ad un giornalista del New York Times nel 1988 che gli chiedeva di elencare i colleghi del Teatro dell’assurdo, Ionesco nominò Beckett, Genet, Adamov e, a sorpresa, anche Shakespeare: «Macbeth, per esempio, dice che il mondo è una favola narrata da un idiota, piena di rumore e furore, senza significato. Questa è la pura definizione del Teatro dell’assurdo – e forse del mondo. Shakespeare è stato il più grande prima di noi».
Non è stata dunque casuale la domanda di apertura di Barbara Kraft a Ionesco, giocata proprio sulla comprensione che il pubblico poteva avere del suo lavoro. Il drammaturgo affermò che chi analizza il lavoro di uno scrittore normalmente esprime attraverso questa analisi i propri problemi e le proprie ossessioni; il suo pubblico era stato da sempre molto vario, bambini, lavoratori, contadini, eppure tutti hanno sempre ben compreso il significato del suo modo di fare teatro: «Devo dire che in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Corea, dalla Francia al Giappone, il pubblico ha riso, pianto e reagito più o meno allo stesso punto dei drammi e negli stessi dialoghi». In occasione del convegno Ionesco aveva scritto un articolo pubblicato da USC Chronicle in cui aveva affermato che «la cultura non può essere separata dalla politica. Le arti, la filosofia e la metafisica, la religione e le scienze costituiscono cultura. La politica è la scienza o l’arte di organizzare i nostri rapporti per permettere lo sviluppo della vita nella società». Dunque la cultura come mezzo di unione e comprensione, universale come la reazione alle sue opere. Durante l’intervista Barbara Kraft chiese a Ionesco cosa pensasse di Aleksandr Isaevič Solženicyn, se lo ritenesse uno scrittore politico o un umanista: «Penso che Solženicyn sia da considerarsi uno dei più grandi scrittori della nostra epoca. Uno dei più grandi di tutte le epoche. Le cose che ha detto e scritto sono forti come quelle scritte da Dante. I Gulag che ha descritto non sono però in un Inferno o Purgatorio esterni. Sono sulla Terra. [...] sull’Occidente egli si era illuso pensando che avrebbero creduto a quello che stava descrivendo ma si accorse che non lo credettero. [...] Anche per capire la realtà è necessaria tanta immaginazione». E alla domanda della giornalista sul vero significato della definizione “uomo libero” e se lui stesso si considerasse tale, Ionesco rispose: «La libertà è una questione di spiritualità. Non vi è alcuna rivoluzione riuscita difendendo e preservando la libertà. Proprio con la parola libertà sulle labbra, i rivoluzionari hanno istituito dittature. Per quanto riguarda la libertà posso dare una definizione che oramai è diventata un cliché o banale, pur sempre vera, i limiti della mia libertà sono definiti dalla libertà dell’altro».
Ma l’intervista di Barbara Kraft ci rivela anche il lato quotidianamente umano di Ionesco che con ironia raccontava di amare sì la musica ma di più il silenzio. E fra le arti sicuramente fu la pittura a piacergli in particolare, proprio perché in silenzio le riesce di rappresentare l’intero universo. Provava una particolare passione per Vermeer, Canaletto, Klee. Pur riconoscendo la grande arte di Picasso non lo sentiva vicino, aveva invece grande ammirazione per lo scrittore americano Henry Miller. Nelle pagine finali di questa intervista, Barbara Kraft racconta di aver menzionato a Ionesco la sua personale amicizia con Miller. Entusiasta, il drammaturgo le chiese di organizzare un incontro. Miller che era anziano e malato non fu d’accordo: «Non voglio che mi veda così» aggiungendo qualche minuto dopo «se Ionesco mi vedesse adesso, sarebbe in grado di scrivervi un pezzo da teatro». Barbara Kraft inviò allora a Ionesco dei libri con una sentita dedica di Miller e qualche mese dopo, alla morte del grande scrittore, il drammaturgo indirizzò alla giornalista una lettera nella quale, affranto per questa grande perdita, era commosso per il fatto che nel libro di Miller Transit venissero menzionate alcune sue opere. E sebbene, come la stessa Kraft spiega, non potessero esserci due persone più differenti, tutto dubbi e angoscia Ionesco, accettazione di tutto e pura luce Miller, il loro punto di partenza poteva essere stato simile, le strade intraprese completamente diverse, ugualmente vi fu sempre grande stima reciproca: in effetti già nel 1960, Miller aveva scritto la pièce teatrale Just Wild About Harry alla maniera di Ionesco e Beckett. Da questo incontro professionale era nata dunque una percezione personale di Barbara Kraft su Ionesco uomo e artista che ha sintetizzato con queste parole: «Ionesco è la persona più semplice che io abbia mai incontrato – quasi fanciullesco. Proprio nella semplicità stava la sua profondità».
Nota dell’autrice di questo articolo:
Quando ho ricevuto l’allegato che conteneva l’intervista e attendevo l’apertura del file, diventavo gradualmente consapevole di un fatto: non un documento scaricato da Internet seppur con la personale soddisfazione della ricerca riuscita, così come era stato quando avevo trovato l’intervista di Barbara Kraft a Henry Miller, né un libro acquistato e giunto da lontano come quando lessi il suo lucido intervento su Anaïs Nin, contenuto in Recollections of Anaïs Nin by her Contemporaries; le pagine che intanto avevo iniziato a stampare, mi sono state inviate direttamente da Los Angeles proprio dall’autrice dell’intervista. E qui dunque va il mio grazie a Barbara Kraft per questo generoso e inaspettato regalo: un documento impareggiabile per le circostanze con cui è giunto a me e per il suo contenuto interessante e rivelatore.