Pasquale Urso: Il sogno cattivo
Eugenio Giustizieri se ne è andato alla fine di un Aprile (aprile è il mese più crudele), alla fine di un giorno qualunque (“Se il giorno è finito/non lasciare sulla riva/le tempeste d’ombre”). Si è spento, dopo una malattia breve e devastante, quietamente, serenamente, senza volere drappi pendenti, facce di circostanza, dolori scaldati, ansie d’identità fraternizzate per un’ora in cravatta nera sul cadavere nella bara; se n’è andato come un uomo che amava con l’irruenze e le scosse di una chioma troppo ardita che ramifica la linfa e rinverdisce speranze, se ne è andato con intatte le sue radici salentine, vecchio ulivo d’argento col cuore tutto racchiuso nella sua famiglia, la moglie, i figli, il suo ceppo granitico di affetti veri, autentici, insostituibili. Anche se amava moltissimo l’arte, la musica, la poesia, ed era un artista vero, non per gioco o per evasione, ma per passione, per vocazione. Sentite che dice a proposito della poesia: “Ti sentirò fuoco/fino al sole/e per gioco/consumerò la vita già domani”.
E questa morte, che è venuta prematura, ancora nel pieno della sua maturità (aveva 53 anni), lui la presentiva, la preavvertiva, quasi la corteggiava: “…quando viene il sonno /nasce l’anima, si tende nell’infinito cielo /tra deboli voci e deboli luci di stelle”… alle mie ceneri, /quieta una luce… nelle maree scompare…. Credo che una sera /dinanzi all’onda di gioielli /fra le tue scabre sere /mi inoltrerò /a riscoprire i lucidi voli / nell’intimo e nudo / tempo fuggito.
Da quando mi sono trasferito a Roma, i nostri incontri si erano diradati, anche se c’eravamo visti da Mimmo Anteri, in quella sua casa-galleria d’arte, su quel suo terrazzo-palcoscenico, a parlare ovviamente di pittura, di letteratura, d’anima. Ma il vecchio caro Eugenio, architetto, pittore, scultore, poeta, critico d’arte raffinato, salentino doc, ce l’avevo sempre nel cuore, e lui lo sapeva, ed è per questo che m’inviava i suoi “graffiti-rilievi”, i suoi collages ricchi di simboli, di suonatori di flauto, di un dio tutto sorrisi, del museo sottomarino e dello tsumani di crudeltà che siamo noi stessi quando l’egoismo ci sommerge (l’autore deve scomparire, il nostro nome? È solo febbre) e purtroppo capita sovente.
E tuttavia siamo noi lo spirito latino, e vogliamo il nostro immenso. Tutte frasi “natural chic” di un poeta , un profeta gentiluomo, qual è stato Eugenio, sempre in volo in cerca di speranza, nonostante tutto l’immondo e l’obbrobrio che ci sta intorno e ci sovrasta. Ho messo in corsivo le sue parole, i suoi versi , le sue amare profezie come questa: “Anche se fossimo capaci/ di librarci in volo,/ senza più peso, nessuno di noi/ s’alzerebbe dalla voragine tremenda/ che ci inchioda/ ad un legno d’ulivo scorticato (da “Scritti nell’aria”).
Mi ricorda un po’ William Blake, il poeta, pittore e incisore inglese che già due secoli fa diceva che la gente, la società era malata di Egoismo (Self-hood), ovvero il grado più basso della condizione umana: l’inferno a cui puo’ ridurci la ragione indifferente che calcola e che separa gli uomini dagli altri uomini. Il suo era un appello a uscire dal labirinto di inganni in cui siamo imprigionati, in nome di ciò che siamo stati e ancora potremmo essere, ossia simili ad angeli, esseri divini, vicini a Dio. Per tornare nel “paradiso perduto” dobbiamo spogliarci di tutto, dobbiamo eliminare qualsiasi contesto o limite che impedisce alla mente umana di raggiungere il divino.
Ma ovviamente, da buon mediterraneo, Eugenio non era così magmatico e solforoso. Tornano in lui talvolta gli echi dei banchi di scuola, echi pascoliani, quasimodiani, ungarettiani, con qualche spruzzata nerudiana . Il cuore / mi resta e tace/ mutevole al vento…Abbiamo antica luce… L’estate / già s’evapora / e sogna…Mi estenuo / in lampi d’ombra/ come sera… (da “Ombra e Nubi”). Ricorderai d’avermi atteso/ e avrai passato il mare/ come quando nell’oscurità/ conoscevi la mia tristezza… Mi sei venuta a trovare …/ come la notte che consola/la vergogna, i rimorsi, i dolori/ e mi hai nascosto tra la gente/ che sogna e soffre/ Il tuo fascino/ dove la luce esplode/ non ha bisogno di parole,/ chiaro mare profondo/ accarezza l’anima in segreto/ e di nuovo il mio destino”(da “Sette poesie d’amore”).