Il lungo corteggiamento di Eugenio Scalfari a Jorge Mario Bergoglio sta assumendo i contorni di una farsa piuttosto divertente. Non solo possiamo ammirare la serafica, tranquilla e perfino riguardosa spudoratezza con la quale l’augusto ed anziano senatore de “La Repubblica” cinge d’assedio Papa Francesco; ma possiamo anche gustare appieno la stolidità di molti lettori del giornalone della sinistra: c’è chi – il progressista tetragono – è sempre più perplesso, se non scandalizzato dalla sbandata spiritualistica del mitico fondatore; c’è chi – il cattolico adulto – quasi sviene dal melenso piacere di questa presunta corresponsione d’amorosi sensi tra i due personaggi.
Nella sua ultima pubblica epistola Eugenio scrive a Jorge col tono affettuoso e indulgente col quale ci si rivolge ad un amico cui da lungo tempo si legge nel pensiero, un amico impegnato in un’impresa titanica e meritoria, di cui il volgo impaziente non sa cogliere il significato epocale, e di cui non vede le mille difficoltà, i mille impedimenti da abbattere o aggirare; ma scrive anche, Eugenio, parole dalle quali l’immagine del vecchio amico Jorge viene trasfigurata, o meglio sfigurata, nella macchietta di un Papa riformista in piena sintonia con lo spirito del mondo nella sua versione stucchevolmente umanitarista; in piena sintonia, cioè, col simulacro dello spirito di carità più facilmente smerciabile in tempi democratici.
Io non credo che Eugenio pensi veramente di poter infinocchiare Jorge. Credo piuttosto che faccia questo calcolo: con le mie discrete (nella forma) ma smaccate (nella sostanza) adulazioni in realtà non faccio altro che esercitare pressione su una Chiesa Cattolica già mezza circondata dagli eserciti nemici; se poi Jorge è tanto grullo da farsi sedurre da questa mia familiarità falsamente partecipe e, a dirla tutta, anche abbastanza oscena, meglio ancora; per me soprattutto, che con la mia superiorità sono riuscito a dimostrare chi è il vero Papa.
Quanto a Papa Francesco, credo che la sua formazione gesuitica e la sua stessa personalità lo portino a non lasciare nulla d’intentato quando si tratta di illuminare la mente ai gentili o di riportare sulla retta via i peccatori, anche a costo di passare, appunto, per boludo, per dirla coi figli della pampa, almeno per un tempo ragionevole. In quanto Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo arrivato dalla fine del mondo, Papa Francesco nel momento in cui accettò le attenzioni di Eugenio non poteva essere così addentro alle cose italiane per capire esattamente con quale leggendario filibustiere della cultura e del giornalismo di casa nostra andasse ad attaccar bottone: forse non lo consigliarono bene, forse lui nella sua testardaggine cristianamente ottimistica non volle farsi consigliare.
Tanto più allora è da prevedere che quando Papa Francesco deciderà di metterci una pietra sopra, questa sarà una pietra davvero tombale, avvolta in quella offesa cupezza che nel latino-americano vivace ed espansivo sa toccare, quando vuole, vertici metafisici.
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