Ho la chiara sensazione che non riuscirò a far comprendere il motivo per cui mi appresto a scrivere le note seguenti. Tante sono le coincidenze e tanta è la voglia di raccontare il mio amore per un artista che niente ha a che vedere con musiche e parole specifiche che possano ricondurre a categorie o a “caste musicali” a cui spesso faccio riferimento per raccontare le mie passioni musicali.
Insomma, rock o non rock, prog o non prog, blues o non blues, esiste un artista che ha scandito le tappe della mia giovinezza, momenti di serenità che ritrovo ogni volta che sento, anche casualmente, la sua voce.
Dal rock primordiale, alle tante canzoni d’amore, al blues delle origini, al Fado, alle canzoni della tradizione italiana, Eugenio Finardi è un mio grande amico, anche se lui non lo sa. Poteva essere Branduardi, De Gregori o chissà chi, perché quando da adolescenti si prende una chitarra in mano e si suona in riva al mare non escono i Genesis o i Gentle Giant, ma qualche cantautore, magari Battisti, e per me il simbolo del mio periodo felice è Eugenio Finardi. Penso che sia casuale, e non ne abbia a male Eugenio, che prima o poi leggerà di questo mio “amore” che credo sia del tutto irrazionale e non legato alle sue grandi qualità. Quando ci si innamora di qualcuno o di qualcosa, non sempre si conosce la motivazione, ammesso che sia importante conoscerla.
Alla fine il vero messaggio di questo post è rivolto a tutti quegli artisti che ascoltiamo da sempre, che ci fanno gioire a magari anche piangere e che, credo, non possano avere la percezione del loro enorme potere. Quale? La capacità di entrare nelle nostre vite, di scandire passaggi fondamentali e, soprattutto, di riportarci indietro a momenti antichi che rivivono in un lampo grazie alle loro musiche.
Qualche esempio legato a Finardi.
Mi pare fosse il 1976 e avevo vent’anni. Era agosto e nella mia “compagnia marina” le canzoni di Eugenio imperversavano. Avevo un quaderno con le sue canzoni dell’epoca con su i testi e gli accordi che avevo tirato giù io, e quotidianamente ci si raccoglieva sulla spiaggia per proporle assieme, io alla chitarra e tutti gli altri alla voce. Finardi arriva a Vado Ligure, e pochi chilometri da Savona e, ovviamente andiamo in massa a vederlo. Ricordo poco del concerto, solo noi accalcati davanti al palco e lui che si muove da vero rocker.
Torniamo ai Bagni Nilo, tutti eccitati, e un “gruppo balneare” sta suonando. Con un minimo di gentilezza mi faccio passare la chitarra elettrica mente gli amici si avvicinano ai microfoni.
Parte “Musica Ribelle”, e non poteva essere diversamente.
Passano pochi anni credo tre, e Finardi è nuovamente vicino a noi, Varazze per la precisione.
Mi è rimasta in mente, “Scimmia”, provata nel corso del soundcheck. Davanti a me siede la ragazza di un amico. Ha diciotto anni e diventerà mia moglie.
Siamo alla fine del secolo e i miei due bambini non ne vogliono sapere di dormire. Per sei anni, tre ciascuno, considereranno il sonno notturno un optional. Tra i mille rimedi che si posso ricercare in questi casi, invento la “scrollata di sedere(loro) musicale” e ancora adesso, quando io e i miei bambini ascoltiamo “La radio”, ci ritornano alla mente quei bei momenti faticosi.
Potrei continuare a lungo.
La sostanza è che Eugenio Finardi è entrato nella mia vita e credo di quella di molti altri, diventando uno zio, un amico, un fratello, ma … lui non può saperlo e forse non potrebbe capirlo essendo, in fondo, dall’altra parte della barricata.
Ma perché oggi, ho deciso di scrivere questa intima confessione?
Sono molto attento alle coincidenze e mi piace descriverle.
Prima di partire per la montagna, da dove sto scrivendo, ho chiesto a mia moglie ( la ragazza davanti a me al concerto di Varazze) di acquistarmi qualche libro, cosa che normalmente non fa, tranne che in occasione dei miei compleanni, ma questa volta non ho trovato il tempo per farlo personalmente.
Conoscendo la mia fame di letture a sfondo musicale, si è tuffata a pesce sull’argomento e tra i tanti acquisti portati a casa, ho trovato” Eugenio Finardi- Allo Specchio”
Non è una news, ma risale al 1996. Poco male, risulterà comunque interessante e mi spingerà a questo pubblico atto di riconoscenza.
Prima annotazione. Il libro è scritto da Claudio Sanfilippo, un cantautore milanese che ho sentito lo scorso anno al Raindogs di Savona e con cui ho allacciato un minimo di rapporto,
All’interno del book sono molte le testimonianze e le citazioni di uomini che ho recentemente conosciuto.
Parlo di Ezio Guaitamacchi, colui che ha avuto l’idea del libro, con cui ho minimamente collaborato, pochi giorni fa, nel corso della finale del “Premio Janis Joplin”, in qualità di giurato.
Parlo di Lucio “Violino” Fabbri, conosciuto da poco, con cui ho realizzato una bella intervista.
Parlo di Fabio Treves, che cerco di vedere quando viene in Liguria e con cui ogni tanto interagisco via mail.
E per ultimo Alberto Camerini (ho ancora i suoi primi tre album, in cassetta), anch’esso visto a Vado nello stesso periodo di Finardi, con cui ho appena stretto amicizia su Facebook.
Ho divorato il libro e ho capito qualcosa in più del “mio amico” Eugenio.
Il libro risale al periodo dell’album “Occhi”, e così ho scoperto come è nata una canzone incredibilmente bella, “Con questi occhi”, scritta a quattro mani, proprio con Sanfilippo.
Oltre agli amici musicisti, ci sono testimonianze di mamma e sorella e una lunga intervista al non semplice “uomo Eugenio”. Sono passati quattordici anni, e forse certi equilibri e certe presenze sono variate, e forse le storie personali si sono evolute, ma la cosa che ho pensato è che all’interno di quel libro potevo esserci anche io, anche io avrei potuto raccontare aneddoti che riguardavano la vita Finardi e, “Come in uno specchio”, la mia. E torniamo al potere dell’icona musicale, in questo caso Eugenio Finardi, che nel caso specifico è un amico con cui ho vissuto lustri, mettendolo a volte da parte, ma ricercandolo e ritrovandolo nei momenti di bisogno, come di solito si fa con gli amici … magari non li vedi per mesi, ma ti conforta il fatto di sapere che sai come ritrovarli e, soprattutto, conosci sempre le loro positive reazioni. E ovviamente tu sei in grado di comportarti allo stesso modo.
“L’amicizia è un tacito accordo tra persone sensibile e virtuose”.
Io so di essere un amico di Finardi, anche se lui non lo sa.
Vorrei però che riflettesse sul quel potere a cui accennavo prima, che è qualcosa, secondo me, di enorme gratificazione, superiore a tutte le perfette performance possibili e di gran lunga più importante di un album di successo. Sto parlando della capacità di entrare nella vita di sconosciuti, senza neanche chiederlo, e accompagnarli per sempre, senza momenti di cedimento, perché non ci sono interessi in gioco, se non quello della condivisione di un cammino parallelo, su assi molto lontane, ma con qualche punto di incontro, nelle varie stazioni che troviamo nel corso delle nostre esistenze.
La mia vita ha due presenze musicali costanti, a cui non so razionalmente come sono arrivato, e nemmeno mi interessa saperlo. Parlo di musiche molto differenti tra loro, parlo degli unici musicisti che potevo acquistare a “scatola chiusa”, certo che almeno l’80% del contenuto sarebbe stato di mio gradimento: Jethro Tull e Eugenio Finardi.
Conosco altre persone che hanno questo doppio amore e quindi mi viene da pensare che mondi così distanti tra loro possano avere un link sotterraneo, sconosciuto a tutti. Se qualcuno lo conosce sarò lieto di ascoltare il suo pensiero.
Tra le tante cose che sanamente invidio a Finardi, ce n’è una che mi serve per chiudere questo mio confuso post.
Faccio parte di una generazione che ha visto crescere un certo tipo di musica, ma che all’epoca era troppo giovane per vivere gli eventi in libertà. Il fascino dei grandi concerti, dei grandi raduni di Montery, Woodstock e Wight non si è mai sopito, anche se ne siamo solo stati sfiorati, e solo successivamente abbiamo approfondito. Ma essere là deve essere stato diverso e l’unica mia soddisfazione è quella di aver visto dal vivo gruppi che hanno partecipato a tutte e tre le manifestazioni.
Ma Eugenio c’era a Wight.
Fabio Treves racconta così l’avventura, nel libro di Claudio Sanfilippo:
“Con Eugenio, fin dall’inizio, c’era feeling, ma la nostra amicizia diventò veramente tale tre anni dopo, nel 1970, quando decidemmo di andare insieme al Festival dell’Isola di Wight.
Là, passammo insieme tre giorni indimenticabili, pieni di stravolgimenti musicali.
Con noi c’era Alberto Camerini . Arrivammo per strade separate, ci demmo l’appuntamento davanti al palco con la promessa che il primo ad arrivare si sarebbe premurato di occupare abbastanza posto anche per gli altri due. Quel festival, nell’ultima giornata di musica ospitò quasi 500.000 persone e quindi fu un’impresa! Ciononostante riuscimmo ad incontrarci, in una postazione a non più di quindici metri dal palco. Tranne i Beatles e i Rolling Stones c’erano tutti, da Hendrix agli Who, dai Doors ai Jethro Tull, Sly And The Family Stones, Miles Davis, Emerson Lake and Palmer, Joni Mitchell, e tanti altri ancora. Per tre giorni abbiamo diviso tutto nell’atmosfera di un evento musicale irripetibile … credo che da quella volta siamo diventati veramente amici”.
Belle storie quelle che raccontano la musica! Demetrio Stratos è stato uno dei punti di riferimento di Eugenio Finardi e il video che propongo è un suo tributo al "Maestro"