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Eugenio Scalfari, l’intellettuale dilettante

Creato il 09 ottobre 2013 da Giulianoguzzo @GiulianoGuzzo

Scalfari

Non è un libro contro Eugenio Scalfari, che già nell’introduzione viene definito  «un grande giornalista» i cui «editoriali di politica, di economia, di finanza, di costume sono esemplari per lucidità di analisi e chiarezza espositiva». Eugenio Scalfari – L’intellettuale dilettante (Dante Alighieri, 2013, pp. 151) dello studioso Francesco Bucci, l’autore che ha già demitizzato la statura filosofica di Umberto Galimberti, è invece un libro contro la pretesa del giornalista, maturata principalmente negli ultimi anni, di sentirsi intellettuale, vate, pontefice laico. Pretesa indubbiamente rinvigorita dall’attenzione generosamente dedicatagli da Papa Francesco, ma non supportata – questo è il punto – da adeguati strumenti culturali. Il che non significa che Scalfari sia ignorante, ma semplicemente che i suoi copiosi scritti su filosofia, letteratura, storia, psicologia, arte e scienza siano da prendere con estrema cautela.

Anche perché, come Bucci stesso ci segnala, il suo documentato lavoro (sono stati analizzati approfonditamente ben sei libri di Scalfari, in aggiunta a numerosi articoli) non è il primo a mettere in discussione la statura intellettuale del celebre giornalista. Correva infatti l’anno 1994 quando un critico di spessore come Cesare Garboli sottolineava come quelli del padre di Repubblica prestato alla filosofia non fossero, in fondo, che pensieri «arruffati, disordinati, ancora umidi di emozione, venuti su dai fondi dimenticati e lontani degli anni di liceo, dall’odore delle sale di biliardo, dai lazzi e dagli schiamazzi della gioventù, quando le idee si svegliano trascinate dai sensi e si presentano alla mente facendo ressa». Più che il filosofo, a leggere Scalfari viene quindi in mente lo studioso o, meglio ancora, lo studente, neppure troppo preparato, di filosofia.

Una sensazione che la lettura di L’intellettuale dilettante conferma pagina dopo pagina, laddove si fanno notare non tanto e non solo strafalcioni bensì una vera e propria confusione di fondo, con Scalfari che – tanto per dirne alcune – colloca Michel de Montaigne (1533 – 1592), pensatore rinascimentale imbevuto di cultura classica, fra i padri della modernità e del relativismo, che contraddicendosi vede Hegel (1770-1831) al tempo stesso come simbolo e come contrasto alla modernità e che, dulcis in fundo, fa combaciare relativismo e Illuminismo, disorientando tutti i lettori provvisti anche solo di una infarinatura minima di storia del pensiero filosofico. Sbalorditiva – e ingiustificata – è inoltre la dilatazione temporale della modernità, che il fondatore di Repubblica fa sorgere col Rinascimento e vede presente fino ad oggi, collocando Umberto Eco fra «i maggiori scrittori della modernità».

Tutto è modernità o quasi, dunque, per Scalfari. Il quale, come sappiamo, da un lato non si tira mai indietro quando si tratta di proporre tesi relativistiche e, d’altro lato, si lamenta di un presente nel quale la società, a suo dire, «non crea nuovi valori e si limita a deturpare quelli ricevuti dal passato» (L’Espresso, 23/2/2012). Ma il meglio Scalfari lo dà quando, in Alla ricerca della morale perduta, senza offrire troppe spiegazioni, riduce l’origine della morale a «istinto di sopravvivenza della specie». «Ma come? – si chiede giustamente Bucci – Nessuno aveva neanche vagamente sospettato l’esistenza nell’uomo di un istinto altruistico, rivolto addirittura verso l’intera specie, e anzi sia Darwin, sia Freud avevano fondato le loro teorie sull’assunto esattamente opposto, e Scalfari se la cava con poche righe, lasciandoci a bocca aperta per lo stupore?» (p. 69).

In effetti, quella del grande vecchio del giornalismo è una definizione di morale originalissima ma non argomentata, curiosa ma drammaticamente vaga e priva di una cornice di riferimento. Un po’ come tutto, a ben vedere, lo Scalfari-pensiero. Che nel suo interessante libro Bucci – questo è il punto – non vuole fare a pezzi, ma trova già a pezzi: disordinato e fumoso, privo non solo di rigore ma della minima intelaiatura. Un fatto che ai lettori di Repubblica magari non è o non era del tutto noto, ma che in Eugenio Scalfari – L’intellettuale dilettante, testo scorrevole pur nella sua densità analitica (gli scritti di Barbapapà vengono radiografati riga per riga), emerge con chiarezza. Assieme all’invito, che l’Autore non formula esplicitamente ma che al lettore arriva, a non prendere per oro colato le prediche del primo apprendista filosofo che capita di leggere. Anche se ha la barba bianca tipica del saggio.



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