Il primo di luglio è stato ufficialmente il giorno d’avvio della presidenza cipriota al Consiglio dell’Unione Europea. Ringraziamenti e critiche per la conclusa presidenza danese. Ma solo martedì il presidente della Repubblica di Cipro, Demetris Christofias ha cominciato la lunga serie di incontri rituali: col presidente del Parlamento europeo Martin Schultz, col presidente della Commissione europea Jose Barroso, con i leader dei gruppi politici al PE e così via. Un inizio solenne che si incunea in un periodo estremamente difficile per l’Europa.
«Verso un’Europa migliore»: è questo il motto tanto semplice quanto drammatico che i ciprioti hanno scelto per dare il via al loro semestre. Quattro le priorità dichiarate: un’unione più stabile ed efficiente, un’economia basata sulla crescita e sulla sostenibilità, un’Europa più vicina ai suoi cittadini attraverso la solidarietà e la coesione sociale, un’Europa più impegnata nel mondo. Il politichese comunitario dice tutto e nulla. Niente di nuovo, niente di eclatante, nessuna ricetta per far guarire l’euro malato. Del resto, non sono loro ad averne il potere.
Chi veramente tiene la barra dell’Europa è sempre lei, la signora in giallo. Frau Merkel. Proprio la rigida Cancelliera, peraltro, si è fatta pizzicare, dopo l’ultimo summit europeo, stanca e sconfitta. C’è chi ritiene che, dopo questa disfatta, la Germania non avrà più le redini del vecchio continente. Persino il tedeschissimo Der Spiegel corrobora l’intuizione. Supermario ha scavalcato la Merkel. È stato l’affabile professore lombardo ad aver sganciato la bomba mediatica sul Consiglio Europeo. Niente accordo sul patto per la crescita se l’Europa non si sforza a fare qualcosa per l’Italia. E Rajoy giù a dare manforte, nella speranza di un boccone anche per la Spagna. Il premier danese si irrita e afferma: «State tentando di prenderci in ostaggio?». Ma la strategia montiana ottiene successo anche grazie al salvacondotto di Hollande, che da sempre in campagna elettorale aveva sostenuto che l’atteggiamento rigorista della Merkel era sbagliato. Anche per il neopresidente francese, infatti, vale il principio per cui le politiche di infinita austerità non fanno altro che esacerbare la recessione.
Bisognava dare un forte segnale per la crescita e questo, apparentemente, potrebbe essere proprio l’accordo sull’ESM. Il Meccanismo Europeo di Stabilità salverà in modo diretto le banche, senza necessità che gli Stati, come l’Italia o la Spagna, siano costretti ad incrementare senza sosta il loro debito pubblico. L’unica condizione posta dai tedeschi è stata questa: il meccanismo non entrerà in funzione se non quando sarà operativa un’autorità di supervisione unica sul sistema bancario europeo. Contro il rischio di andare incontro alle calende greche, nel frattempo, si è deciso pure un escamotage per la Spagna: un aiuto di 100 miliardi di euro dato direttamente nelle mani delle istituzioni private e garantito dal governo spagnolo.
Eppure, se la Merkel sembra aver abbassato la guardia, non ha comunque omesso di scatenare i cani olandesi e finlandesi. Dopo neanche 24 ore, i fedeli alleati dei tedeschi hanno dichiarato di voler bloccare lo scudo anti-spread sbandierato da Monti. L’Esm, dopo il veto che annulla l’unanimità, non potrà effettuare operazioni sul mercato secondario, vale a dire che il fondo non potrà acquistare i bond per stabilizzare gli spread fra Stati. Luci e ombre su queste intense trame di relazioni. E se il summit appena concluso e l’avvio della presidenza cipriota sono stati nel segno di una maggiore integrazione e responsabilizzazione, dal Regno Unito, invece, è in corso un movimento di distacco dalla zolla comunitaria che potrebbe costringere il premier David Cameron a indire per il 2015 un referendum sulla permanenza britannica in Europa. Pur non essendone personalmente convinto, il Primo Ministro ha sostenuto che lo status quo è inaccettabile in ogni caso, ma se si pervenisse ad un’unione politica, di certo i cittadini britannici avrebbero tutto il diritto di decidere se farne parte. Unione bancaria, politica o fiscale, ciò che è certo è che i grandi leader non possono più tergiversare. Il tempo, si sa, è denaro. In Europa, poi, il tempo è anche spread.
Ylenia Citino