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Europa /Si può fare di più /Ottobre Missionario

Creato il 08 ottobre 2013 da Marianna06

 

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Siamo qui che abbiamo ancora negli occhi le immagini della inenarrabile tragedia ultima di Lampedusa e delle tante altre Lampedusa, cui abbiamo avuto la disavventura di assistere di questi tempi che, a proposito di  impegno serio e mirato dell’Europa verso i migranti e quella che può essere la loro reale liberazione dalle differenti forme di schiavitù da cui  fuggono, ci sostiene e illumina  persino il linguaggio universale dell’arte che, per di più, non ha mai connotazioni temporali.

Mi riferisco al messaggio che è possibile trarre dall’osservazione attenta  dell’opera di uno scultore italiano del XIX secolo. Parlo del  triestino Francesco  Pizzicar.

L’opera di Pizzicar ,che oggi si trova in esposizione al museo Revoltella della città di Trieste,  rappresenta nel soggetto la liberazione dalle catene secolari di sottomissione di uno schiavo nero d’America al termine della nota guerra di Secessione.

L’opera in questione, infatti, fu commissionata all’artista tantissimi anni fa e, poi, esposta a Filadelfia in occasione dell’Esposizione internazionale dell’anno 1876.

Il tema per tutti i partecipanti del tempo era l’evento politico della raggiunta emancipazione dei neri d’America e Pizzicar, pur suddito dell’impero austro-ungarico, con tutto quello che questo comportava all’epoca per chi era e restava suddito comunque, legge molto diversamente da altri artisti il percorso di liberazione degli schiavi.

E lo fa rispetto a quella, ad esempio, che è la lettura paternalista e “buonista” (si fa per dire) di uno scultore come l’americano Thomas Ball.

Ball, che non esita a sottolineare, volutamente, la magnanimità del bianco nei confronti del nero.

 La libertà per lui è generosa concessione.  L’uomo nero raffigurato nell’opera di Ball è, infatti, ai piedi di Abramo Lincoln in atteggiamento di devota sottomissione. La libertà ottenuta è una libertà, che si vuole fare intendere calata dall’alto. Non certo conquistata.

Lo schiavo liberato di Pizzicar, invece, da solo e con orgoglio, ha  spezzato le sue catene e mostra fiero l’Atto d’indipendenza.

Partendo dall’osservazione  della scultura di Pizzicar (che sottintende una cultura del diritto consolidata se si pensa alle società europee esistenti, quella di un Condorcet o di un Hugo e altre, che si battevano per l’abolizione della schiavitù) e, pur con i dovuti distinguo storici,una cosa la possiamo ipotizzare ed è che, anche ai nostri giorni, una maggiore dignità di esistenza nei fatti  l’Europa tutta dovrebbe, con leggi giuste, assolutamente consentirla ai migranti.

E cioè impegnarsi per questo.

E’  questione di civiltà.

Con minori egoismi si può condividere ciò che c’è, molto o poco che esso sia, e mettere tutti e ciascuno nelle condizione di portare avanti un’esistenza che sappia di normalità e non di quel degrado avvilente che molte immagini ci hanno mostrato, nelle ultime ore, dai monitor delle tv o dagli schermi dei computer.

Il Sogno di Dio ha bisogno dell’uomo per realizzarsi. E il Sogno di Dio è un Sogno d’Amore  non di esclusione.

E’propriamente la trappola del profitto  quella che condiziona e genera inevitabilmente strutture di peccato e quindi quei morti e/o quelle larve d’uomo che , un giorno sì e l’altro pure, ci è dato vedere nel vicino o nel lontano e che, molto spesso, facciamo semmai finta d’ignorare.

Ecco, allora, che il testimone passa a noi tutti, senza differenze di nazionalità (intendo Europa per intero) se ci è chiaro che una corretta politica dei diritti e dei doveri e un’autentica democrazia si costruisce insieme e a piccoli passi. Senza protagonismi supponenti (Germania) , rivalità,esclusioni, emarginazioni. Né di culture, né tantomeno di colore della pelle.

Facciamoci, insomma, operai del Regno.

Senza misconoscere ovviamente le difficoltà e la complessità della sfida. 

E facciamo in modo che non ci siano più “animali”, che siano più uguali degli altri come, ne la famosa “La fattoria degli animali”, una sera, avevano scritto, invece, alcuni dei rivoluzionari presenti.

 

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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