Fëdor Michajlovič Dostoevskij, in russo: Фёдор Михайлович Достоевский /ˈfʲodər mʲɪˈxajləvʲɪtɕ dəstɐˈjɛfskʲɪj/ ascolta (Mosca, 11 novembre1821 – San Pietroburgo, 9 febbraio 1881), è stato uno scrittore e filosofo russo.
È considerato uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi dell’Ottocento e in generale di ogni tempo.
In Italia, fino agli anni quaranta, era conosciuto con il nome Teodoro Dostojevski, secondo la consuetudine di italianizzare il nome degli autori stranieri. A lui è intitolato il cratere Dostoevskij sulla superficie di Mercurio.
Fëdor, secondo di sette figli, nasce a Mosca nel 1821 da Michail Andreevič Dostoevskij, un medico militare russo, figlio di un arcipreteortodosso discendente da una nobile famiglia lituana, dal carattere stravagante e dispotico che alleva il ragazzo in un clima autoritario. La madre, Marija Fëdorovna Nečaeva, proveniva da una famiglia di ricchi e prosperi commercianti russi; dal carattere allegro e semplice, amava lamusica ed era molto religiosa. Sarà lei a insegnare a leggere al figlio facendogli conoscere Aleksandr Sergeevič Puškin, Vasilij Andreevič Žukovskij e la Bibbia. A Fëdor succederanno altri sei figli: le quattro sorelle Varvara, Ljubov’, Vera e Aleksandra Dostoevskaja e i due fratelli Andrej e Nikolaj. Nel 1828 il padre Michail Andreevič è iscritto con i figli nell’albo d’oro della nobiltà moscovita. Nel 1831 Fëdor si trasferisce con la famiglia a Darovoe nel governatorato di Tula dove il padre ha comprato un vasto terreno. Nel 1834, insieme al fratello Michail, entra nel convitto privato di L.I. Čermak, a Mosca. Nel febbraio del 1837 la madre, da tempo ammalata di tisi, muore e il giovane viene trasferito col fratello a Pietroburgo entrando nel convitto preparatorio del capitano K.F. Kostomarov per sostenere gli esami d’ammissione all’istituto d’ingegneria. Il 16 gennaio 1838 entra alla Scuola Superiore del genio militare di Pietroburgo, dove studia ingegneria militare, frequentandola però controvoglia essendo i suoi interessi già orientati verso la letteratura.
L’8 giugno 1839 il padre, che si era dato al bere e maltrattava i propri contadini, viene ucciso probabilmente dagli stessi. Alla notizia della morte del padre, Fëdor ebbe il suo primo attacco di epilessia, malattia che lo perseguiterà per tutta la vita. Nell’agosto 1841 viene ammesso al corso per ufficiali e l’anno seguente viene promosso sottotenente. L’estate successiva entra in servizio effettivo presso il comando del Genio di Pietroburgo.
Il 12 agosto 1843 Fëdor si diploma, ma nell’agosto 1844 dà le dimissioni, lascia il servizio militare e, rinunciando alla carriera che il titolo gli offre, lottando contro la povertà e la salute cagionevole, comincia a scrivere il suo primo libro, Povera gente (Bednye Ljudi), che vede la luce nel 1846 e ha gli elogi di critici come Belinskij e Nekrasov. In questo primo lavoro, lo scrittore rivela uno dei temi maggiori della produzione successiva: la sofferenza per l’uomo socialmente degradato e incompreso.
Nell’estate Dostoevskij inizia a scrivere il suo secondo romanzo, Il sosia (Dvojnik), storia di uno sdoppiamento psichico che non ha però il consenso del primo romanzo, e a novembre, in una sola notte, scrive Romanzo in nove lettere (Roman v devjati pisem). Vedono successivamente la luce alcuni racconti su varie riviste, tra i quali i romanzi brevi Le notti bianche (Belye noči) e Netočka Nezvanova.
Il 23 aprile 1849 viene arrestato per partecipazione a società segreta con scopi sovversivi e imprigionato nella fortezza di Pietro e Paolo. Il 16 novembre dello stesso anno, insieme ad altri venti imputati viene condannato a morte, ma lo zar Nicola I, il 19 dicembre seguente, commuta la condanna a morte inlavori forzati a tempo indeterminato. La revoca della pena capitale, già decisa nei giorni precedenti all’esecuzione, viene comunicata allo scrittore solo sul patibolo. L’avvenimento lo segnerà molto, come ci testimoniano le riflessioni sulla pena di morte (alla quale Dostoevskij si dichiarerà fermamente contrario) in Delitto e castigo e ne L’idiota scritto a Firenze. Il trauma della mancata fucilazione si assocerà alle crisi di epilessia che segneranno la sua esistenza e di cui si troverà traccia in alcuni romanzi, quali L’Idiota nella figura del principe Myškin.
« A chi sa di dover morire, gli ultimi cinque minuti di vita sembrano interminabili, una ricchezza enorme. In quel momento nulla è più penoso del pensiero incessante di poter non morire, del poter far tornare indietro la vita. Allora, quale infinità! Si potrebbe trasformare ogni minuto in un secolo intero… »
(L’idiota)
Graziato della vita, il 24 dicembre viene deportato in Siberia giungendo l’11 gennaio 1850 a Tobol’sk per poi essere rinchiuso il 17 gennaio nella fortezza diOmsk. Dalla drammatica esperienza della reclusione matura una delle opere più crude e sconvolgenti di Dostoevskij, Memorie dalla casa dei morti, in cui varie umanità degradate vengono descritte come personificazioni delle più turpi abiezioni morali, pur senza che manchi nell’autore una vena di speranza. Anche i due capitoli dell’epilogo di Delitto e castigo si svolgono in una fortezza sul fiume Irtiš, identificabile con Omsk.