Ṣaddām Ḥusayn ʿAbd al-Majīd al-Tikrītī (arabo: صدام حسين عبد المجيد التكريتي; Al-Awja, 28 aprile 1937 – Baghdad, 30 dicembre 2006) è stato un politico iracheno, leader assoluto dell’Iraq dal 1979 al 2003, quando venne destituito in seguito all’invasione anglo-americana in quella che è conosciuta come la seconda guerra del Golfo. La data di nascita è incerta.
È stato giustiziato per impiccagione il 30 dicembre 2006, in esecuzione di una sentenza di condanna a morte pronunziata da un tribunalespeciale iracheno - confermata in appello – per crimini contro l’umanità. La sua esecuzione ha destato scalpore e polemiche in tutto il mondo.
Accusato di non aver adempiuto agli obblighi imposti dalla comunità internazionale e di possedere ancora armi nucleari, chimiche e biologiche, mai trovate però dagli ispettori dell’ONU, l’Iraq venne nuovamente attaccato. Il 19 marzo 2003, 300.000 soldati statunitensi e britannici invasero da sud l’Iraq dando il via all’operazione Iraqi Freedom con l’obiettivo di disarmare e distruggere il regime di Saddam, accusato di collusione con il terrorismo internazionale. Dopo pochi giorni di guerra le truppe britanniche conquistarono la penisola di al-Faw e Umm Qaṣr; la 3a Divisione di Fanteria e la 2a Divisione dei Marines arrivano alle porte di Baghdad il 2 aprile. Il 3 aprile comincia la battaglia per la conquista dell’Aeroporto Internazionale ‘Saddam’ a sud-ovest della capitale irachena; il 5 aprile lo scalo è totalmente sotto il controllo americano; nella stessa giornata, unità da ricognizione entrano per la prima volta a Baghdadincontrando scarsa resistenza; il 6 aprile comincia la battaglia di Baghdad con violenti scontri tra Fedayn e Statunitensi.
Il 9 aprile, la capitale irachena cade e i Marines entrano vittoriosi nella piazza del Paradiso dove viene abbattuta, in diretta mondiale, la statua di Saddam Hussein. Il 15 aprile, le truppe statunitensi attaccano e conquistano Tikrīt, ultimo bastione di Saddam. Il 1º maggio 2003, il presidente George W. Bushproclama la fine dei combattimenti in Iraq: “Nella guerra contro l’Iraq, gli Stati Uniti d’America e i suoi alleati hanno prevalso”.
Nonostante l’emergere di una violenta e sanguinosa insurrezione portata avanti dalla resistenza irachena (a seconda dei punti di vista anche definita gruppi terroristici) con azioni di guerriglia (anche qui un altro punto di vista le definisce azioni terroristiche) e dagli uomini di Abū Musʿab al-Zarqāwī, leader di al-Qāʿida in Iraq, l’ex presidente iracheno viene catturato dai soldati americani in un villaggio nelle vicinanze di Tikrīt il 13 dicembre (fu trovato in un piccolo bunker scavato sottoterra durante l’operazione “Operazione Alba Rossa”).
Sottoposto a processo (cominciato il 19 ottobre 2005) da un tribunale iracheno assieme ad altri sette imputati, fra cui il fratellastro, tutti gerarchi del suo regime, per crimini contro l’umanità, in relazione alla strage di Dujayl del 1982 (148 sciiti uccisi), il 5 novembre 2006 è stato condannato a morte perimpiccagione (Saddam aveva richiesto la fucilazione) e il 26 dicembre 2006 la condanna è stata confermata dalla Corte d’appello. Con lui è stato condannato a morte per impiccagione anche Awwad al-Bandar, presidente del tribunale rivoluzionario, mentre Ṭāhā Yāsīn Ramaḍān, vice presidente, è stato condannato prima all’ergastolo, poi all’impiccagione. L’esecuzione per impiccagione è avvenuta alle 6 del mattino (ora irachena) del 30 dicembre2006, data che coincideva con la festa del sacrificio, la maggiore solennità islamica.
In Iraq la sentenza ha provocato reazioni contrastanti: curdi e sciiti si sono rallegrati (il primo ministro Nūrī al-Mālikī avrebbe dichiarato che “La condanna a morte segna la fine di un periodo nero della storia di questo paese e ne apre un altro, quello di un Iraq democratico e libero”), mentre i sunniti hanno reagito manifestando contro il verdetto. Anche in Vicino Oriente le reazioni sono state contrastanti: i tradizionali nemici di Saddam (Iran e Kuwait) hanno accolto la sentenza con favore, mentre i governi del mondo sunnita hanno tenuto un basso profilo, cercando di non dispiacere né agli Stati Uniti, né alle proprie opinioni pubbliche, eccezion fatta per la Libia.