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Everest - Alba di sangue, di Dan Simmons (2013)

Creato il 03 luglio 2013 da Silente
Everest - Alba di sangue, di Dan Simmons (2013)
Fabbri Editore, 476 pagine, 18,00 Euro
Simmons non è nuovo al freddo e alla sopravvivenza in condizioni estreme – aveva già affrontato tematiche simili, e a dire il vero molto più gravi e disperate, nel bellissimo La scomparsa dell’Erebus. C’è quindi una sorta di fantasma, come uno strano dejà-vu che aleggia su questo nuovo Everest – Alba di sangue, che avrà sì il particolarissimo privilegio di uscire addirittura in anteprima in Italia (contro la pubblicazione autunnale negli USA), ma parte sinceramente un poco storto con un titolo non solo orribile ma che, tra l’altro, non mantiene il sottile significato dell’originale The Abominable. Okay, non conta poi molto, ne La scomparsa dell’Erebus non c’era a conti fatti nessuna scomparsa dell’Erebus, il vero problema è ben altro, perché a lettura ultimata non è che resti poi molto di questo tour de force tibetano – troppo semplice infatti l’intreccio, o meglio, troppo semplicistica la gestione della storia, che pare non aver interesse alcuno nell’aspetto thrilleristico che viene a crearsi nell’ultima parte. In realtà, sembra che a Simmons interessasse soltanto dimostrare quanto ha studiato l’argomento, l’alpinismo in questo caso, quanto precisa fosse la sua documentazione e quanto preparato fosse nello sciorinarla, ed è cosa evidente dal nozionismo, dal lessico ultratecnico, dai nomi e dai fatti di cronaca mitragliati in continuazione.
Chiaro, come sempre un bel leggere, sono 500 pagine che volano via senza mai un momento di noia o di stanchezza – sarà che la mia adorazione per Dan Simmons mi porta a divorare anche le sue lunghe divagazioni, ma un autore capace di narrare di un argomento così specifico, soprattutto se si considera l’ambientazione anni Venti e dintorni, con una tale proprietà di linguaggio senza che il lettore non solo non sia mai spaesato o travolto dalla sua enorme documentazione, ma addirittura coinvolto e incuriosito dalle storie che danno colore al contesto, storie avventurose, minuziose, particolareggiate e spesso tragiche degli scalatori che hanno tentato l’impossibile, è già cosa sbalorditiva. La sofferta spedizione himalayana del quartetto protagonista e i mille imprevisti sconfitti nella scalata dell’Everest è quindi descritta a meraviglia, una dettagliata e avvincente avventura alla ricerca del cadavere di un collega morto nella stessa impresa, con personaggi particolarmente carismatici, tratteggiati con grande esperienza, semplici ma incisivi e profondi.
Quello che però viene stranamente a mancare è proprio la forza della vicenda, una storia a conti fatti estremamente, estremamente banale, priva di un valido villain che faccia da contraltare all’eroismo dei protagonisti, fin troppo superiori e sicuri di sé nell’affrontare un nemico in più di un’occasione a dir poco ridicolo perché povero, poco convincente, dimenticabile. E lo stesso meccanismo che sta alla base del titolo è sinceramente poca cosa, e lascia più che altro insoddisfatti perché la trama appare molto, molto sbilanciata, priva di una seconda parte che possa realmente dare compendio alla lunghissima, estenuante, dolorosissima prima metà. Il tutto si risolve infatti in una pallida e prevedibile bolla di sapone che smorza speranze e atmosfere putride che a tratti ricordano anche il capolavoro Il canto di Kali (il funerale al tempio su tutto).
Un brutto libro di Dan Simmons è però sempre un libro ben al di sopra della media, qui siamo ben lontani dalla qualità della sua vasta produzione ma è comunque un romanzo a tratti notevole, sempre appassionante, a cui serviva la potenza necessaria alla creazione di un climax e che invece, nel momento clou, appare stanco, distante e disinteressato. 

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