Di Gianni Pardo il 11 ottobre | ore 07 : 57 AM
Angelo Panebianco è un editorialista che merita stima. È pacato, è ragionevole, ciò che scrive è quanto meno plausibile. Anche l’articolo di domenica scorsa(1) non fa eccezione. Purtroppo sono discutibili le premesse. E da premesse infondate si ricavano solo conclusioni invalide. Come dicevano i romani, ex falso quodlibet, dal falso si può dedurre qualunque cosa. Il “falso” di Panebianco appare totalmente in buona fede ma le sue evidenze sono discutibili.
Per cominciare, riguardo al referendum sulla legge elettorale, può darsi che ci si stia bagnando prima che piova. Il parere pressoché unanime dei maggiori costituzionalisti è che esso sia inammissibile, secondo tutta la precedente giurisprudenza. Parlarne come di una certezza, se pure dopo avere accennato al giudizio della Consulta, è dunque fuor di luogo. Ma andiamo alle affermazioni più pregnanti.
“Sappiamo che al governo non conviene il referendum”, scrive Panebianco. Ed è vero. Ma non è tutta la verità. Il referendum non conviene al Pdl, che è il maggior partito di centro-destra, perché vincendo perderebbe il vantaggio del premio di maggioranza; e non conviene al Pd, che è il maggior partito di centro-sinistra, perché vincendo perderebbe il vantaggio del premio di maggioranza. Ecco perché – al contrario di Di Pietro, che ne beneficerebbe – è stato così tiepido al momento di promuoverlo. Se alla fine il Pd si è piegato a sostenere l’iniziativa, è stato per ragioni di decenza: perché per anni ha sparato a zero su una legge che pure ha permesso a Prodi di non avere problemi alla Camera dei Deputati, con solo sei decimillesimi (0,06%) di voti in più rispetto al centro-destra.
Il sì al referendum danneggerebbe il Pd almeno quanto il Pdl. Ed anzi, se si pensa che è dato per vincente alle prossime elezioni, il Pd più del Pdl.
“L’insofferenza per l’attuale sistema elettorale è talmente diffusa nel Paese che la vittoria del «sì» sarebbe molto probabile”. Perfetto. Ma è un’insofferenza artificiale, alimentata da una campagna corale che dura da anni, costante e martellante. Si è creata nella nazione l’idea assurda che una nuova legge elettorale chissà che cosa risolverebbe. Tanto che varrebbe la pena di buttare giù l’attuale governo e crearne uno diverso esclusivamente per varare una nuova legge. Ma non solo questo non è vero per nessuna legge elettorale (sono tutte necessariamente imperfette), nel caso concreto non esiste nemmeno un progetto unico e salvifico delle opposizioni. Non è un caso se la legge non è stata modificata neanche dall’ultimo governo Prodi.
“[La vittoria dei sì] sarebbe un’altra sberla (forse definitiva) per il governo e la maggioranza, arroccati nella difesa dell’indifendibile”. Primo, che questa legge sia indifendibile fa parte di quella campagna costante e martellante di cui si diceva: in realtà la si è voluta com’è per eliminare l’instabilità dei governi e il voto di scambio. Secondo, non si vede perché definitiva, dal momento che i governi cadono solo quando c’è un voto di sfiducia. Terzo, sarebbe una sberla anche e soprattutto per il Pd.
“Dunque, la vera scelta sarà fra elezioni anticipate (ammesso che il presidente della Repubblica le conceda) e una nuova legge elettorale”. Eh no: questo “dunque” è da dimostrare. Dove sta scritto che il governo, pur di evitare la vittoria del sì al referendum, dovrebbe o votare una nuova legge elettorale o dimettersi e andare a nuove elezioni? Questi sono i desideri dell’opposizione e forse dell’editorialista.
Panebianco poi, ipotizzando un accordo tra Pdl e Udc, afferma che Casini “ha bisogno, per mettere in soffitta il bipolarismo, di eliminare il premio di maggioranza”. Ma questa è precisamente la ragione per la quale il referendum non piace né al Pdl né al Pd. E perché la proposta dovrebbe divenire appetibile, se la fa Casini?
Il sistema elettorale suggerito da Panebianco non è sbagliato, o non più di altri. È la premessa della necessità di una nuova legge elettorale, ad essere sbagliata. I dati di fatto sono molto più semplici e lineari: i governi cadono a causa di un voto di sfiducia e se non c’è il voto di sfiducia, questo esecutivo arriva al 2013. Se si sopprime il premio di maggioranza, la nuova norma danneggerà i due partiti che hanno la maggioranza relativa ciascuno nel proprio campo, il Pdl e il Pd, ma non nella stessa misura. Dal momento che il Pd è dato vincente, questo partito ne sarebbe danneggiato nelle elezioni del 2013 (o prima); mentre il Pdl ne potrebbe essere danneggiato nel 2018, quando Berlusconi, se sarà vivo, avrà ottantadue anni e il quadro politico sarà comunque completamente cambiato.
giannipardo@libero.it
(1)http://www.corriere.it/editoriali/11_ottobre_09/la-soluzione-del-doppi-voto-angelo-panebianco_07049694-f24a-11e0-9a3e-cd32c10dad62.shtml