La premessa è d'obbligo: io e la fantascienza non abbiamo un buon rapporto.
Precisiamo: finchè si tratta di fantascienza godereccia, che più che sulla robotica si basa sulla fisica e sul tempo, allora va tutto a gonfie vele (Doctor Who docet), quando invece si inizia a parlare in modo fin troppo classico di intelligenze artificiali, di test, emozioni e coscienze, ecco, lì inizio ad annoiarmi.

E' con questi pregiudizi, lo ammetto, che mi sono avvicinata alla visione di Ex Machina, pregiudizi mitigati in parte dalla produzione inglese e dalla presenza di due attori entrati tra i beniamini degli ultimi anni come Domhnaal Gleeson (per Questione di Tempo) e Oscar Isaac (per A proposito di Davis), oltre che della riscoperta di una Alicia Vikander che da A Royal Affair si è fatta strada nel cinema internazionale.
I pregiudizi non sono però stati infranti, perchè quella a cui ci troviamo davanti è una vicenda dal sapore datato, dai contorni ben delineati, dalle svolte piuttosto prevedibili e dal finale anche un po' scontato.
Quando Caleb vince la lotteria aziendale e vola nella tenuta del suo capo, già sappiamo che qualcosa di marcio c'è: una leggera paranoia di quest'ultimo che ha cablato l'intera struttura, privandola di finestre, con una cameriera tuttofare che non capisce la lingua inglese e soprattutto una bontà d'animo che sfocia nella timidezza di Caleb, orfano e senza famiglia.
Il motivo per cui è lì, e lì dovrà stare per una settimana, è sperimentare il famoso test di Turing, cercando di capire e di cogliere in fallo Ava, il robot dalle sembianze umane costruito da Nathan, in sessioni quotidiane che vedranno i due conoscersi, fraternizzare, rimanere dubbiosi, aprirsi.
Ava è perfetta, bellissima e intelligente, sfrutta il motore di ricerca che è alla base della compagnia di Nathan per imparare e implementare il suo sapere, ma è Nathan ad essere imperfetto, dedito all'alcool, agli scoppi d'ira, alla monopolizzazione e al controllo.
Facile intuire come si svilupperà la settimana di Caleb, come i suoi sentimenti verranno messi alla prova, al pari della sua coscienza, con l'amore e l'odio a lasciare lo zampino.

Facile?
Sì, perchè proprio quel classicismo che rende Ex Machina un film solido, ne è anche la pecca maggiore: prevedibilità nella struttura, nel coinvolgimento e nella delineazione dei personaggi divisi nettamente tra buono e cattivo, tra il cucciolo tenero da amare e lo spaccone ricco e dotato da odiare, più l'incognita che scopre le sue carte nel finale, costituita da Ava che fredda è e fredda rimane.
Solo qua e là il dubbio si insinua, con le parti che potrebbero essere invertite, con i sospetti e le questioni che si sollevano.
A dare la sensazione di freddezza che una vicenda che pur raccontando di robot mette di mezzo il cuore, è la fotografia in ambienti asettici e impersonali, in un paradiso naturale che sta volutamente fuori, dalla casa come dall'inquadratura.
Ovvio che la scelta sia dettata dall'esordiente Alex Garland, che qui sceglie uno sviluppo contenuto e ritmi più lenti rispetto al passato (sue le sceneggiature di 28 settimane dopo e Non Lasciarmi), pur mantenendo la stessa grazia della messa in scena, in cui piccoli lampi di genio (la scena di danza tra Kyoko e Nathan) fanno comunque capolino.
Se si pensa infine che si parla (anche) di un'intelligenza artificiale cosciente di sé e dei sentimenti umani coinvolti, il confronto con un Her molto più originale, molto più poetico, lo affossa ulteriormente ai miei occhi.
Per quanto Gleeson e Isaac non perdano di stima nei miei confronti, per quanto Alicia Vikander si dimostri uno di quei volti su cui scommettere (come ha già fatto Michael Fassbender, chiamalo stupido), Ex Machina è per me l'apoteosi del già visto e già sentito, racchiuso com'è in un classicismo dove ogni mio pregiudizio trova terreno fertile, dimostrandosi un bello senz'anima, a tutti gli effetti.

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