Io sono bravissima nell'arte dell'autodiagnosticarmi malattie, ma pure in quella dell'inventarle di sana pianta. Per esempio, oggi, ho deciso che soffro della Sindrome dell'Affanno. Ovvero:
"Trattasi di un particolare stato ansioso che spinge l'individuo a "fare cose", dove per "fare cose" s'intende riempire il tempo libero con attività ed eventi ritenuti indispensabili per l'accrescimento intellettuale. I sintomi più comuni si manifestano quando l'individuo non riesce a portare a compimento quanto prefissato, attraverso un malessere profondo, ancestrale e tormentato".
Vivere in una città come Milanoalimenta la Sindrome. Intellettualmente parlando, si è sottoposti a una varietà tale di stimoli che è impossibile mettere a freno il cervello. Anche in vacanza. Soprattutto in vacanza.
Esattamente un anno fa, sono stata un mese a Londra per un corso. Ho rischiato di non riuscire a vedere Hampton Court, il Castello di Enrico VIII per intoppi vari e sono letteralmente andata in crisi mistica al pensiero che sarei tornata in Italia con una tale lacuna. Poi ce l'ho fatta, perchè l'affannoso ce la fa (quasi) sempre. Incastra tutto e ci riesce. Con affanno, ovvio, ma porta a termine la missione. Se per qualche sventurato motivo non riesce a fare tutto quello che si è prefissato, però, è il panico. Va in tilt. Per questo, io stilo liste su liste di eventi/mostre/concerti che non posso perdere, per non dimenticarli e avere sempre sotto controllo tutto quanto (se questa non è una nevrosi...).
Affannarsi a Milano è facilissimo. Per definizione, è la città in cui tutti sono normalmente di fretta perchè devono fare questo e quello e se non si muovono arrivano in ritardo e gli saltano tutti i piani.E poi ci sono cose da fare ovunque, in qualsiasi momento e per tutti i gusti. La sindrome dell'affanno non è proprio semplice da gestire, perchè dà la sensazione di aver fallito nella pianificazione del tempo, o di aver perso qualcosa di imperdibile e che mai ricapiterà l'occasione. Quantomeno mi ha guarito dalla sindrome del “Sì, poi ci vado”, che è peggio: quella che quando sai che c'è una mostra dietro il culo di casa tua, rimandi sempre la visita. “Tanto è lì, poi ci vado”; “Ormai è tardi, ci vado domani con calma”. Fino a che il tempo scade, e la mostra non c'è più. Avete presente quelli che conoscono a memoria il Met, il Louvre, il Prado, l'Hermitage, la National Gallery e non hanno mai visto i Musei Vaticani, no? Ecco.
Quindi il mio affanno, durante queste vacanze, mi ha dato la spinta per vedere due bellissime mostre senza il solito affanno. Un gioco di parole che svela un paradosso interessante, che è alla base del modus vivendi dell'affannoso tipo in vacanza: sfruttare il tempo libero per fare cose interessanti, invece che poltrire sul divano davanti a un film di Natale, con la panza piena di pandori e torroni Condorelli e in modalità plaid.
Eccole qua.VIVIAN MAIER (Fondazione Forma per la Fotografia). Non ricordo come ho scoperto questa geniale fotografa, probabilmente leggendo di lei su qualche blog o rivista. Seppur mi avesse incuriosito, non ho sentito subito l'esigenza di fare ricerche o approfondire la questione. Fino a che il caso non ha voluto che la incontrassi di nuovo tra gli scaffali de La Feltrinelli. Ho guardato il documentario e mi sono innamorata di lei. Perchè era strana, sinistra, misteriosa, ambigua, bizzarra e impenetrabile, ma una cosa è certa: tata Vivian, perchè di professione accudiva i bambini, aveva una sensibilità senza pari. Accumulatrice e collezionista di cose, osservatrice compulsiva, Vivian Maier ha fotografato per se stessa, sviluppando soltanto una minima parte dei suoi rullini. Come ha fatto questa donna a scattare sempre fotografie perfette e uniche, senza poter riflettere sul suo lavoro, sui suoi errori e successi? Non lo sappiamo. A lei non interessava guardare le sue fotografie. Per lei contava soltanto farle. Ed esserci.
ALFONS MUCHA - Palazzo Reale. Sarò onesta: fino al secondo prima di scorgere il manifesto della mostra affisso in metro, non avevo idea di chi fosse costui. Avevo una vaga sensazione di "già visto", ma non saprei dire se per la somiglianza con Klimt, o perchè il suo lavoro è presente nell'immaginario artistico comune. Ho visto la mostra, allora, mossa dalla curiosità e dall'amore per il liberty e l'arte decorativa. Se amate Klimt e Tolouse-Lautrec, questa è la vostra mostra: si tratta sostanzialmente di poster e manifesti pubblicitari, ma una cosa li rende più vicini al mondo incantato dell'artista secessionista viennese: la presenza costante di donne meravigliose. Ora sensuali, ora eteree, ora innocenti, ora intense e fatali, il lavoro di Mucha (si pronuncia "Mukà") può apparire a tratti ripetitivo, e invece ogni donna racconta una storia diversa, che rapisce per la bellezza delle decorazioni che avvolgono le figure, adornate di fregi, ghirigori e fiori che sembrano trasportarle in una dimensione metafisica. La mostra, inoltre, apre interessanti parentesi sull'arredamento liberty, il Giapponismo e altri contributi artistici meno conosciuti all'arte decorativa.
Alfons Mucha - Job (1896)
Buon anno a tutti!