Qualche settimana fa, su Twitter, tra gli hashtag più diffusi, ha fatto capolino una voce dal titolo #ComeFuzionanoLeDonne, collegamento ad una serie di tweet, prevalentemente composti da account maschili, dove veniva presa in giro la loro controparte risaltandone, ironicamente, difetti e nevrosi. Palla al balzo che, come era prevedibile, non ci ha messo molto ad essere recepita e poi rovesciata, con l'entrata in scena, qualche giorno più tardi, dell'hashtag contrario #ComeFunzionanoGliUomini, che ha dato inizio a una battaglia social, a colpi di battute, tutt'ora in corso e a metà tra il divertente ed il banale.
C'è chi però a queste domande - anzi, non proprio a queste - ha tentato di rispondere seriamente; chi nutriva un sano interesse nella comprensione degli uomini e delle donne; chi ha deciso di spendere gran parte della propria vita a studiare e a sperimentare come funzionano gli esseri umani. Fu lo psicologo sperimentale americano Stanley Milgram, negli anni sessanta a dedicarsi a tempo pieno a tale attività, a quel ramo, nello specifico, che vedeva uomini prendere ordini orribili da altri uomini ed eseguirli senza porsi, molto spesso, né scrupoli e né domande. Aveva elaborato degli esperimenti sull'obbedienza allora, Milgram, voleva trovare una spiegazione alle pagine di Storia disumane come l'Olocausto, rendersi conto se c'era la possibilità di risolverle, di curarle e di evitarle in futuro; voleva sapere, insomma, se in quel male, provocato gratuitamente, esistevano dei nodi da sciogliere oppure era solo qualcosa che, semplicemente, risiedeva nel nostro essere. Con il suo team quindi mise in atto un esame che pretendeva l'utilizzo di due soggetti, uno era suo complice l'altro no. Il complice doveva essere il soggetto-studente e doveva rispondere correttamente alle associazioni, precedentemente suggerite, che gli venivano fatte dal soggetto-insegnante. Se il soggetto-studente sbagliava associazione, il soggetto-insegnante aveva l'ordine categorico di inviagli una scossa tramite l'uso di una macchina: scossa che doveva aumentare di potenza ad ogni risposta sbagliata accumulata, culminando, neanche a dirlo, nel rischio massimo di pericolo.
La vittima - che pensava di essere il carnefice - era convinto a un certo punto quindi di avere ucciso, o comunque inferto un gravissimo danno, al soggetto-studente, e quello era il momento in cui bisognava cominciare a raccogliere i dati fondamentali per l'approfondimento della delicata ricerca.
Superficiale, dunque, aggiungere quanto sia ipnotico e incalzante "Experimenter" nell'esibire lo spettacolo medico-psicologico sopra citato, spettacolo arricchito, inoltre, dalla scelta drammatica del regista e sceneggiatore Michael Almereyda di utilizzare il suo attore protagonista - un ottimo Peter Sarsgaard - come "House Of Cards" utilizza Kevin Spacey, ovvero permettendogli di ammiccare in camera e di parlare agli spettatori, anticipandogli mosse ed esponendo intenti. E' talmente ambiguo, ribelle ed enigmatico il suo lavoro da inviare l'impressione che l'abbattimento di quella quarta parete sia programmata per testare il pubblico attraverso qualche giochetto psicologico indiretto e nascosto: dubbio che sorge quando, inaspettatamente, nelle parentesi ambientate fuori dal laboratorio, dedicate al privato del medico (ma sempre inerenti al suo lavoro), la scenografia smette di essere curata e credibile per fare spazio a uno schermo visibilmente da studio, che tuttavia non trova mai un suo reale motivo di utilizzo, ma che sicuramente è responsabile di un arrovellamento gratuito da parte di chi è concentrato a guardare.
Nel frattempo "Experimenter" avanza, raccontando la curva intrapresa dall'operato del suo protagonista e ciò che è stato in grado di ricavare e individuare. Ci parla di numeri impressionanti Milgram, di percentuali di uomini e donne che non smettono di obbedire agli ordini, nonostante l'afflizione dei sensi di colpa e dei dubbi si faccia sotto: sostenuti da quel cuscinetto che nella loro testa gli ripete di essere unicamente degli esecutori e non i principali responsabili di ciò che potrebbe accadere o è già accaduto. Racconta delle previsioni statistiche fatte anticipatamente alla ricerca, di come la maggior parte degli esperti era convinto che nessuno fosse in grado di andare fino in fondo con le scosse, ma soprattutto di come la morale che lui voleva spolverare, gli sia stata messa, assurdamente, contro, con l'accusa di aver attuato dei test senza preoccuparsi dello shock che le (vere) vittime - sebbene alla fine venissero informate del trucco - potessero subire post-esperienza.
Nella parte documentaristica, insomma" Almereyda è piuttosto esplicativo e concreto: inquadra benissimo la figura che racconta e riesce persino a divertirsi e a divertire con ironia. Quello che però a "Experimenter" manca - oltre a una disamina più chiara della relazione tra Milgram e sua moglie Sasha (interpretata da Winona Ryder) - è di essere più incisivo e cattivo riguardo le tematiche psicologiche a cui fa riferimento. C'era una quantità immensa di sviluppi da poter prendere in considerazione per andare ad ampliare e a rinforzare l'egoismo umano e la sua inclinazione nell'agire incurandosi del prossimo. Digressioni con cui si poteva uscir fuori da un discorso circolare, ingrossando il dilemma e rimanendo ribelli fino in fondo, ma, giunti ad un certo punto, la pellicola è come se cominciasse a sentire la stanchezza, provando a rifiatare con insuccesso e decidendo quindi di tirare il freno.
Così "Experimenter" si fa spettacolo gustoso e incompleto allo stesso tempo, efficace, ma mozzato, ottenendo ugualmente il privilegio di entrare in testa e lasciar traccia, eppure mancando quella grossa opportunità di proclamarsi cult.
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