Parlare dell’Expo e delle sue piaghe è un modo di affrontare un tema più vasto e vitale: l’inconsistenza strutturale delle previsioni e il loro costante uso per buttare fumo negli occhi all’opinione pubblica. Come riporta Il Fatto, l’impresa era stata spacciata come un toccasana per l’occupazione: Confindustria prevedeva 200 mila posti di lavoro, sia pure temporanei, uno straordinario volano che giustificava anche il fatto che l’esposizione potesse fare da esperimento a una deregulation selvaggia del lavoro, modello job act. Più tardi la Regione ha ridimensionato il numero a 70 mila, mentre i sindacati dicevano 20 mila. Oggi siamo a meno di 5000. E questo tralasciando tutte le altre cose che non si sono fatte (vedi linea 4 del metrò) e che quelle che purtroppo si sono fatte (Expo mafia) o la difficoltà di recuperare fondi sui terreni comprati dagli enti pubblici: la loro vendita ad expò finito sembra non interessi proprio a nessuno.
Altra e fondamentale illusione propalata è quella che l’Italia – con i suoi prodotti di eccellenza – fosse il luogo deputato per un Expò sull’alimentazione e che comunque quest’ultimo sarebbe stato un’occasione per far conoscere meglio i nostri cibi. Niente di più sbagliato: le produzioni di nicchia da noi come altrove, c’entrano assai poco con i problemi mondiali dell’alimentazione e con la nutrizione del pianeta. Semmai questa circostanza avrebbe potuto essere presa a pretesto per imporre una discussione sulla qualità delle produzioni di massa, sui problemi legati ai brevetti, ai semi, alla libertà fondamentali di coltivazione, ma come si è detto non c’è alcuna bussola che fa luce sulle questioni che sono in campo ed è anzi è certo che saranno solo i delegati delle celebri multinazionali del cibo ad avere voce e parola. Inoltre è ben strana una scelta strategica di questo tipo in un Paese che è costretto ad importare il 50% dei suoi consumi alimentari: le eccellenze (peraltro già ben conosciute oltre i confini) per loro stessa definizione sono piuttosto rigide: più di tanto non si può produrre in un territorio ristretto senza ricorrere a trucchi che lasciano il tempo che trovano e si rivelano controproducenti. Sono un simbolo del Paese, certo, ma più di tanto non sono espandibili.
Insomma l’Expo si presenta come una vetrina della corruzione, dell’inefficienza e del degrado del Paese. Ma è soprattutto un grande inganno grazie al quale si è messa in moto una macchia speculativa che ancora una volta porta soldi pubblici in mani private con un ritorno minimo se non negativo per la collettività. Ed è anche un calco, un esempio di scuola della menzogna pubblica.