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Expo: Vietato Scrivere “Senza Olio Di Palma”. Il Caso Della Malesia

Creato il 28 maggio 2015 da Paolopol

Il caso del padiglione della Malesia che difende la produzione e il commercio di questo grasso tropicale, presente in biscotti e merendine e responsabile della distruzione delle foreste del sud-est asiatico.

no olio di palma

Sembra uno scherzo, ma è successo davvero. A Expo 2015, nel padiglione della Malesia, campeggia un gigantesco cartello che definisce illegale scrivere sulle etichette alimentari “Senza olio di palma”,  o “Palm oil free”. Una mossa orchestrata dalla potente lobby che sostiene il commercio di questo grasso tropicale, presente nella stragrande maggioranza di biscotti e merendine e responsabile della distruzione delle foreste del sud-est asiatico. Great Italian Food Trade e Il Fatto Alimentare, due fonti indipendenti nell’informazione alimentare, hanno chiesto al Commissario di Expo, Giuseppe Sala, di ordinare l’immediata rimozione di quel cartello, capace di confondere i consumatori.

La sete di olio brucia la foresta. L’allarme sull’olio di palma è stato lanciato a più riprese da Wwf e Greenpeace, che citano i dati. La Elaeis guineensis, la palma da cui si estrae questo olio, è coltivata soprattutto in Indonesia e Malesia (90% della produzione globale). E i campi sono cresciuti facendosi largo, a forza di roghi, tra foreste primarie di enorme importanza per la difesa della biodiversità. Abbiamo semplificato la vita ai produttori di biscotti (anche se, come vedremo in seguito, questo grasso ha forti limiti anche dal punto di vista nutrizionale) e spazzato via tigri, oranghi, elefanti e rinoceronti da Sumatra e le altre isole dell’arcipelago indonesiano che, nel giro di pochi decenni, hanno visto crollare le popolazioni di questi animali, ridotti a poche centinaia di esemplari.

Mezzo secolo fa l’82% dell’Indonesia era coperto da foreste, già nel 1995 la percentuale era scesa al 52%: secondo il WWF al ritmo attuale (ogni ora sparisce l’equivalente di 300 campi di calcio di foresta nel sud est asiatico) entro il 2020 le foreste indonesiane (tra le maggiori al mondo assieme a quelle dell’Amazzonia e del bacino del Congo) saranno definitivamente distrutte e con loro andranno perduti anche tutti quegli ecosistemi cruciali per la sopravvivenza delle popolazioni locali e della stessa biodiversità. Inoltre quando queste foreste bruciano c’è una emissione incredibile di anidride carbonica. Non a caso l’Indonesia è uno dei principali paesi al mondo produttori di gas serra, il terzo dopo Cina e Stati Uniti.

L’olio sostenibile e il problema della certificazione. Grandi colossi alimentari del made in Italy come Ferrero (secondo un’analisi di Greenpeacedel 2007 nella Nutella ci sarebbe il 31 per cento di olio di palma) dichiarano, da qualche anno, di comprare esclusivamente olio di palma certificato, cioè che proviene da fornitori che non distruggono le foreste e che rispettano i diritti dei lavoratori, secondo i criteri della  Roundtable on Sustainable Palm Oil, l’associazione agricola nata nel 2004 con l’obiettivo di promuovere l’uso dell’olio di palma sostenibile. Il problema, come ha evidenziato un recente servizio di Report, è che a certificare la sostenibilità dell’olio non è l’associazione, ma un organo indipendente pagato dalle compagnie. I controllati pagano dunque i loro controllori, rendendo la certificazione stessa assai discutibile.

Perché scrivere “Senza olio di palma” è legale. Tornando al cartello messo in bella mostra dalla Malesia a Expo, esso non si riferisce alla normativa malese in tema di etichette – dalla quale si potrebbe pur attendere una presa di posizione a favore del palma visto che i due Paesi, come abbiamo detto, sono primi esportatori globali – ma alla legislazione europea, ossia al regolamento 1169/2011 entrato in vigore in 13 dicembre 2014 in tutti i paesi dell’Unione. Regolamento che ha imposto l’obbligo di specificare in etichetta il tipo di grasso utilizzato (non si può più ingannare il consumatore con la generica dicitura “grassi vegetali”).

“A ben guardare – spiega Dario Dongo, esperto di diritto alimentare e fondatore del sito Great ialian food trade.it–  il cartellone malese non si  riferisce neppure ai testi di legge comunitari, ma all’opinione di ‘esperti in campo legale’ e a ‘un rinomato studio legale’ che, a servizio dei produttori di olio di palma,  avrebbe espresso un’interpretazione opinabile, per sua stessa natura, del regolamento Ue 1169/2011″. Ai sensi della normativa europea, infatti, “la fornitura di informazioni sugli alimenti tende a un livello elevato di protezione della salute e degli interessi dei consumatori, fornendo ai consumatori finali le basi per effettuare delle scelte consapevoli e per utilizzare gli alimenti in modo sicuro, nel rispetto in particolare di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche” (articolo 3, Obiettivi generali).

“Su tali premesse continua Dongo – è certamente ammesso l’impiego in etichetta di indicazioni facoltative – ivi comprese quelle relative agli ingredienti – a condizione che esse siano chiare, comprensibili e veritiere, perciò dimostrabili.  Indicazioni come senza OGM’, ‘vegetariano’, ‘vegano’, ‘senza carne di maiale’, ‘senza alcol’, ‘senza additivi’, ‘senza coloranti artificiali’, e ora anche ‘senza olio di palma’ sono dunque perfettamente ammissibili, oltre che legali”. Si tratta, infatti, di scritte che  rispondono a esigenze dettate dal credo religioso o da sensibilità e pensieri. Diritti  fondamentali, tutelati dalle carte costituzionali e dai relativi trattati, nel rispetto delle libertà di scelta di ciascuno. Vale la pena di ricordare che 10-15 anni fa, quando le aziende decisero di sostituire gli acidi grassi idrogenati dalle ricette (accusati di nuocere alla salute) con l’olio di palma, le confezioni recavano la dicitura “senza acidi grassi idrogenati”.

Il punto di vista nutrizionale. Come accennato, l’olio di palma è contenuto in moltissimi prodotti da forno sia dolci che salati: biscotti (secondo il Fatto alimentare è presente nel 94% delle confezioni) merendine, crackers, fette biscottate, pane confezionato, creme spalmabili, snack, gelati. Per due motivi fondamentali: costa molto meno di altri grassi (ad esempio l’olio di oliva, di girasole o il burro) e ha sostituito, come visto, il vecchio processo di idrogenazione dei grassi. Ormai tantissime aziende hanno abolito questo procedimento che provoca la formazioni dei temuti acidi grassi trans. Ma in compenso usano l’olio di palma. Che, pur essendo vegetale, ha un contenuto di grassi saturi pari a quello del burro, pari cioè a un grasso animale. E quindi, essendo molto “solido” a temperatura ambiente, non ha bisogno di essere idrogenato.

L’olio di palma è un grasso saturo. Dal punto di vista della salute è questo l’aspetto più critico dell’olio di palma: i grassi saturi sono ritenuti ampiamente coinvolti nel rischio cardiovascolare, mentre l’olio di oliva e gli altri oli vegetali hanno un alto contenuto di grassi insaturi, che aiutano a combattere il colesterolo cattivo. E questo è sicuramente un buon motivo per limitarne l’uso. È pur vero che altri studi clinici sostengono che gli effetti sulla salute dipendono dall’equilibrio generale tra grassi saturi e grassi insaturi nella dieta. Se questo equilibrio è adeguato, sembra che gli acidi grassi polinsaturi possano compensare l’effetto negativo di quelli saturi. Ma secondo gli esperti, il problema vero è “l’effetto accumulo”. Poiché, come visto, questo grasso è presente in tantissimi prodotti, lo assumiamo spesso in modo “inconsapevole”: se sommiamo i biscotti della colazione, al cracker di metà mattina, allo snack del pomeriggio fino, magari, al toast della sera, alla fine la quantità assunta comincia a diventare importante.

La petizione del Fatto Alimentare. Il Fatto alimentare.it  ha intrapreso da mesi una campagna contro l’olio di palma, e ha invitato i lettori a segnalare i prodotti che non lo contengono. Per fortuna le alternative ci sono e non comprendono solo alimenti biologici (che pure molti casi non sono esenti dall’olio di palma), mediamente più cari, ma anche prodotti venduti nei discount. Inoltre, Great Italian Food Trade e Fatto Alimentare hanno lanciato tramite la piattaforma Change.org una petizione volta a ottenere l’esclusione del palma dalle produzioni alimentari, che finora ha raccolto circa 150mila firme. “La buona notizia – ci racconta Roberto La Pira, direttore del Fatto Alimentare – è che due aziende (Misura e Gentilini ) si sono affiancate ad Alce Nero dicendo addio al palma. Ma l’aspetto vincente è che 15 catene di supermercati hanno aderito al nostro appello iniziando il processo di riduzione e sostituzione del grasso tropicale nei loro prodotti a marchio. La lista comprende Coop, Esselunga, Carrefour, Iper, Despar, Primia con i marchi Basko, Poli, Tigros e Iperal, Crai, Ikea, Ld Market, Picard, MD discount, U2. Alcune hanno già sugli scaffali i primi biscotti e prodotti palma free, altre hanno avviato il progetto e dovrebbero concretizzare il cambiamento entro la fine dell’anno”.


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