Oggi parliamo di un nuovo personaggio che allieta i miei inizi di giornata. Prugnasecca.
Prugnasecca ha lunghi capelli biondi, la bocca perennemente a culo di gallina (da cui la definizione di prugna secca), e l’espressione corrucciata, quasi che tutti i mali del mondo si siano concentrati su di lei.
Nata bene, e sposata meglio, Prugnasecca (tutto attaccato, che io la dipingo così) dispone di una bimbetta che frequenta l’asilo insieme alla nana, e che ha un nome altisonante e pretenzioso, come si conviene al prodotto dei lombi di Prugnasecca e del di lei augusto sposo.
Per tutto lo scorso anno, e un paio di mesi di questo, Prugnasecca mi ha serenamente ignorata, guardandomi, le volte in cui coincidevamo nella consegna nane, con l’espressione schifata di una cui un piccione ha appena cagato su un piede.
Considerando che, se non ho gente che ronza in ufficio, il mio look standard è quello di Maga Magò dopo un trasloco, c’è da comprenderla. Forse. Ogni tanto, nei suoi occhi, ho letto il fuggevole bagliore dell’espressione ‘Tu non sai chi sono io’. Invece lo sapevo benissimo. Una stronza.
Capita, però, che un paio di settimane prima di Natale, io debba prendere un aereo sul presto, e l’Uomo abbia tutto da fare lui come al solito, col bel risultato che, prima di fiondarmi in autostrada ai 160, sia toccato a me passare dall’asilo a depositare il nanetto da giardino.
Va da sé che dai clienti non posso andare addobbata come la piccola fiammiferaia, sennò, anziché fare tenerezza, faccio direttamente pena e mi buttano fuori a calcinculo.
Diciamo anche che truccata, taccata, vestitino e cappottino munita, non sarò Carlà, ma son pur sempre passabile. Sarà poi, che una delle maestre della nana, m’ha salutata con l’enfasi che si destina a chi parte per l’Afghanistan con una ONG, mentre stavo solo deportando le mie, ahimé non più così sode, chiappe in Andalusia. Va detto, per completezza, che la maestra della nana, a mio avviso, teme la mia dipartita giacché un’altra rappresentante che rompa meno i coglioni, dove altro la trova?
Comunque, com’è, come non è, Prugnasecca, s’informa, e si autoconvince che in fondo, ma parecchio in fondo, non sono poi così indegna e pertanto può rivolgermi, bontà sua la parola. E fin lì, potevo anche farcela. Poi, s’è allargata.
‘Dovremmo vederci per un caffé’. Ma anche no, cara. Che poi, io sto in ufficio tutto il giorno, e nei ritagli di tempo eseguo mansioni assortite, e già ho poco tempo per fare picci picci con le amiche, figuriamoci se immolo un solo istante per Prugnasecca, che, così a spanne, ha tutte le caratteristiche per starmi sui coglioni.
Comunque per non sembrare la solita stronza snob (definizione di amica-sorella, la cui ragionevole teoria è che si può essere snob anche all’incontrario), una mattina m’assoggetto a bere il caffé con Prugnasecca.
Per avere un’idea del sacrificio, sappiate che per me il caffettino al bar prima dell’ufficio è l’unico momento di quiete e ‘mio’ dell’intera fottutissima giornata. Mi son sentita un’eroina del primo ottocento, mica paglia.
Prugnasecca, era finalmente soddisfatta, lo si vedeva dalla lucina negli occhi e dal tono di voce, quello del tipo ‘eh, tra noi pari…’ ‘Ma pari de che’, Prugnasecca mia. Io e te, pari, mai. Non ho problemi ad esserti inferiore, ma pari col cazzo. Piuttosto mi suicido con il Fernet.’ mi veniva da dirle. Eppure ho tenuto duro. Finché ha detto la parola magica.
‘Eh, potremmo vederci domenica al circolo xy, così le bimbe giocano un po’ ‘ Lì m’è scappato da ridere. Il circolo xy, in saecula saeculorum, è il più grande consesso di teste di cazzo che piccola città bastardo posto ospiti sul territorio urbano. Ci tirassero una bomba sopra, l’umanità sarebbe un luogo migliore. Lo rifuggo da anni come la peste, e ogni volta che mi hanno proposto di farne parte, mi son sempre trincerata dietro scuse più o meno imporbabili, benedicendo il fatto che lavorando con l’estero, non ho ragioni professionali che mi obblighino a frequentare certi ambienti.
Sfodero pertanto il mio miglior sorriso piemontese* e le dico: ‘Oh, mi spiace non siamo soci’. Sperando finisse lì. E invece no. ‘Ah, perché siete soci all’yz? Se preferisci possiamo vederci lì’. All’yz, concorrente dell’xy, si radunano le restanti teste di cazzo che non son riuscite a trovar posto all’xy. E la bomba, per carità di patria, dovrebbe cascare pure lì. Aggiungo, che Prugnasecca è l’unica che ricordi, a memoria mia (e dell’Uomo), ad essere iscritta ad ambo i circoli. No, per dire come sta messa.
Risfodero il mio sorriso modello Piemonte e la informo che non siamo soci neppure lì. A quel punto l’architettura mentale di Prugnasecca collassa. Non riesce più a tenersi e mi fa: ‘Ma la bimba quando vuol giocare dove la porti???’ ‘Al parco’. ‘Ma deve fare la fila per i giochini’ Un dramma in effetti. Ci son infanzie segnate da molto meno. ‘Eh. S’allena per quando da grande dovrà farla al collocamento.’ le rispondo.
Da allora, son tornata a bere il caffé in solitaria. Prugnasecca continua a salutarmi (più freddamente, però). E nei suoi occhi intravedo una luce nuova. Lo sguardo di quella che si chiede: ‘Ma perchè, potendo essere come noi, non vuole?’. E io non glielo dirò mai. Perchè se hai bisogno che te lo spieghi, probabilmente non lo capirai.
*Il sorriso modello Piemonte deriva dal fatto che da queste parti, abitualmente, circola il detto ‘piemunteis fauss e curteis’ (piemontese falso e cortese), che noi le cattiverie ce le diciamo anche da soli, mica abbiam bisogno degli altri che inventano, neh.