EYE DIT IT! Big Eyes di Tim Burton

Creato il 30 dicembre 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Il commento di Maurizio Ermisino

Summary:

Burtoniano. Quante volte l’avremo detto, di un luogo, di un personaggio, di un aspetto fisico, di un’atmosfera? Ecco, se dovessimo definire le figure dipinte da Margaret Keane, le potremmo definire certamente “burtoniane”. Quei bambini tristi, malinconici e sperduti, dai grandi occhi rotondi, inquietanti e teneri allo stesso tempo, che la Keane ha dipinto dall’inizio della sua carriera, sembrano usciti da un film di Tim Burton. Non è un caso: Burton è sempre stato un grande ammiratore della Keane, le ha commissionato diversi ritratti e comprato molti quadri, ed è stato chiaramente influenzato dal suo lavoro. È allora naturale che volesse raccontare la sua storia nel suo nuovo film, Big Eyes.

Ma, a parte le figure “burtoniane” che dipingeva, cosa c’è di particolare nella vita di Margaret Keane? Che per anni le sue opere sono state attribuite a Walter Keane, suo marito, anche lui artista, che si è arrogato il diritto di firmarle, e recitare in prima persona la parte dell’artista, perché nessuno avrebbe dato credito a una donna. Siamo infatti nell’America degli anni Cinquanta, quelli de La moglie perfetta e Lontano dal Paradiso. Margaret (Amy Adams), pittrice, si trasferisce a San Francisco, e trova lavoro in una fabbrica di mobili. Le gallerie d’arte non sembrano apprezzare i suoi lavori. Così, in un mercatino all’aperto, incontra Walter (Christoph Waltz), il pittore che è stato a Parigi, e che continua a dipingere vedute francesi. Che con il suo savoir faire la seduce e la sposa. Fino a che una sera, all’esposizione dei quadri di lei – in un bar, vicino ai bagni – incontra qualcuno che vuole comprarli. Alla domanda su chi sia l’autore, Walter si fa avanti. E da quel momento l’Autore sarà lui.

Una donna degli anni Cinquanta, educata per essere subalterna a un uomo, non può che accettare la cosa. Ma tenere tutto dentro diventa un peso sempre più incombente. È qualcosa che dai Big Eyes di Margaret – occhi grandi non come forma, ma per quello che trasmettono – traspare sempre di più, fino a non poterlo tenere dentro. Quegli occhi grandi, pieni di lacrime e di sincerità, porteranno Margaret a combattere per la sua arte. Fino ad esclamare sicura “li ho fatti io”, “I did it”, anzi “Eye did it!”, come titola un giornale dell’epoca. “Penso che si possano vedere tante cose dagli occhi”, dice Margaret a quello che sarà il futuro marito. E continua a pensarlo, anche se c’è chi continua dire che sembrano “caramelle rafferme”.

Sì, perché Walter Keane, cioè Margaret Keane, non è stato/a mai amato/a particolarmente dai critici. Era essenzialmente un’autodidatta, un esempio di “outsider art”, arte non accademica e mai istituzionalizzata. Un’idea in cui Burton, colui che fu mandato via dalla Disney per un corto troppo anticonformista (che anni dopo è diventato Frankenweenie), si identifica, visto che si è sempre chiesto perché l’arte debba essere legittimata dai critici. È un discorso che aveva già affrontato in Ed Wood, un’opera a cui questo film potrebbe essere accostato. Non a caso, è scritto dagli stessi sceneggiatori, Scott Alexander e Larry Karaszewki (specialisti in storie vere, visto che sono gli autori degli script di Man On The Moon, su Andy Kaufman, e di Larry Flint – Oltre lo scandalo). Big Eyes parla della storia incredibile di Walter e Margaret Keane, ma anche di commercializzazione di massa dell’arte. In una scena del film sentiamo dire a una ragazza “Oh, allora sei come Warhol”. Walter Keane risponde: “No, è lui che è come me. Io avevo una factory quando ancora lui non sapeva cosa fosse un barattolo di zuppa”. Sì, Walter Keane, se non quello dei quadri, ha avuto il merito di inventare l’arte seriale, di portare i quadri nei grandi magazzini e alla portata di tutti. E la serialità della’arte è anche un discorso che riguarda Burton. Perché proprio quando il suo cinema stava rischiando di diventare maniera (vedi Alice In Wonderland), eccolo tornare con un film piccolo piccolo, ma sincero. Come quei grandi occhi dei bambini dipinti da Margaret Keane.

di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net


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