Con Eyes wide shut si conclude la carriera cinematografica di Stanley Kubrick.
Il regista di New York naturalizzato inglese dirige il suo tredicesimo e ultimo film che uscirà postumo nel 1999, dopo peripezie durate due anni e una serie interminabile di correzioni apportate dal regista, maniacale come pochi, perfezionista come nessuno.
Quando Kubrick dirige Eyes wide shut sono passati ben dodici anni da Full metal jacket, uno dei capolavori e pietra miliare del cinema pacifista; questa volta Kubrick sceglie di adattare cinematograficamente il romanzo Doppio Sogno (titolo originale tedesco Traumnovelle) di Arthur Schnitzler, scritto nel 1925 ma uscito l’anno dopo in una Germania ormai sotto la cupa e minacciosa dittatura nazista.
Era un vecchio pallino di Kubrick, il romanzo di Schnitzler sin dall’epoca dell’uscita sugli schermi di Arancia meccanica, il film più rivoluzionario di Kubrick e probabilmente quello che più di tutti incarna la sua voglia di sperimentazione, di denuncia, di accettazione e di studio di una società immaginata da Burgess (autore del testo originale A clockwork orange) come votata all’autodistruzione.
Questa volta Kubrick decide di indagare l’inconscio e l’onirico, attraverso un percorso irto di ostacoli nei meandri della mente umana tra coscienza e accettazione della stessa, tra sessualità inespressa e il suo esatto opposto.
Kubrick porta a compimento quindi un lungo cammino, nel corso del quale ha esplorato tutti i confini dell’uomo attraverso il suo rapporto con l’infinito e l’incognito in 2001 Odissea nello spazio, il suo ruolo nella società visto attraverso la violenza che possiede a livello latente e il rapporto con il potere in Arancia meccanica, la follia anch’essa latente che può albergare nella mente umana con contorno di onirico e paranormale in Shining e infine la violenza dura e cruda della guerra, quella che annichilisce anche quello che c’è di buono nell’animo umano di Full metal jacket ( e di Orizzonti di gloria).
Nicole Kidman e Tom Cruise
E’ un’analisi per forza di cose estremamente sommaria e superficiale, questa: non si può di certo ridurre l’opera di uno dei più grandi cineasti di sempre a stereotipi condensati con due aggettivi, ma serve per introdurre l’elemento nuovo che Kubrick porta con questo film.
Questo elemento è un viaggio all’interno del sesso, forse la molla più grande e allo stesso tempo la cosa più intima che l’uomo possegga a livello istintivo ma non solo; il sesso è anche una questione di cervello, è un mistero ed è al tempo stesso un pianeta inesplorato come l’universo di 2001 Odissea nello spazio, nonostante il gran parlare e la sovra esposizione di cui gode l’argomento.
In Eyes wide shut assistiamo alla messa in scena di uno stato dell’essere umano profondo e a tratti inesplorato, almeno a livello personale per molti esseri umani; quali sono gli anelli di congiunzione della sessualità, quali siano le molle che la spingano e cosa siano il fascino indicibile di tutto ciò che riguarda il sesso finiscono sotto la lente di ingrandimento di Kubrick che però deve fare i conti anche con il libro che ha adattato per fare il suo film.
Lui modifica, manipola crea e distrugge, rifà e rifà mille volte, sempre ossessionato dal suo perfezionismo, quello stesso perfezionismo che lo porterà a girare per ben due settimane la stessa scena, quella dell’acquisto di un giornale (come raccontato dal suo assistente Emilio D’Alessandro) e quando alla fine gira l’ultimo ciak ecco che la morte lo coglie nel sonno il 7 marzo 1999, all’età di settant’anni.
La sua morte ci priva di alcune risposte, lasciandoci dubbi e incertezze, gli stessi e le stesse che prova lo spettatore che si mmerge nei 159 minuti del film.
Sono tanti i dubbi, sono tante le sequenze oscure, sono tanti i riferimenti onirici che alla fine ci si smarrisce quasi in presenza di un labirinto costruito appositamente senza uscite.
O forse l’uscita c’è, ma non è visibile e rimane solo nelle intenzioni del regista.
Kubrick racconta le storie parallele e allo stesso tempo intersecate, convergenti di William “Bill” Harford, un medico ricco e benestante e di sua moglie Alice; i due sono ovviamente universi a se stanti, ognuno di essi vive la propria esistenza in maniera indipendente e autonoma fino a quando come coppia devono integrarsi attraverso i complessi meccanismi dell’amore e infine del sesso.
Bill è il primo dei due a sperimentare i desideri inconsci dell’eros, quella sessualità che sembra muovere l’umanità come molla fondamentale all’essere.
Passa attraverso l’incontro con due ragazze che lo abbordano ad una festa alla dichiarazione d’amore della figlia di un suo paziente, dall’incontro con una prostituta con la quale però non consuma alla celebre orgia nel corso della quale assiste ad un’altra messa in pratica del sesso, quella che toglie qualsiasi coinvolgimento emotivo se non quello legato ai sensi e al loro appagamento.
Una vera e propria ginnastica da camera, in cui il sesso è praticato un pò come le flessioni per gli addominali: non c’è amore, non c’è un briciolo di qualsiasi sentimento perchè tutto si riduce ad un atto meccanico e gratificante solo nell’istante in cui viene praticato.
Queste esperienze porteranno Bill ad una maggiore consapevolezza dei misteriosi meccanismi che regolano il sesso, anche se c’è da dubitare che lo stesso Bill sia avviato ad una piena consapevolezza di cosa in realtà sia il sesso.
Sua moglie Alice vive invece una situazione diversa.
L’unione matrimoniale con Bill sembra solida, eppure al ballo lei si lascia corteggiare da un misterioso e affascinante uomo ungherese fino a lasciarlo quando il gioco sembra diventare troppo pericoloso.
Quando ne parlerà con suo marito, gli confesserà di averlo tradito anche se solo in sogno con un giovane ufficiale della Marina; per Bill è un’altra tappa sul cammino della conoscenza anche se è ancora troppo confuso per mettere a fuoco la portata di ciò che gli ha rivelato la moglie.
Anche sua moglie ha pulsioni sessuali derivanti da fantasie più o meno consce; in fondo anche se profondamente diversi e culturalmente separati da secoli di disparità sociale, con la donna relegata in ruoli umilianti hanno in comune l’umanità.
Moglie o cortigiana, null’altro.
La sorpresa di Bill nell’ascoltare la confessione della moglie risente proprio di questo retaggio culturale, che sembra quasi improntato nei geni e nel dna dell’uomo.
In fondo per quanto evoluto, l’essere umano non ha perso gli istinti primari dell’animale (il riferimento è alla celebre scena del gorilla che lancia l’osso verso il cielo in 2001 Odissea nello spazio); le nostre origini sono quelle e Bill è il prodotto di quell’evoluzione.
Vedremo Bill ancor più turbato sul finale del film, quando la moglie tornerà sull’argomento e rivelerà al marito di essere stata sul punto di cedere alle sue fantasie e di lasciare suo marito.
A questo punto il discorso di Kubrick si allarga e coinvolge non più soltanto la sfera intima del sesso, ma anche l’istituzione matrimonio, che è uno dei fondamenti della società.
Come è possibile conciliare il desiderio sessuale, le pulsioni del sesso con la relazione monogama di una vita? Come soddisfare il bisogno primario e istintivo del sesso quando si è scelto scientemente di dividere la propria vita con un’unica donna? E questo discorso può anche essere ribaltato dal punto di vista femminile, visto che i ruoli e i comportamenti degli umani in fondo variano solo in funzione di secoli di morale imposta.
Eyes wide shut porta con se tante domande, alcune difficilmente leggibili, alcune senza una risposta univoca, altre assolutamente enigmatiche.
Porta con se anche poche risposte, molte delle quali suggerite ma solo a livello di possibilità, non di certezza.
E’ insomma il Kubrick di sempre, che suggerisce ed esplora ma non si spinge fino a dare soluzioni, risposte.
Quando Bill incontra la prostituta, fa quello che l’uomo compie dalla notte dei tempi, ovvero esercita un potere che sembra essersi attribuito, quello cioè di poter disporre del corpo della donna; avere quindi una patente di possesso che ripristini una specie di legge della natura che vede l’uomo dominante e la donna succube.
Ma questa è la natura ( e solo fino ad un certo punto) del regno animale. Per l’uomo valgono altre leggi, codificate in secoli e secoli di evoluzione.
Così Bill fugge senza aver consumato, forse perchè conscio di compiere un atto da uomo afflitto da problemi più che da uomo consapevole.
E questa chiamiamole morale finisce per essere esplicitata in diversi punti del film, con allegorie e messaggi subliminali che Kubrick si diverte a seminare.
Questo film è complesso, enigmatico, difficile e potrei continuare a lungo con altri aggettivi che però nulla aggiungerebbero al fascino estremo di una pellicola che il grande regista inglese consegna alla storia del cinema con tutto il suo carico pesantissimo di cose non dette.
Se devo esprimere un giudizio personalissimo, non inserirei Eyes wide shut nell’elenco delle cose migliori di Kubrick pur essendo lo standard qualitativo del film di assoluto livello.
Intendiamoci è solo una questione personale.
Il film è raffinatissimo come fotografia, maniacale come ricerca e documentazione oltre che come rappresentazione visiva ma è anche terribilmente gelido e a tratti incomprensibile.
Occorre davvero tanta buona volontà per interpretare alcuni passaggi e c’è anche un problema grave legato al cast.
Se la scelta di Nicole Kidman come interprete del ruolo di Alice appare indovinata, convince assolutamente meno quella della scelta di Tom Cruise (all’epoca marito della Kidman) in quella di Bill.
Occorreva un attore meno hollywoodiano e più intimista, meno patinato e più “umano” per mostrare le mille sfaccettature di un personaggio così complesso che invece alla fine appare quasi impaludato.
Cruise è smarrito, non ha nelle sue corde la drammaticità del personaggio.
Stanley Kubrick in passato aveva già scommesso ( e vinto) quando si era affidato all’esordiente Malcom Mc Dowell per il ruolo di Alex nell’Arancia meccanica o a Ryan O’Neal per quello di Barry nel suo splendido Barry Lindon.
Qua le cose cambiano e la recitazione di Cruise fa calare il risultato finale. Intendiamoci, niente di drammatico o irreparabile, pure l’attore di Syracuse rappresenta il classico granello di polvere nell’ingranaggio perfetto.
In quanto al resto del film, in ordine sparso citerei alcune delle critiche che sono state mosse al film, molte delle quali assolutamente pretestuose.
La più comune è quella di aver decretato il successo del film a priori, quasi che Kubrick fosse in grado di produrre capolavori a scatola chiusa, una sorta di beatificazione anticipata del grande regista.
In realtà chi amava e ama Kubrick sa che le chiavi di lettura dei suoi film sono talmente tante che anche in visioni successive delle sue opere si finisce per gustare un particolare, anche un solo fotogramma che esplica il suo straordinario talento visivo. La cura ossessiva dei dettagli e della fotografia sono anche in questo film uno dei punti di forza dello stesso, così come avvolgente e sinuosa è la colonna sonora che Kubrick utilizza, saccheggiando Liszt e Šostakovič ma non solo.
In quanto all’uso dell’erotismo, le critiche mosse sono addirittura ridicole; nel film di Kubrick il sesso è glaciale, mostrato solo in pose plastiche che esaltano il suo concetto di erotismo come “ginnastica da camera”.
Identico il discorso della celebre orgia, nella quale c’è profusione di nudi che però tutto fanno tranne che eccitare la fantasia dello spettatore. Le attrici appaiono come lontanissime divinità dai corpi scultorei e marmorizzati, quasi non fossero creature umane ma sublimazioni di un’idea.
In definitiva Eyes wide shut è un lavoro affascinante e misterioso, stimolante e imperfetto, splendidamente affrescato quasi fosse un’opera di Michelangelo ed esaltato da una luminosità fotografica che è pari solo a quella di Barry Lindon.
Con questo film Kubrick ci lascia un’eredità fatta da 13 pellicole che in una ipotetica classifica dei primi cento film della storia del cinema sarebbero probabilmente tutte presenti.
Ci lascia anche il rammarico di non poter mai più vedere la realizzazione di uno dei suoi sogni, quel film su Napoleone che sicuramente avrebbe scritto un’altra pagina miliare della cinematografia mondiale.
Eyes Wide Shut
Un film di Stanley Kubrick. Con Nicole Kidman, Tom Cruise, Madison Eginton, Jackie Sawris, Sydney Pollack, Peter Benson, Todd Field, Michael Doven, Sky Dumont, Louise J. Taylor, Stewart Thorndike, Randall Paul, Julienne Davis, Lisa Leone, Kevin Connealy, Thomas Gibson, Jackie Sawiris, Leelee Sobieski, Rade Sherbedgia, Rade Serbedzija, Leslie Lowe, Marie Richardson, Vinessa Shaw, Alan Cumming Drammatico, durata 160 min. – Gran Bretagna, USA 1999
Lee Lee Sobieski
Tom Cruise: Dott. William “Bill” Harford
Nicole Kidman: Alice Harford
Sidney Pollack: Victor Ziegler
Todd Field: Nick Nightingale
Sky Dumont: Sandor Szavost
Marie Richardson: Marion
Vinessa Shaw: Domino
Fay Masterson: Sally
Leon Vitali: Ierofante rosso
Rade Šerbedžija: Sig. Milich
Leelee Sobieski: Figlia di Milich
Thomas Gibson: Prof. Carl Thomas
Alan Cumming: Portiere dell’albergo
Madison Eginton: Helena Harford
Jackie Sawiris: Roz
Leslie Lowe: Illona
Michael Doven: Segretario di Ziegler
Louise J. Taylor: Gayle
Stewart Thorndike: Nuala
Randall Paul: Harris
Julienne Davis: Amanda “Mandy” Curran
Lisa Leone: Lisa
Kevin Connealy: Lou Nathanson
Mariana Hewett: Rosa
Togo Igawa: Uomo giapponese
Regia Stanley Kubrick
Soggetto da Doppio sogno di Arthur Schnitzler
Sceneggiatura Stanley Kubrick, Frederic Raphael
Produttore Stanley Kubrick
Fotografia Larry Smith
Montaggio Nigel Galt
Musiche Jocelyn Pook
Scenografia Leslie Tomkins
Roy Walker
Massimo Popolizio: Dott. William “Bill” Harford
Gabriella Borri: Alice Harford
Marcello Tusco: Victor Ziegler
Mino Caprio: Nick Nightingale
Massimo Foschi: Sandor Szavost
Cristiana Lionello: Marion Nathanson
Claudia Balboni: Domino
Ilaria Stagni: Sally
Oreste Lionello: Ierofante rosso
Rade Šerbedžija: Sig. Milich
Francesco Vairano: Portiere dell’albergo
Armando Bandini: Uomo giapponese
La colonna sonora:
György Ligeti, Musica ricercata No.II
Dmitrij Šostakovič, Waltz 2 from jazz Suite
Chris Isaak, Baby Did A Bad Bad Thing
Victor Silvester Orchestra, When I Fall In Love
Oscar Peterson Trio, I Got It Bad & That Ain’t Good
Jocelyn Pook, Naval Officer
Jocelyn Pook, The Dream
Jocelyn Pook, Masked Ball
Jocelyn Pook, Migrations
Roy Gerson, If I Had You
Peter Huges Orchestra, Strangers in the Night
Brad Mehldau, Blame It On My Youth
Franz Liszt, Nuages gris
György Ligeti, Musica ricercata No.II – reprise
“Sa qual’è il vero fascino del matrimonio? È che rende l’inganno una necessità per le due parti”.
“C’è una cosa che dobbiamo fare. Scopare”
“Nessun sogno è mai soltanto un sogno”
“Dobbiamo ringraziare il destino. Ringraziarlo, per averci fatto uscire senza alcun danno, da tutte le nostre… “avventure”. Sia da quelle vere, che da quelle solo sognate.”
“Tu la chiami una finta, una sciarada. Ma ti spiace spiegarmi quale diavolo di sciarada finisce con qualcuno che muore davvero?”